La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 18 aprile 2017

Se la politica si misurasse sulla fotografia dell’Italia in Europa

di Aldo Carra
Abituati come siamo a rincorrere le statistiche quotidiane ed i commenti politici espressi in Tweet, analizzare il volume Noi Italia prodotto dall’Istat e al nono anno di vita non è semplice. Si tratta infatti di 100 statistiche che inquadrano l’Italia nel panorama europeo. Però una volta tanto vale proprio la pena di uscire dalla guerra quotidiana dei numeri in libertà e, vista anche la attualità del tema Europa, cercare di capire come ci collochiamo nella dimensione europea e soprattutto se miglioriamo o peggioriamo. Se, in sostanza, diventiamo più o meno europei. Diciamo subito, ricopiando quello che nel rapporto si dice, che nella maggioranza degli indicatori analizzati l’Italia appare ancora sistematicamente collocata al di sotto della media europea.
Questo vale soprattutto per la performance del sistema produttivo, con debolezze pesanti nell’ambito dell’economia della conoscenza, della formazione e nel mercato del lavoro. Ma c’è un settore del quale possiamo andare orgogliosi: è quello delle eccellenze agroalimentari, fattore di competitività delle realtà agricole locali dove i prodotti di qualità contribuiscono al mantenimento degli insediamenti umani e dell’attività agricola di tante aree interne altrimenti destinate all’abbandono. Non casualmente, un altro campo nel quale l’Italia si posiziona addirittura meglio rispetto alla media europea è la tutela dell’ambiente, la promozione di una crescita economica sostenibile.
Come pure notizie positive riguardano innanzitutto la salute. Affermazione che cozza contro il senso comune: la spesa sanitaria pubblica italiana è inferiore a quella dei principali partner europei, ma gli indicatori di mortalità ed altri indicatori della salute sono migliori della media europea. Altrimenti detto, la nostra riforma sanitaria ed il sistema di welfare conquistato, riescono ancora a resistere ai colpi di piccone dell’austerità, ai fenomeni corruttivi e di ingerenza della politica.
Pesanti, invece, rimangono ancora i divari con l’Europa in materia di istruzione e mercato del lavoro. Il tasso di abbandono scolastico è ancora superiore alla media europea, la percentuale di laureati ancora molto lontana dal 40% fissato come media europea. Se passiamo al mercato del lavoro ed al tasso di occupazione, per il quale la strategia europea prevedeva un aumento soprattutto nel campo della partecipazione femminile, abbiamo un bel record. Siamo nell’ultima posizione rispetto ai partner europei, anzi penultimi: solo la Grecia ha un tasso di occupazione più basso del nostro.
Questo quadro generale suggerisce considerazioni. In questi anni il sistema economico europeo ha goduto di condizioni favorevoli (prezzo del petrolio diminuito, euro svalutato, Quantitative easing). Mediamente i paesi europei hanno registrato tassi di crescita modesti. L’Italia è cresciuta meno degli altri e quindi il divario tra noi e l’Europa è aumentato. Di chiacchiere e di promesse ne abbiamo sentite molte di più, però. Forse qui, siano primi in Europa.
Seconda considerazione. È interessante che si cominci a concentrare l’attenzione non più solo sul Pil, ma su altri indicatori che rispecchiano le condizioni non solo economiche ma anche sociali e culturali del nostro paese. Nella nuova legge finanziaria finalmente si cominceranno a prendere in considerazione anche gli indicatori Bes (Benessere Equo Sostenibile). Quando si sarà in grado di sintetizzare questi indicatori in un megaindicatore affiancabile al Pil si potrebbe registrare un paradosso: che il Pil non cresce, ma che il Bes al contrario cresce, oppure che il Bes cresce più del Pil. Ma stiamo parlando di un futuro non vicinissimo. A oggi siamo ancora lontanissimi dai livelli di Pil di prima della crisi e le nostre contraddizioni e disuguaglianze aumentano.
Come attivare una ripresa economica, anche con investimenti pubblici, che possa creare un circolo virtuoso di miglioramento di condizioni economiche e di benessere sociale in una fase di risorse scarse. Come affiancare in sostanza una politica di nuova crescita ad una politica di redistribuzione di redditi, ricchezze, lavoro per avere maggiore uguaglianza. Sarebbe un bel compito per la politica collocarsi a questo livello ed affrontare questi che sono i problemi del futuro. Ma per adesso non se ne parla. Siamo impegnati nelle prove muscolari tra i tre capi del populismo all’italiana.

Fonte: Il manifesto 

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