di David Lifodi
Ha ragione da vendere Aldo Zanchetta, quando scrive, nella prefazione al libro della giornalista free lance Orsetta BellaniIndios senza re, che sugli zapatisti è sceso il silenzio, a livello di media mainstream. Eppure la scintilla della rivolta indigena che il 1 gennaio 1994 apparve sulla scena mondiale è tutt’altro che spenta e, come racconta l’autrice, ogni giorno nelle comunità zapatiste prosegue il percorso di autonomia e resistenza. Indios senza re ha molti pregi. Il primo: si tratta di un libro di facile ad agevole lettura, che permette anche a coloro che non conoscono il contesto zapatista di sapersi calare nella realtà del Messico, e del Chiapas in particolare, e comprendere, senza particolari difficoltà, le motivazioni che hanno portato allevantamiento dell’Ezln.
In secondo luogo, grazie alle numerose fonti citate e alla capacità di Orsetta di narrare non solo il presente, con il taglio dei migliori reportage giornalistici sul campo, ma anche il passato, grazie ad un dettagliato racconto della storia del sudest messicano, dall’epoca dei conquistadoresai giorni nostri, si percepisce ancora meglio il sistema di sfruttamento e oppressione di cui sono state vittime le comunità indigene. Ad esempio, San Cristóbal de las Casas, la città simbolo della rivoluzione zapatista, il cui palazzo municipale fu occupato dall’Ezln il 1 gennaio 1994, è definita come “città vampiro”. Il perché di questa di questa poco lusinghiera definizione è presto spiegato: “vive del sangue e dello sfruttamento dei nativi”. Di conseguenza, non è casuale che proprio in Chiapas, e in particolare a San Cristóbal de las Casas, ci fosse terreno fertile per l’insurrezione indigena, poiché, proprio nella città simbolo dello zapatismo, osserva Orsetta Bellani, la discriminazione era stabilita per legge: “Ai nativi era proibito camminare nella piazza principale, andare per strada di notte e dovevano scendere dal marciapiede se si imbattevano in un meticcio”.
In secondo luogo, grazie alle numerose fonti citate e alla capacità di Orsetta di narrare non solo il presente, con il taglio dei migliori reportage giornalistici sul campo, ma anche il passato, grazie ad un dettagliato racconto della storia del sudest messicano, dall’epoca dei conquistadoresai giorni nostri, si percepisce ancora meglio il sistema di sfruttamento e oppressione di cui sono state vittime le comunità indigene. Ad esempio, San Cristóbal de las Casas, la città simbolo della rivoluzione zapatista, il cui palazzo municipale fu occupato dall’Ezln il 1 gennaio 1994, è definita come “città vampiro”. Il perché di questa di questa poco lusinghiera definizione è presto spiegato: “vive del sangue e dello sfruttamento dei nativi”. Di conseguenza, non è casuale che proprio in Chiapas, e in particolare a San Cristóbal de las Casas, ci fosse terreno fertile per l’insurrezione indigena, poiché, proprio nella città simbolo dello zapatismo, osserva Orsetta Bellani, la discriminazione era stabilita per legge: “Ai nativi era proibito camminare nella piazza principale, andare per strada di notte e dovevano scendere dal marciapiede se si imbattevano in un meticcio”.
Durante la sua permanenza in Chiapas, l’autrice ha avuto la possibilità di parlare con molte persone, dai simpatizzanti della lotta zapatista alle persone che fanno parte della base d’appoggio dell’Ezln.Indios senza re ha il merito di raccontare il percorso di resistenza zapatista a prescindere da Marcos. Certo, il subcomandante ha avuto ed ha tuttora un ruolo fondamentale (oggi nelle vesti di Galeano) nel saper guidare la rivoluzione indigena che però si caratterizza per i suoi tratti libertari. Del resto, proprio Marcos, fin dall’inizio, aveva messo in guardia la stessa sinistra rivoluzionaria dal culto dell’individuo, “non più necessario in un movimento che crede nel potere dal basso e nel comandare ubbidendo, e la cui dirigenza non è più meticcia ma indigena”. Orsetta evidenzia le difficoltà quotidiane del cammino rivoluzionario: dall’oppressione femminile in quanto donne, indigene e povere, da cui è comunque scaturita la Legge rivoluzionaria delle donne e l’introduzione della questione di genere nelle assemblee zapatiste (resistere all’interno della resistenza, osserva l’autrice), alle difficoltà che si trovano a dover affrontare ogni giorno non solo le Giunte di Buon Governo Zapatiste, ma anche i loro interlocutori. Indios senza re è un libro che è fatto di persone e che racconta il quotidiano, senza aver paura di esprimere, talvolta, le perplessità per le modalità di procedere che per noi occidentali, inizialmente, possono sembrare difficili da comprendere. Ad esempio, donazioni e proposte di progetti nei territori zapatisti devono passare necessariamente dal vaglio della Giunta di Buon Governo. Quest’ultima si riunisce con i rappresentanti dei municipi i quali, a loro volta, ne discuteranno con le basi d’appoggio zapatiste, quindi, come talvolta è accaduto anche ad associazioni solidali con la lotta zapatista, non è possibile imporre loro un determinato progetto. Ad esempio, se una comunità ha bisogno di una biblioteca e le viene imposto dall’alto un altro tipo di progetto, può darsi che quest’ultimo venga rispedito al mittente. In questo senso, l’autonomia zapatista è reale ed effettiva e , al tempo stesso, le comunità rifiutano i programmi governativi assistenzialisti, ritenuti a buon diritto parte della strategia di controinsurgenza perché finiscono per allontanare i beneficiari dalla resistenza. Gli zapatisti sono coscienti che il loro percorso verso l’autonomia è fatto anche di errori e battute d’arresto, ma questo è il loro modo di operare, quello che ha aperto la strada ai forum sociali e alle prime proteste anticapitaliste.
A questo proposito, l’autrice sottolinea lo sconcerto degli spagnoli, già a partire dal XVI secolo, in merito alla democrazia comunitaria degli indigeni mesoamericani e cita un passo di Eduardo Galeano che, nella sua opera Specchi, scrive: “I nuovi signori erano sconcertati: questi indios senza re avevano perso l’abitudine a ubbidire. Frate Tomás de la Torre raccontava, nel 1545, che i tzotziles di Zinancantán mettevano uno a dirigere la guerra e, quando non lo faceva bene, lo toglievano e ci mettevano un altro. In tempo di guerra o di pace, la comunità sceglieva come autorità la persona che, fra tutte, sapeva ascoltare meglio”. Questo è il principio che gli zapatisti osservano anche oggi e, come sottolinea Raúl Zibechi, giornalista e notevole conoscitore dei movimenti sociali latinoamericani intervistato da Orsetta Bellani, “le comunità zapatiste sono pratiche in divenire”.
E allora, per tornare alla prefazione di Aldo Zanchetta, è proprio da queste basi che nasce quella rivoluzione culturale e sociale conosciuta con il nome di “zapatismo”. Gli zapatisti sono più vivi che mai.
Fonte: Peacelink.it
Originale: http://www.peacelink.it/latina/a/43562.html
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