di Andrea Salvo Rossi
Il dibattito politico mainstream è infiammato dall’approvazione alla camera della riforma del codice penale relativa alla legittima difesa. La centralità della discussione dipende da una serie di fattori: prima di tutto la più vasta importanza che, nello spazio pubblico, sta guadagnando il tema della sicurezza, declinata costantemente insieme al vero perno dell’attuale scenario politico, ossia la questione migrazioni. Volendo indicare due fattori-sintomi di questo quadro: il pacchetto sicurezza consegnato da Minniti sul tavolo operativo del Governo Gentiloni e la kermesse leghista del 25 aprile che, con un’acrobatica torsione semantica, ha deciso di celebrare la festa della liberazione dal nazifascismo come festa della liberazione – tout court – dallo “straniero” (confondendo, nella fretta, prima e seconda guerra mondiale, dato che uno degli slogan proposti da Salvini veniva diritto da Il piave mormorava).
La legittima difesa (anzi, nella «difesa sempre legittima») dei cittadini contro chi minaccia l’incolumità loro e della loro proprietà (aggressori sempre stranieri, va da sé, oppure con l’accento marcatamente meridionale) è stata individuata come uno degli antidoti allo stato di pericolo permanente cui il paese sarebbe sottoposto dai flussi migratori.
La legittima difesa (anzi, nella «difesa sempre legittima») dei cittadini contro chi minaccia l’incolumità loro e della loro proprietà (aggressori sempre stranieri, va da sé, oppure con l’accento marcatamente meridionale) è stata individuata come uno degli antidoti allo stato di pericolo permanente cui il paese sarebbe sottoposto dai flussi migratori.
Tutto questo ha prodotto un susseguirsi di prese di posizione più o meno scomposte, dopo il passaggio della riforma alla Camera, amplificate e rimbalzate dall’indiretto libero del popolo della rete.
La mia sensazione, a un giorno da questa canea, è che nessuno si sia preso la briga di leggere il testo della riforma: altrimenti – ma su questo tornerò tra un attimo – non si spiegherebbe una tale messe di commenti furibondi ad un testo che, sostanzialmente, non ha alcun effetto giuridico apprezzabile.
Ma veniamo alla riforma (bisognerebbe aprire una parentesi, poi, sul fatto che praticamente nessun quotidiano nazionale si prenda la briga di mettere in calce alle proprie considerazioni, sempre preziosissime, il testo crudo degli emendamenti normativi di cui si sta discutendo).
La riforma vorrebbe intervenire sugli articoli 52 e 59 del codice penale. Il primo, specificamente dedicato alla legittima difesa, recita:
«Non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa.
Nei casi previsti dall'articolo 614, primo e secondo comma, sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un'arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere:
a) la propria o la altrui incolumità:
b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d'aggressione»
Il secondo, relativo alle circostanze di reato non conosciute o erroneamente supposte, che recita:
«Le circostanze che attenuano o escludono la pena sono valutate a favore dell'agente, anche se da lui non conosciute, o da lui per errore ritenute inesistenti.
Le circostanze che aggravano la pena sono valutate a carico dell'agente soltanto se da lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa.
Se l'agente ritiene per errore che esistano circostanze aggravanti o attenuanti, queste non sono valutate contro o a favore di lui.
Se l'agente ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena, queste sono sempre valutate a favore di lui. Tuttavia, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo.»
La modifica dell’articolo 52 considera legittima la difesa, nei casi di violazione di domicilio, se essa si configura come:
«1.la reazione a un’aggressione commessa in tempo di notte (eviterei di commentare la bizzarria linguistica di rendere l’espressione latina noctis tempore con ‹‹tempo di notte›› e non con ‹‹nottetempo›› oppure, come la comunità di parlanti italiani ha unanimemente deciso di fare direi da un po’ di tempo, ‹‹di notte››).
2.la reazione a seguito dell'introduzione nel domicilio con violenza alle persone o alle cose ovvero con minaccia o con inganno.»
La modifica dell’articolo 59 specifica che – nei casi di legittima difesa domiciliare – è sempre esclusa la colpa se sussiste la simultanea presenza di due condizioni:
«1.se l'errore è conseguenza di un grave turbamento psichico causato dalla persona contro cui è diretta la reazione;
2.se detta reazione avviene in situazioni che comportano un pericolo attuale per la vita, per l'integrità fisica o per la libertà personale o sessuale.»
costo di essere pedante, questo era il modo in cui ogni ragionamento doveva essere impostato. Non bisogna essere dei luminari del diritto penale per rendersi conto che questa riforma non solo non è efficace, ma non è nemmeno efficiente. Il problema non è tanto che essa non risolve i problemi di cui discute, ma che – semmai – non incide in nessun modo sullo status quo giuridico-penale.
A dirlo non è solo un fazioso commentatore dei centri sociali, ma anche il presidente emerito della corte costituzionale Cesare Mirabelli, membro del consiglio superiore di Banca d’Italia, non proprio una toga rossa eversiva. Basta leggere il testo del codice e quello degli emendamenti per capire che essi si limitano a segnalare alcuni casi di specie che erano già implicitamente contenuti nella formulazione di partenza (che, del resto, porta il nome di Alfredo Rocco, Ministro di Grazie e Giustizia del governo Mussolini, un altro insospettabile di andarci morbido contro chiunque minacciasse la proprietà privata).
Più semplicemente gli emendamenti prescrivono quanto già era prescritto. Essi pescano nel calderone delle circostanze attenuanti cui fa riferimento il codice penale e ne elencano qualcuna. Dal momento che sulle attenuanti decide il giudice (come si preme di ricordarci Il Giornale, convinto di aver scoperto il raggiro), non c’è alcun bisogno di un (così breve) elenco. Se si volessero segnalare tutti i casi, le circostanze, le curiosità del destino che possono concorrere a modificare la valutazione di un atto (fino ad escluderne la colpevolezza), ci sarebbe bisogno di un codice di migliaia di pagine, senza per questo venire a capo di nulla.
Esiste la nozione di attenuanti generiche ed esiste la sinderesi del giudice perché non esiste un Codice Totale, all’interno del quale ogni caso particolare è previsto nelle sue più infinitesimali caratteristiche: se esistesse non avremmo bisogno di giudici, perché un elaboratore elettronico di dati potrebbe fare più velocemente e meglio il loro lavoro. Questo è quanto: questa legge non fa nient’altro. Non autorizza a «sparare alla cieca di notte», non perché lo vieti, ma perché «sparare di notte» era già un comportamento eventualmente capace di configurare una difesa legittima, stante le circostanze in cui questo comportamento accade, di cui l’agente dà conto e di cui il giudice decide.
Non bisogna essere dei luminari e, in effetti, se ne sono accorti persino dai banchi della Lega e del 5 Stelle, che urlano alla legge truffa e alla propaganda renziana. E, duole dirlo, ne hanno ben donde.
Veniamo infatti al vero problema. All’inizio di quest’articolo ho detto che la riforma non ha alcun effetto giuridico. Questo non vuol dire che non abbia alcun effetto politico.
In sé la riforma è un evento linguistico: essa produce la realtà di cui parla. La ‹‹legittima difesa domiciliare notturna›› non è una realtà che preesiste questa riforma, essendo piuttosto invece immersa nel continuum di possibilità nelle quali si muove la discrezione del giudice. Questa specificazione – inutile dal punto di vista legale – permette invece al Partito Democratico di poter dire «abbiamo riformato la legittima difesa». L’entourage di Renzi, d’altronde, si interroga da diversi mesi su come recuperare quel bacino di elettorato che – a loro giudizio – si incarna nei voti contrari alla riforma costituzionale di dicembre. Un voto che viene evidentemente individuato (ce lo dicono atti come questi) nel serbatoio del 5 Stelle e della Lega Nord, sul quale va lanciata un’OPA a partire dall’apertura su temi appannaggio delle ‹‹destre populiste›› (i fan del 5 Stelle che non fossero tra quanti si sono ravveduti nell’ultim’ora mi perdoneranno la semplificazione) ossia – segnatamente – sicurezza e immigrazione.
Questa riforma non serve a nient’altro che a dire che una riforma esiste.
Questa riforma non serve a nient’altro che a dire che una riforma esiste.
Perché dedicarci del tempo, dunque? Perché la mia sensazione è che riforme di questo tipo siano indicatori di una specifica strategia comunicativa e politica (meglio: comunicativa, dunque politica) che appartiene al renzismo e che sta facendo scuola. Questa configura una sorta di populismo di centro, parte politica apparentemente paradossale, non fosse che, in Francia, essa si candida a vincere le elezioni presidenziali.
Che fare, dunque? Il rischio di chi ambisce ad individuare uno spazio di ricomposizione sociale e politica in basso a sinistra è quello di assumere, più o meno consapevolmente, l’ordine del discorso populista. Ossia: se Renzi dice «finalmente ora potete uccidere», noi diciamo «è sbagliato uccidere». Ma in realtà – lo sa Renzi e lo sappiamo anche noi – la materialità della legge dice tutt’altro (anzi, a ben vedere, non dice assolutamente nulla). Può essere una scelta tattica, certo: stare all’interno dello spazio populista e provare a prenderne gli enunciati ed invertirne il segno, ma giocando sullo stesso piano irrazionale-emotivo sul quale si muove l’avversario.
Un’alternativa potrebbe essere, saltuariamente, provare ad essere intelligenti e ricondurre l’analisi politica ad un regime consequenziale di senso, in cui i passaggi che producono il significato – ancorché precari, modificabili, mobili – siano chiariti.
Il salotto berciante in cui ognuno dice la sua opinione, il discorso pubblico patemizzante, non mi sembra abbia per noi un’efficacia nemmeno blandamente tattica: non abbiamo gli strumenti e, dunque, la pervasività dell’avversario per giocare (unicamente) su quel terreno.
Ci si potrebbe fidare dell’idea che le persone (tutti noi in quanto persone) abbiano l’intelligenza di capire la verità effettuale delle cose quando viene loro spiegata, senza per forza scegliere la scorciatoia emozionale, l’ossificazione dell’argomentazione per chiedere, piuttosto, un’adesione viscerale e non cognitiva al messaggio.
L’alternativa, in soldoni, è giocare a chi la spara più grossa, cosa che non mi pare porti tanto lontano.
Fonte: globalproject.info
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