di Vittorio Emiliani
Anche con la Manovrina i già derelitti Beni culturali e paesaggistici saranno fra i più penalizzati percentualmente. Infatti ammontano a 460 milioni di euro il totale di tagli previsti e al Collegio Romano dovranno privarsi di 12,860 milioni. Pochi? No, in percentuale essi formano infatti il 2,82 % della manovrina, mentre il bilancio di Beni Culturali, Spettacolo e Turismo rappresenta appena lo 0,25 % della spesa statale complessiva. Nel dettaglio, si legge nella manovra, il ministero del Beni culturali e del Turismo (Mibact) dovrà fare a meno di 9,579 milioni di euro per la “Tutela e valorizzazione dei beni e attività culturali e paesaggistici”, colpendo, per quasi 1 milione, anche i beni meno finanziato come quelli librari. Più che fondata dunque la protesta dei tecnici del Ministero.
Nei mesi scorsi il ministro Dario Franceschini aveva fatto suonare le trombe per aver riportato la spesa del suo ministero oltre i 2 miliardi. In realtà quella cifra veniva spesa già nel 2000 (governo D’Alema) e l’incidenza su quella complessiva dello Stato era dello 0,39 %. In seguito il governo Berlusconi aveva di continuo salassato il Mibac. Ma Francesco Rutelli (ultimo governo dell’Ulivo) aveva riportato gli stanziamenti del suo Ministero a 2,2 miliardi e ancora non doveva ricomprendere il Turismo (accorpato con Massimo Bray, governo Letta). Matteo Renzi aveva, sin dal 2011, da sindaco, dichiarato guerra al potere monocratico, burocratico e ottocentesco. Dario Franceschini no. Da capogruppo consiliare e da assessore, aveva avuto rapporti normali e le mostre di Ferrara Arte diretta, allora, da Andrea Buzzoni, non erano certo state “commerciali”. Ha stupito quindi il suo comportamento da rottamatore a tutta ruspa che procede ormai anche senza più Renzi alle spalle. Ma vediamo dodici mosse di questo autentico sconvolgimento.
Nei mesi scorsi il ministro Dario Franceschini aveva fatto suonare le trombe per aver riportato la spesa del suo ministero oltre i 2 miliardi. In realtà quella cifra veniva spesa già nel 2000 (governo D’Alema) e l’incidenza su quella complessiva dello Stato era dello 0,39 %. In seguito il governo Berlusconi aveva di continuo salassato il Mibac. Ma Francesco Rutelli (ultimo governo dell’Ulivo) aveva riportato gli stanziamenti del suo Ministero a 2,2 miliardi e ancora non doveva ricomprendere il Turismo (accorpato con Massimo Bray, governo Letta). Matteo Renzi aveva, sin dal 2011, da sindaco, dichiarato guerra al potere monocratico, burocratico e ottocentesco. Dario Franceschini no. Da capogruppo consiliare e da assessore, aveva avuto rapporti normali e le mostre di Ferrara Arte diretta, allora, da Andrea Buzzoni, non erano certo state “commerciali”. Ha stupito quindi il suo comportamento da rottamatore a tutta ruspa che procede ormai anche senza più Renzi alle spalle. Ma vediamo dodici mosse di questo autentico sconvolgimento.
La prima è stata lo Sblocca-Italia (analogo alle leggi Lunardi) con cui il governo Renzi ha istituito, senza che Franceschini si dissociasse, il silenzio-assenso se le Soprintendenze non rispondono entro 60 giorni alla richiesta di autorizzazioni (coi pochi architetti statali l’assenso è garantito, anche ai progetti peggiori). Silenzio/assenso ribadito in termini ancora più “stretti” con due recenti decreti!
Il secondo punto riguarda la valorizzazione che da Franceschini viene scissa in modo netto dalla tutela contando di trasformare (Renzi dixit) i musei “in macchine da soldi”. Ma il Grand Louvre e il Metropolitan sono passivi per un 50% dei mega-bilanci (il secondo registra un “buco” pregresso di 40 milioni di dollari), e coi milioni incassati da musei e siti statali italiani si copre sì e no l’8 % della nostra spesa per la cultura.
Terzo punto. Nella riforma Franceschini i musei vengono separati – anche quelli archeologici, di scavo, con casi grotteschi – dal territorio che li ha originati, scindendo pure uffici, archivi, fototeche, biblioteche, con un caos paralizzante.
Non solo. La riforma crea nuovi Poli Museali, spesso in modo confuso (Ferrara finisce con Modena diventata egemone), dove gli storici dell’arte superstiti si rifugiano. Così alle Soprintendenze non ne resta nemmeno uno per l’ufficio esportazione.”Bassa macelleria”, commenta Antonio Paolucci.
Sono stati individuati i primi 20 Musei di eccellenza, per essi si sono banditi non concorsi europei bensì selezioni in base ai curriculum e a un breve colloquio, con stipendi 4-5 volte superiori a quelli correnti. Un solo “interno” del Mibac viene promosso (Galleria Borghese), gli altri 19 sono tutti “esterni”, alcuni italiani (buoni e meno buoni), altri stranieri (nessuno di alto livello). Con scelte incomprensibili: un etruscologo, dalla bibliografia molto modesta, al Museo greco-romano di Napoli, una medievista a quello tarantino della Magna Grecia, un esperto di marketing alla Reggia di Caserta (bibliografia? Due libri co-firmati sui cimiteri monumentali).
Hanno partorito idee brillanti? Mostre su mostre, matrimoni al museo o fra le rovine, feste di laurea, aperitivi, sfilate, cose arcinote che anni fa lo stesso Franceschini aveva definito “piuttosto kitsch”.
Fonte: Left
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