di Giuseppe Civati
Una delle principali accuse rivolte a chi come me non si è adeguato al meno peggio, alle larghe intese prolungate da chi doveva farle finire per andare a votare, alle scelte molto simili al programma elettorale (degli altri, gli avversari, come si evince da: articolo 18, Sblocca Italia, infrastrutture, energia, immigrazione, tasse sulla casa, contanti, ecc.) è che con il nostro comportamento e le nostre prese di posizione aiuteremmo la destra. Ora, a parte che mezza destra governa il Paese da cinque anni (quattro più uno) con il fu-centrosinistra, a cominciare da Alfano, che mi pare si possa considerare di destra, così come Lorenzin, Lupi e altri che hanno fatto o continuano a fare i ministri e i sottosegretari.
A parte che si è deciso di proseguire con la legislatura per fare le riforme con Berlusconi (Nazareno), che mi pare si possa considerare di destra.
A parte che c’è chi ha stabilito, come manifesto politico, di dover superare le vecchie categorie di destra e di sinistra, definendosi irresistibilmente post-ideologico, presentandosi come partito della nazione, scegliendo modelli (l’ultimo, Macron) che dichiaratamente si colloca al centro (né di destra né di sinistra: Mitterand avrebbe detto «né di sinistra né di sinistra»).
A parte tutto ciò, mi chiedo se ad aiutare la destra non sia banalmente fare politiche di destra, facendo in modo che – come quel passo di Rilke citatissimo via Cuperlo, che parlava del futuro – la destra non entri in noi prima che accada: prima che vinca le elezioni, prima che si affermi elettoralmente.
A chi si preoccupa per eventuali alleanze con Alfano, segnalo che il problema è l’Alfano dentro di noi, non quello con cui eventualmente allearsi (anche perché è alleato già, da parecchio). A chi dice che uno schema con Berlusconi sarebbe la cosa più sbagliata, segnalo che è già successo e ha costituito l’elemento fondamentale per rilanciare proprio questa legislatura, che sarebbe stato meglio per tutti far terminare molto prima: il patto per andare al governo e fare le riforme, per scalzare Letta che aveva dichiarato decaduto il partner, convinto di poter andare avanti con i suoi eletti (i cosiddetti fuoriusciti: che in realtà sono stati fermi, è il Pd ad averli raggiunti sulle loro posizioni).
Quella «irresistibile tentazione di assomigliare alla destra» di cui ha scritto Roberto Della Seta insomma ha colpito ripetutamente lo schieramento un tempo progressista. Nell’ultima settimana abbiamo assistito a una vera escalation, con i commenti entusiasti dei milanesi di governo per il blitz in Stazione centrale, in linea con la Dottrina Minniti, e poi con la legittima difesa (a tratti ridicola, a tratti inquietante, comunque sbagliata).
Poi la colpa dell’affermarsi della destra sarebbe di chi le si oppone, in tutte le forme in cui essa si manifesta.
Pensa te.
P.S.: lo dico a chi come Boldrini e Pisapia si interroga ancora sulle «compatibilità»: tutto questo è già successo e non si cancella con un incantesimo. Rimane e conta nel giudizio degli elettori.
P.S./2: A proposito dell’argomento da cui siamo partiti (quello del turarsi il naso fino a soffocare) Luca Sofri oggi scrive: «La logica del “meno peggio”, il ricatto morale sulle conseguenze, l’adattarsi a un’offerta scarsa, sono da sempre l’arma vincente delle politiche povere, pigre, mediocri, e delle scelte di persone inadeguate e indigeste. I primi responsabili dei fallimenti dei partiti e dei progetti politici (con esteso concorso di elettori disinformati e mezzi di informazione sventati) sono i leader dei partiti e dei progetti politici: che chiedono sempre il conto dei loro fallimenti e delle loro offerte insoddisfacenti ai loro elettori, “perché se no vince coso”, e dopo però si dicono legittimati da quel voto col naso turato, e continuano sulle stesse strade» (qui).
Fonte: ciwati.it
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