di Alba Vastano e Renzo Pesci
Pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà. Lo afferma più volte Gramsci in molti suoi scritti, tendendo sempre ad esaltare l’idea della volontà che corrisponde al non arrendersi mai. Sebbene nella lettera a Tatiana Schucht, datata 29 maggio 1933, mostri un cedimento “Fino a qualche tempo fa io ero…. ottimista con la volontà…Oggi non penso piú cosí. Ciò non vuol dire che abbia deciso di arrendermi, ma significa che non vedo piú nessuna uscita concreta e non posso piú contare su nessuna riserva di forze da esplicare ».Qui prevarrebbe il pessimismo dell’intelligenza, ma allora, in condizione di prigionia e di salute precaria il povero Gramsci ne aveva ben donde. Il saggio “Come alla volontà piace”, scritti sulla Rivoluzione russa, a cura di Guido Liguori, uno dei massimi saggisti italiani del pensiero gramsciano, non poteva essere edito in data più fausta.
Il 2017 è un anno memorabilis per spolverare la memoria su due eventi con un nesso importante: la Rivoluzione d’ottobre e gli ottant’anni dalla morte di Gramsci.
Il 2017 è un anno memorabilis per spolverare la memoria su due eventi con un nesso importante: la Rivoluzione d’ottobre e gli ottant’anni dalla morte di Gramsci.
Il nesso ce lo offre, rispolverato e rinverdito, Liguori nel suo saggio. Come scrive l’autore “La Rivoluzione russa del 1917 ha inciso profondamente sulla storia del Novecento. E anche sulla vita di Antonio Gramsci, giovane sardo emigrato a Torino e giornalista socialista. Formatosi nel clima antipositivistico del tempo, egli ha al centro del proprio bagaglio culturale l’importanza della soggettività e della volontà. È questa formazione a permettergli di entrare in sintonia con il pensiero e l’azione di Lenin, che contro tutte le previsioni del marxismo ortodosso, oggettivista e determinista, realizza la rivoluzione nel suo Paese. Gramsci diviene così uno dei più originali osservatori dei fatti di Russia”.
Per comprendere a fondo il pensiero di uno fra i maggiori intellettuali di sinistra del Novecento, cofondatore del partito comunista italiano e quali avvenimenti hanno determinato il suo incontro con la storia e con la Rivoluzione bolscevica, è necessario fare un passo indietro, rivisitando il percorso di un giovane militante, schierato “dalla parte delle classi subalterne, in cerca di riscatto. Quelle classi che a lungo cercarono di “fare come in Russia”. Nel 1917 arrivano in Italia gli echi della Rivoluzione russa. Gramsci aveva 26 anni, viveva a Torino e scriveva per le testate socialiste “L’Avanti” e “Il grido del Popolo”. Scoppia la guerra del pane, una sollevazione popolare che coinvolge molti paesi europei. Era l’agosto di quell’anno e il giovane sardo si afferma per i suoi scritti. Ha molto da scrivere per gli eventi eccezionali che si susseguono in quel periodo.
La guerra che reclutava militanti e gli arresti a seguito della rivolta popolare, fornirono molti spunti alla penna infaticabile e anticonvenzionale di Gramsci. Divenne direttore del giornale di partito, affermandosi come giornalista militante che poneva l’attenzione su una vastità di campi d’interventi con un’analisi attenta e originale che lo distingueva dai suoi compagni. Distinguendosi soprattutto per la sua cultura fondata su “uno storicismo di stampo idealistico, una interpretazione della storia e della società in cui si faceva già strada l’importanza delle idee e delle sovrastrutture per il cambiamento politico e sociale…”. Prende anche corpo negli scritti gramsciani di allora l’importanza della volontà. Il suo Odio gli indifferenti è una sorta di anatema a chi si lascia catturare dalla passività, e lo scrisse per i giovani socialisti in un articolo nel numero unico de “La città futura” dell’11 febbraio del 1917.
Il giovane Gramsci poneva, quindi la massima attenzione nel suo agire e nei suoi scritti “alla volontà, all’attività del soggetto e iniziativa rivoluzionaria” Interessarsi e coinvolgersi in tutto quello che accadeva in Russia, in quel periodo, fu per lui un percorso ovvio e naturale. Vide in quella rivoluzione la riscossa degli “internazionalisti, coerenti allo spirito dell’Internazionale e la rivoluzione “proletaria”. Afferma infatti che la rivoluzione bolscevica nasce da un atto proletario, perché ebbe origine da scioperi delle fabbriche della Russia zarista. Come precisa l’autore del saggio “soprattutto perché ha ignorato il giacobinismo, ovvero non ha dovuto conquistare la maggioranza con la violenza”. Una visione, questa dell’antigiacobinismo, piuttosto ingenua, afferma il saggista. Ingenua la convinzione di considerare rivoluzione come un fatto spirituale, come la liberazione degli spiriti.
Bisogna dare un senso a ciò intendendo l’atto spirituale come un atto costituente un nuovo ordinamento statale superiore a quello borghese, perché fondato su una classe proletaria con una umanità internazionalista. Un nuovo umanesimo che libera tutti. Ed è proprio questo che Gramsci intende realizzare, nell’esperienza dell’Ordine Nuovo a Torino, quando concepisce il ruolo dirigente dei lavoratori nei consigli di fabbrica, con un preciso rimando all’esperienza dei soviet russi. Un embrione del nuovo stato proletario fondato su teorie ben precise d’intendere sia il marxismo sia il socialismo in quegli anni. Scrive: “Lenin.. e i suoi compagni bolsceviki sono persuasi che sia possibile in ogni momento realizzare il socialismo. Sono nutriti di pensiero marxista. Sono rivoluzionari, non evoluzionisti”.
Troviamo quindi, nel Gramsci del ’17, un intellettuale comunista che si contrappone alla lettura del marxismo positivista, meccanicista, riformista, socialdemocratico, affermando che “il vero pensiero immanente e vivificatore pone come massimo fattore non i fatti economici bruti, ma l’uomo, ma le società degli uomini che si accostano fra di loro, sviluppano attraverso questi contatti una volontà sociale, collettiva e comprendono i fatti economici e li giudicano e li adeguano alla loro volontà, finché questa diventa la motrice dell’economia, la plasmatrice della realtà oggettiva…. Materia tellurica in ebollizione che può essere incanalata dove alla volontà piace, come alla volontà piace”.
Così il pensiero gramsciano s’incontra con la visione leninista dell’avanguardia cosciente, con la rottura dei partiti socialisti dominanti all’epoca e la necessità obiettiva di compiere l’atto rivoluzionario che coincide con la costituzione del partito comunista italiano, membro dell’Internazionale comunista, fondata a Mosca. Non più ribellismo, ma traduzione concreta di un ordinamento statale, proletario, in quanto costruttore/macchina di una nuova forma di società e di una nuova umanità che coniuga massima disciplina e determinazione per facilitare il bisogno di liberazione del proletariato dal dominio capitalistico. Questo binomio disciplina/determinazione che attiene alla massima concentrazione della volontà è oggi ancora più necessario a fronte della dimensione caotica con la crisi capitalistica in corso. “Se la classe dominante ha perduto il consenso, cioè non è più dirigente, ma unicamente dominante, detentrice della pura forza coercitiva, ciò appunto significa che le grandi masse si sono staccate dalle ideologie tradizionali, non credono più a ciò a cui prima credevano. La crisi appunto consiste nel fatto che il vecchio muore, ma il nuovo non può nascere. In questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati”. È importante mantenere la consapevolezza che la Rivoluzione è sempre possibile. Così “Come alla volontà piace”
Fonti:
Saggio:”Come alla volontà piace”, scritti sulla Rivoluzione russa, A cura di Guido Liguori- Ed. Castelvecchi, gennaio 2017
”La Rivoluzione contro il Capitale” A.Gramsci, pubblicato su “L’Avanti” il 24 Novembre 1917 e su “Il Grido del Popolo” il 5 gennaio 1918
Fonte: lacittafutura.it
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