La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

domenica 7 maggio 2017

Italia armata, nonostante i numeri

di Lorenzo Guadagnucci 
Il questore di Milano, Marcello Cardona, non ha nascosto una punta di preoccupazione, quando ha spiegato d’avere firmato negli ultimi mesi un numero insolitamente alto di dinieghi alle richieste di porto d’armi. È successo a Milano ma il fenomeno è nazionale: i cittadini sono allarmati e vogliono armarsi, con il ministero che ha scelto la linea della massima cautela e quindi l’applicazione rigorosa delle rigide norme sul porto d’armi. In Italia il totale delle licenze (fra difesa personale, uso sportivo e caccia) è di poco superiore al milione e siamo quindi lontani da una presenza diffusa delle armi da fuoco, ma qualcosa sta cambiando nel sentimento comune.
Alcuni episodi di cronaca hanno riacceso il dibattito sulla legittima difesa e il Parlamento sta discutendo una nuova riforma della legge (già corretta nel 2006) con l’obiettivo di allargare la “protezione” per il cittadino che spara all’intruso fra le mura domestiche. Nel discorso corrente -sui social network, ma anche sui giornali e nelle aule parlamentari- cresce l’insofferenza per il principio della proporzionalità fra offesa e difesa e si allarga l’idea che sia legittimo sparare e quindi uccidere il ladro scoperto in casa, a prescindere dalla reale condizione di pericolo per la propria incolumità.
La spinta a difendersi da soli nasce dall’enfasi acquisita dal tema della “sicurezza urbana”, mito politico-mediatico che ha fatto la fortuna elettorale nell’ultimo ventennio degli “imprenditori della paura”. Le statistiche degli ultimi anni danno indicazioni chiare: non esiste -dicono le cifre- un’emergenza sicurezza; il numero di reati, compresi quelli “predatori” (furti e rapine) che tanto allarmano il cittadino comune, sono in flessione. Perché, allora, tanta paura? Perché si invocano regole più permissive sulla legittima difesa? Perché aumentano le domande per il porto d’armi? 
La risposta va rintracciata dalle parti del luogo comune (bi e tripartisan) che si è radicato nel discorso politico: la preminenza da accordare alla “insicurezza percepita” rispetto alla realtà dei fatti. I crimini diminuiscono, la sicurezza urbana cresce, ma se i cittadini, convinti dai media e dagli “imprenditori della paura” si sentono insicuri, occorre intervenire ugualmente, come se quell’insicurezza fosse fondata.
È la teoria introdotta una decina di anni fa con il fatale “pacchetto sicurezza” dell’allora governo Prodi ed è stata rivendicata a chiare lettere dall’attuale ministro dell’Interno, Marco Minniti. L’opzione più semplice e in apparenza più ragionevole (anche più razionale) -ossia rassicurare mostrando l’infondatezza, dati alla mano, di certi timori- non è neppure presa in considerazione. Si preferisce la via indicata dagli imprenditori della paura: più polizia per strada, più strumenti di controllo e repressione, leggi più severe e diritti limitati. La nuova frontiera rischia d’essere davvero la difesa fai da te armi alla mano: il dibattitto sulla legittima difesa spinge in quella direzione. È possibile -ma andrebbe verificato- che tenere una pistola in casa rafforzi la sicurezza percepita, ma uno sguardo al Paese modello in materia di diffusione delle armi fra i cittadini -gli Stati Uniti- dovrebbe far pensare. Il giornalista francese Michel Floquet nel suo libro “Triste America” (Neri Pozza, 2016) ricorda il primato statunitense: “L’America è un Paese malato di armi. Più di 300 milioni di esemplari in circolazione. Undicimila morti in media all’anno. Circa 90mila feriti. Dal 1968 a oggi, negli Stati Uniti è stato ucciso con armi da fuoco più di un milione di persone…”.

Fonte: altreconomia.it 

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