La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 18 aprile 2017

Così la crisi del mattone ha reso i poveri ancora più poveri

di Maurizio Sgroi 
La crisi economica ha cambiato in modo marcato la composizione della ricchezza delle famiglie italiane. In che modo questo ha inciso sulle disparità? Qui sosterremo che il rimescolamento dei patrimoni – provocato dall’andamento declinante degli asset reali e da quello crescente degli asset finanziari – ha innescato un effetto redistributivo contribuendo all’aumento della diseguaglianza registrato fra il 2008 e il 2014. In Italia alla fine del 2014 – ultimo dato disponibile sul database Istat – l’indice di Gini, che misura la distribuzione del reddito, registrava un valore di 0,326 – dove 0 equivale a massima eguaglianza, e 1 a massima diseguaglianza. Il valore dell’indice era stato calcolato sottraendo il valore dell’affitto figurativo che il proprietario di casa attribuisce all’immobile che occupa.
Se lo si include, l’indice scende a 0,295, quindi verso una maggiore uguaglianza. La differenza misura il grado di diseguaglianza fra chi ha una casa e ci abita e chi non ce l’ha.
IL PICCO DEL 2011. Fatte queste premesse, guardiamo un po’ di dati storici. Nel 2003 l’indice di Gini era ancora più elevato (0,333), si riduce gradualmente fino al 2007 (0,32) quando ricomincia a salire per arrivare al picco (0,333) nel 2012, e riprendere un andamento discendente. L’andamento del reddito (che è un flusso) ha impattato ovviamente sul livello della ricchezza (che è uno stock), usualmente suddivisa in ricchezza reale e finanziaria. I dati Istat – a valore corrente del settembre 2016 e riferiti all’anno 2015 – quotano in circa 4.688 miliardi il valore delle abitazioni delle famiglie. Rispetto al picco raggiunto nel 2011, quando le famiglie avevano un valore immobiliare di 4.976 miliardi, il calo è stato di 288 miliardi, circa il 18% del Pil. Il calo ha riguardato in media tutti, ma questo non vuol dire che tutti ne abbiano patito le stesse conseguenze. Perché l’altra componente della ricchezza, quella finanziaria, per molti ha compensato la perdita di valore del mattone.
RICCHEZZA NETTA IN AUMENTO. Questa circostanza è visibile in un grafico tratto dall’ultimo rapporto Consob sulla scelta di investimento delle famiglie italiane. Come si vede, al calo del valore degli asset reali, per lo più abitazioni – il cui indice dei prezzi, secondo l’Istat, è sceso del 14,6% dal 2010 – ha corrisposto un graduale aumento del valore degli asset finanziari delle famiglie che secondo Bankitalia nel 2015 hanno raggiunto la cifra totale di 4.119 miliardi, al lordo di 917 miliardi di debiti. Questo aumento ha contributo all’appiattimento della curva della ricchezza che, malgrado il calo del mattone, è diminuita ma non è crollata. Anzi, nel 2015, calcola Consob, la ricchezza netta è addirittura cresciuta dello 0,4%. Mentre sappiamo che il calo della ricchezza reale ha penalizzato tutti i proprietari di abitazione – vale a dire i due terzi delle famiglie – resta da capire chi abbia goduto maggiormente della crescita della ricchezza finanziaria.
Di recente, in un’audizione al Senato, il governatore di Bankitalia Ignazio Visco ha sottolineato come sia cresciuta la concentrazione di fondi in strumenti a brevissimo termine o a vista, come i depositi bancari. Questi raccolgono il 27,2% (dato 2015) delle attività finanziarie delle famiglie, quasi sei punti in più rispetto 2005 (21,3%). In pratica i conti correnti hanno accolto parte dei disinvestimenti subiti da azioni e obbligazioni. Il resto è stato allocato in strumenti assicurativi e fondi pensione, mentre sono rimaste stabili le quote di fondi comuni. Insieme, circolante e depositi fanno il 30,9% delle attività finanziarie delle famiglie e, agli attuali tassi d’interesse, hanno rendimenti nulli, se non negativi. Quindi non è qui che va ricercata la crescita di valore che si è registrata negli asset finanziari. I guadagni li ha fatti chi ha investito in azioni, obbligazioni o risparmio gestito, non certo i titolari di conti correnti.
IL RAPPORTO DI PROMETEIA. Per capire meglio è utile guardare a un approfondimento di Prometeia (“Reddito e ricchezza delle famiglie italiane fra il 1995 e il 2014”) che divide le famiglie, per ricchezza, in 10 classi patrimoniali. Il rapporto rileva che per le famiglie più povere, «caratterizzate da ricchezza negativa a inizio e fine periodo (1995-2014, ndr), la posizione netta è peggiorata, sospinta da un incremento delle passività e da una riduzione delle attività reali non compensata dall’incremento delle attività finanziarie». La classe successiva, a salire, ha registrato una riduzione della ricchezza del -39,5%, la terza del -16,5%. Se stringiamo il fuoco sul periodo 2010-14, la ricchezza delle famiglie più povere «diventa ancora più negativa a causa di un forte calo del valore delle attività reali» non compensate da incrementi di ricchezza finanziaria. Che, infatti, si concentra tra le classi patrimoniali più elevate.
DIVARI ENORMI. «I divari tra i più poveri e i più ricchi sono enormi», scrive Prometeia, «indice di un forte grado di concentrazione della ricchezza: l’indice di Gini della ricchezza è, su tutto il periodo, di poco superiore» a 0,6, quasi il doppio di quello sul reddito, che abbiamo visto essere 0,32. La crisi del mattone, insomma, ha colpito i meno abbienti assai più delle altre classi di reddito, come conferma il fatto che «la quota di ricchezza netta dei più abbienti è rimasta stabile lungo tutto il periodo intorno al 30%». Quindi non è che i ricchi siano diventati tanto più ricchi. Sono i poveri a essere diventati più poveri.

Questo articolo è tratto dal nuovo numero di pagina99, "i dottor Stranamore della democrazia digitale", in edicola, in digitale e in abbonamento dal 14 al 20 aprile 2017.

Fonte: Lettera43 

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