La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 25 maggio 2016

Spagna: movimenti e istituzioni

di Elena Marisol Brandolini
Cinque anni fa, a metà maggio, un nuovo soggetto politico invadeva le piazze spagnole, facendosi strada nella coscienza delle popolazioni del mondo: si dichiaravano “indignati” per la sofferenza sociale prodotta dalla crisi, per le diseguaglianze frutto di un’economia al servizio dei poteri forti, per il disinteresse della politica al benessere delle persone. Gli Indignados si accamparono nelle piazze di Madrid, di Barcellona, privilegiando le reti sociali per diffondere il loro messaggio, come avevano visto fare ai giovani egiziani qualche tempo prima. L’indignazione spagnola nasceva nei confronti di un sistema della rappresentanza bloccato e onnipotente, di una classe politica che accettava i dictat della troika per rientrare dalla crisi, mentre si arricchiva nell’evasione fiscale e nella corruzione diffusa.
Il movimento diventò subito di massa e trasversale, con persone di tutte le età, si organizzò in commissioni di lavoro avanzando una leadership orizzontale.
Proponeva una nuova politica fuori dalla rappresentanza istituzionale, non riconoscendosi in nessuno degli schieramenti tradizionali. Alla fine di quel mese di maggio si celebrarono elezioni locali in Spagna, il cui cattivo risultato per il Psoe allora al governo, fu di preludio alla disfatta successiva del novembre 2011 e alla vittoria a mani basse del Partido Popular. A sinistra, alcuni accusarono il movimento del 15M (15 maggio) di aver contribuito alla sconfitta socialista, come se le politiche economiche e sociali di Zapatero, inaugurate un anno prima con una manovra lacrime e sangue, non fossero state in sé sufficienti. Il leader socialista aveva resistito a lungo prima di riconoscere le dimensioni della crisi, favoleggiando di brotes verdes, segnali di ripresa, mentre tutt’intorno la recessione incalzava. Salvo poi arrendersi alla corrente neo-liberista montante in Europa.
Cinque anni dopo, sono tornati gli Indignados nella madrilena Puerta del Sol, in Plaça Catalunya a Barcellona, solidali con le lotte francesi contro la riforma del lavoro. “Per dimostrare che il 15M è ancora vivo” e celebrarne “la continuità”, per “rivendicare i diritti sociali e del lavoro”. Perciò, “torniamo per recuperare il concetto che la politica la fanno le persone”: così le voci della piazza catalana, nel giorno del quinto anniversario. Nelle manifestazioni, più visibili si sono fatte ora le piattaforme per la sanità e la scuola pubbliche, per il diritto ad un’abitazione dignitosa, i collettivi organizzati come quelli degli yayoflautas, i “nonni” dei giovani del movimento. Quei luoghi dell’associazionismo territoriale che hanno dato origine al 15M, raccogliendone successivamente le energie, una volta abbandonate le occupazioni delle piazze. E che hanno rappresentato la prima frontiera di resistenza sociale negli anni duri della crisi. Perché tante cose sono cambiate da quel maggio del 2011 in Spagna. La ripresa economica ancora non è apprezzabile dalla famiglie, ma va imponendosi l’idea di una possibile rinegoziazione del debito almeno nei termini di una sua flessibilizzazione e le politiche di austerità sono contestate da più parti. Le nuove amministrazioni comunali propongono diverse politiche abitative, incentivando l’uso sociale degli alloggi sfitti. Nei parlamenti locali è all’ordine del giorno il tema dell’emergenza sociale per far fronte alla povertà infantile, garantire l’approvigionamento energetico a tutte le famiglie. Il patto democratico siglato con la Costituzione del 1978, l’assetto istituzionale derivante e il bipartitismo che ne ha fin qui garantito l’attuazione sono entrati in una crisi irreversibile, trascinando in parte con sé la stessa istituzione monarchica. Un forte movimento indipendentista si è affermato in Catalogna. Sono nati parlamenti più plurali e concetti quali il diritto a decidere, l’autodeterminazione delle popolazioni e la disobbedienza civile sono entrati nel dizionario della politica.
Cinque anni dopo, si chiude in Spagna un lungo ciclo elettorale con il ritorno alle urne dopo le elezioni di dicembre, che hanno scosso il quadro politico della rappresentanza e mostrato una classe politica incapace di soluzioni di governo. Nuove formazioni che dal movimento 15M hanno tratto ispirazione, si sono presentate sullo scenario politico. Come le tante piattaforme di confluenza tra forze progressiste e movimenti nate in occasione delle elezioni locali del maggio scorso, che oggi governano le principali città e molte delle Autonomie spagnole. Come Podemos, nato appena due anni fa e diventato terzo partito con 5 milioni di voti nelle elezioni dello scorso dicembre, che oggi si presenta in alleanza con Izquierda Unida, con l’ambizione di vincere le prossime elezioni di giugno, o almeno strappare il primato a sinistra ai socialisti.
La piazza del 15M riconosce questi cambiamenti, cosciente dei risultati che ha prodotto: “ogni volta sempre più gente è consapevole che siamo in una situazione di crisi”, “il 15M ha spostato gli assi della politica tradizionale che era stata sempre in mano alle classi dirigenti dei partiti maggioritari” e “il bipartitismo che sembrava un blocco monolitico è entrato in crisi”. Così come apprezza, almeno in parte, le novità intervenute a livello istituzionale: “il 15 M si è sedimentato in un nuovo partito, una nuova illusione, si vede nel comune di Barcellona, negli altri municipi della Coruña, a Madrid, a Valencia”, “sono entrate persone nelle istituzioni che sono venute da qui, ci sono persone che sono ora nei comuni, nei parlamenti, nel Congresso che erano qui cinque anni fa”. Ma non rinuncia al proprio ruolo la piazza, perché “nonostante siano nati nuovi partiti, il movimento delle persone continua, vogliamo che le cose vadano meglio e pensiamo che l’unica maniera è che i cittadini facciano pressione sui politici” e “se non ci organizziamo dalle piazze dalle strade dai posti di lavoro, i cambiamenti politici non si produrranno mai”. Piuttosto conferma la diffidenza nei confronti della rappresentanza partitica, rinnovando così l’antico eppure moderno conflitto tra movimenti e istituzioni: “pensiamo che il messaggio del 15M “che non ci rappresentano” continui a essere attuale e anzi anche più necessario”, se il movimento 15M è ancora vivo dopo cinque anni è perché “riesce a trasmettere un messaggio secondo cui la gente organizzata, senza necessità di strutture di partiti o di sindacati, è capace di avanzare su nuove forme di produzione di diritti e di libertà” e “in questo caso, le elezioni sono completamente periferiche rispetto al piano dei movimenti”.

Fonte: lostraniero.net

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