di Anna Maria Merlo
Terapia di gruppo a Bratislava, per curare la crisi esistenziale della Ue e tentare di presentare una Road Map di rilancio dell’Europa, che rischia lo «smembramento, la diluizione», ha allertato François Hollande, ed è «in una situazione critica» per Angela Merkel, lacerata tra nord e sud sull’economia e tra est e ovest sull’accoglienza dei profughi. Al vertice informale sotto presidenza slovacca i paesi Ue si sono riuniti a 27, senza la Gran Bretagna, che ha certo votato per il Brexit ma non ha ancora innescato l’attuazione dell’articolo 50 (è la prima volta che un paese membro è escluso, «stato paria», secondo i media britannici).
L’idea di rilancio parte dalla diagnosi, condivisa da tutti, che i cittadini chiedono «protezione». Ma l’interpretazione che ne danno i 27 è di concentrarsi sulla «sicurezza», contro terroristi e invasori «immigrati irregolari», con l’obiettivo puntato sulle frontiere esterne, per delineare i contorni di un’Europa della difesa.
L’idea di rilancio parte dalla diagnosi, condivisa da tutti, che i cittadini chiedono «protezione». Ma l’interpretazione che ne danno i 27 è di concentrarsi sulla «sicurezza», contro terroristi e invasori «immigrati irregolari», con l’obiettivo puntato sulle frontiere esterne, per delineare i contorni di un’Europa della difesa.
Ma resta un grosso scoglio: la difesa non è competenza della Ue, ma nazionale degli stati membri.
La questione della «sicurezza» del lavoro e della protezione sociale, che molto probabilmente interessa di più i cittadini europei, è stata soltanto sorvolata, senza impegni («dare speranze alle generazioni future», condividono Hollande e Renzi).
E’ facile fare ironia su vari simboli a Bratislava: la riunione ha avuto luogo in una fortezza medievale, costruita per difendersi da Mongoli, ottomani (e anche dai soldati di Napoleone). C’è stata una mini-crociera di 2 ore sul Danubio, unico momento in cui i capi di stato e di governo hanno evocato il Brexit, peraltro questione centrale perché, come ha sottolineato il presidente del Consiglio Donald Tusk, «non è solo un problema britannico, ma è rivelatore di un’inquietudine che si trova dappertutto in Europa». Ma anche Tusk, che ha inviato una lettera ai 27 dove ha usato nove volte i termini «protezione» o «proteggere», pensa prima di tutto di tradurli in termini di «difesa».
Due stati Ue rappresentano il 50% delle spese militari europee: Francia e Gran Bretagna. Adesso che Londra sta meditando sulle modalità del Brexit, Hollande insiste: «la Francia fa lo sforzo principale per la difesa europea, ma non puo’ essere sola». Simbolicamente, Hollande e Angela Merkel hanno tenuto una conferenza stampa comune a fine vertice, per mostrare la via di una nuova intesa Parigi-Berlino sul fronte della «difesa».
L’idea condivisa è di creare un quartier generale a Bruxelles, che potrebbe coordinare il rilancio dell’Eurocorps e dei battle groups (forze multinazionali di 1500 uomini, create nel 2007, che non sono state mai operative). La Commissione ha proposto delle obbligazioni comuni, per finanziare dei progetti nel campo della difesa. Di nuovi finanziamenti per la ricerca si parla in realtà da anni, quindi da Bratislava sono venute poche novità. Quello che potrebbe concretizzarsi è un maggiore coordinamento nella lotta al terrorismo, che già ha fatto passi avanti negli ultimi anni. L’obiettivo è rendere più «sicure» le frontiere esterne. Ieri, la Bulgaria, a cui Jean-Claude Juncker (Commissione) ha promesso 200 guardie, ha chiesto 160 milioni a Bruxelles per meglio organizzare i controlli.
Comunque, la Ue è una struttura complessa e lenta: di difesa il Consiglio (a 28, con la Gran Bretagna) parlerà al vertice di dicembre (quello di ottobre sarà dedicato all’economia). Se ci saranno delle decisioni, bisognerà pero’ probabilmente aspettare fino alle celebrazioni dei 60 anni del Trattato di Roma, il prossimo marzo nella capitale italiana.
Altro strano simbolo, in controtendenza: Bratislava a 27 rilancia l’idea di difesa europea, per convincere i cittadini che Bruxelles si occupa della loro «protezione», ma la Gran Bretagna, che ha ormai un piede fuori, ha appena nominato un nuovo commissario, Julian King (ex ambasciatore a Parigi), al posto di Jonathan Hill (che aveva i servizi finanziari, portafoglio troppo delicato in vista dei negoziati del Brexit): a King è stata affidata la responsabilità della «sicurezza», una novità (del resto, la competenza in questo campo resta nelle mani degli stati nazionali e c’è già un coordinatore Ue per la lotta al terrorismo, Gilles de Kerchove).
Questo pasticcio rivela che il Brexit non taglierà i ponti della cooperazione con Londra su queste questioni, anche se ieri i 27 hanno cercato di far passare l’idea che una maggiore cooperazione tra i paesi Ue sarà possibile una volta sgombrato il campo dalle reticenze britanniche (che non ha mai voluto creare situazioni di concorrenzialità con la Nato).
In tutti i paesi Ue c’è forte tensione sul problema dei profughi. Allora, i 27 prendono il problema dal lato della «sicurezza» e si impegnano a difendere «le frontiere esterne» contro l’entrata di persone indesiderate. E’ un modo per mettere un po’ a tacere le proteste del gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Slovacchia, Repubblica ceca), che rifiuta le «quote» di ricollocamento proposte dalla Commissione: più difesa viene interpretato a est come più sicurezza contro la Russia.
Fonte: Il manifesto
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