La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 2 dicembre 2015

Guerre, pace, socialismo. Intervista a Noam Chomsky

Intervista a Noam Chomsky di Emanuel Stoakes
Noam Chomsky, per riprendere un cliché, è tra i più grandi intellettuali radicali viventi del mondo. Non è meno trito o vero che è anche una figura ampiamente controversa: accusato da vari settori di una varietà di mancanze, che vanno dalla “negazione del genocidio” a un rigido “quietismo amorale” di fronte ad atrocità di massa. Più di recente critici di tendenze diverse tra loro affermano di aver indentificato una serie distoltezze nelle sue dichiarazioni a proposito della Siria.
Nell’intervista che segue il giornalista indipendente Emanuel Stoakes sottopone a Chomsky alcune di tali critiche.
Pur riaffermando la sua opposizione a un intervento militare a tutto campo, Chomsky afferma di non opporsi in linea di principio all’idea di una zona d’interdizione al volo stabilita accanto a un corridoio umanitario (sebbene i recenti interventi di Putin non abbiano fatto altro che uccidere la prima opzione). Chomsky chiarisce anche la sua posizione sul massacro di Srebrenica del 1995 e sull’intervento della NATO in Kosovo nel 1999.
Oltre a rispondere ai suoi critici, Chomsky offre le sue riflessioni su una vasta gamma di altri argomenti: che cosa si dovrebbe fare per combattere l’ISIS, il significato delle lotte in America del Sud e il futuro del socialismo.
Come sempre, traspare la sua fede di fondo nella nostra capacità di costruire una società migliore.

***

Qual è la tua reazione agli attacchi di Parigi di questo mese e che cosa pensi dell’attuale strategia occidentale di bombardare l’ISIS?
"La strategia attuale chiaramente non sta funzionando. Le dichiarazioni dell’ISIS sia a questo riguardo sia a proposito dell’aereo di linea russo sono state esplicite: voi ci bombardate e voi soffrirete. [L’ISIS] è una mostruosità e questi sono crimini tremendi, ma nascondere la testa nella sabbia non serve.
Il risultato migliore sarebbe che l’ISIS fosse distrutto da forze locali, il che potrebbe accadere ma ci vorrà l’accordo della Turchia. E il risultato sarebbe pessimo se elementi jihadisti appoggiati da Turchia, Qatar e Arabia Saudita fossero i vincitori.
L’esito ottimale sarebbe una soluzione negoziata del genere di quello che è fatto avanzare lentamente a Vienna, combinato con quanto detto più sopra. Una strada lunga.
Piaccia o no, l’ISIS sembra essere stabilito piuttosto solidamente in aree sunnite dell’Iraq e della Siria. Sembra essere impegnato in un processo di costruzione di uno stato che è estremamente brutale ma alquanto vincente e attrae il sostegno di comunità sunnite che possono detestare l’ISIS ma che lo vedono come la sola difesa da alternative che sono anche peggiori. La sola grande potenza regionale che si sta opponendo è l’Iran, ma le milizie sciite sostenute dall’Iran sono considerate brutali quanto l’ISIS e probabilmente mobilitano sostegno a quest’ultimo.
I conflitti settari che stanno facendo a brandelli la regione sono sostanzialmente una conseguenzadell’invasione dell’Iraq. Questo è ciò che intende lo specialista del Medio Oriente Graham Fuller, un ex analista della CIA, quando afferma “penso che gli Stati Uniti siano uno dei creatori chiave di questa organizzazione”.
La distruzione dell’ISIS con ogni mezzo immaginabile potrebbe gettare le basi per qualcosa di peggiore, come è andato accadendo regolarmente con gli interventi militari. Il sistema di stati imposto nella regione dalle potenze imperiali francese e britannica dopo la prima guerra mondiale, con scarsa attenzione alla popolazione sotto il loro controllo, si sta disfacendo.
Il futuro appare fosco, anche se ci sono alcuni raggi di luce, come nelle aree curde. Possono essere fatti passi per ridurre molte delle tensioni nella regione e per contenere e ridurre il livello follemente elevato degli armamenti, ma non è chiaro che cosa possano fare potenze esterne più che soffiare sul fuoco, come sono andate facendo per anni."
In precedenza quest’anno abbiamo visto il governo greco lottare con i suoi creditori per elaborare un accordo. E’ allettante considerare tale resa dei conti, così come la crisi nel suo complesso, meno come un caso della UE in cerca di gestire una crisi debitoria nell’interesse comune dell’unione e più come una lotta tra la società greca e quelli che traggono vantaggio dall’austerità. Saresti d’accordo? Come vedi la situazione?
"Non ci sono stati tentativi seri di gestire una crisi debitoria. Le politiche imposte alla Grecia dalla troika hanno aggressivamente esacerbato la crisi minando l’economia e bloccando opportunità sperabili di crescita. Il rapporto debito/PIL è oggi più elevato di quanto lo era prima che fossero istituite queste politiche ed è stato imposto un tremendo pedaggio alla popolazione greca, mentre le banche tedesche e francesi che hanno una larga parte di responsabilità per la crisi se la passano bene.
I cosiddetti “salvataggi” della Grecia sono finiti prevalentemente nelle tasche dei creditori, sino al 90 per cento, secondo alcune stime. L’ex capo della Bundesbank Karl Otto Pohl ha osservato, molto plausibilmente, che l’intera faccenda “ha riguardato la protezione delle banche tedesche, ma specialmente della banche francesi, da cancellazioni del debito”.
Commentando sull’importante rivista dell’establishment statunitense Foreign Affairs, Mark Blyth, uno dei critici più articolati dei programmi di austerità distruttiva nel corso di una depressione, scrive: “Non abbiamo mai capito la Grecia perché abbiamo rifiutato di vedere la crisi per quello che è: una prosecuzione di una serie di salvataggi del settore privato iniziata nel 2008 e che continua a rimbombare oggi”.
E’ riconosciuto da ogni parte che il debito non può essere rimborsato. Avrebbe dovuto essere ristrutturato radicalmente molto tempo fa, quando la crisi avrebbe potuto essere gestita agevolmente, o semplicemente essere dichiarato “odioso” e cancellato.
Il volto sgradevole dell’Europa contemporanea è mostrato dal ministro tedesco delle finanze Schaeuble, apparentemente la figura politica più popolare in Germania. Come riferito dall’agenzia Reuters, egli ha spiegato che “per portare il debito del paese a un livello gestibile potrebbe essere necessaria la cancellazione di parte dei prestiti dell’Europa alla Grecia”, mentre “contemporaneamente ha escluso un passo simile”. In breve, via abbiamo munti quanto più abbiamo potuto, dunque andate al diavolo. E letteralmente gran parte della popolazione sta finendo all’inferno, con le speranze di una sopravvivenza decente cancellate.
In realtà i greci non sono stati ancora munti del tutto. L’accordo vergognoso imposto dalle banche e dalla burocrazia include misure per assicurare che i beni greci finiranno nelle mani avide giuste.
Il ruolo della Germania è particolarmente vergognoso, non solo perché la Germania nazista devastò la Grecia, ma anche perché, come ha segnalato Thomas Piketty sul Die Zeit, “la Germania è realmente il singolo miglior esempio di un paese che, in tutta la sua storia, non ha mai rimborsato il suo debito estero, né dopo la prima né dopo la seconda guerra mondiale”.
L’Accordo di Londra del 1953 cancellò più di metà del debito della Germania, ponendo le basi per la sua ripresa economica, e attualmente, ha aggiunto Piketty, lungi dall’essere “generosa”, in questi giorni la “Germania sta ricavando profitti dalla Grecia concedendo prestiti a tassi d’interesse relativamente elevati”. L’intera faccenda è sordida.
Le politiche d’austerità che sono state imposte alla Grecia (e, in generale, all’Europa) sono sempre state assurde da un punto di vista economico, e sono state un completo disastro per la Grecia. Come armi di guerra di classe, tuttavia, sono state parecchio efficaci nel minare il sistema del welfare, nell’arricchire le banche del nord e la classe degli investitori e nello spingere la democrazia ai margini.
Il comportamento della troika oggi è una sciagura. E’ difficile dubitare che il suo obiettivo consista nello stabilire con fermezza il principio che ai padroni si deve obbedire: la disobbedienza alle banche del nord e alla burocrazia di Bruxelles non sarà tollerata e le idee di democrazia e di volontà popolare in Europa vanno abbandonate."
Pensi che la lotta in corso sul futuro della Grecia sia rappresentativa di molto di ciò che al momento sta accadendo nel mondo, cioè una lotta tra i bisogni della società e le pretese del capitalismo? In tal caso vedi qualche speranza di risultati umani decenti quando i jolly sembrano essere tutti in mano a un piccolo numero di persone legate al potere privato?
"In Grecia, e più in generale in Europa, in grado diverso, alcune delle conquiste più ammirevoli degli anni postbellici sono in corso di cancellazione sotto una versione distruttiva dell’aggressione neoliberista alla popolazione globale della passata generazione.
Ma ciò può essere rovesciato. Tra gli studenti più obbediente dell’ortodossia neoliberista ci sono stati i paesi dell’America Latina e, non sorprendentemente, sono stati tra quelli che hanno sofferto il danno peggiore. Ma in anni recenti hanno inaugurato la via al rifiuto dell’ortodossia e, più in generale, per la prima volta in cinquecento anni, stanno compiendo passi considerevoli verso l’unificazione, liberandosi dal dominio imperiale (statunitense nello scorso secolo) e affrontando gli impressionanti problemi interni di società potenzialmente ricche che erano tradizionalmente governate da élite ricche (prevalentemente bianche) orientate all’estero in un mare di miseria.
Syriza in Grecia può aver segnalato uno sviluppo simile, ed è per questo che ha dovuto essere schiacciata così ferocemente. Ci sono altre reazioni in Europa e altrove che potrebbero determinare un rivolgimento della marea e condurre a un futuro molto migliore."
Quest’anno è caduto il ventesimo anniversario del massacro di Srebrenica. E’ emerso che gli Stati Uniti avevano osservato in tempo reale dai satelliti gli assassinii in corso e molte delle grandi potenze del mondo sono state negligenti o peggio quando si è trattato di compiere tentativi di prevenire un massacro prevedibile nella località. Che cosa pensi si sarebbe dovuto fare all’epoca? Pensi, per esempio, che ai mussulmani bosniaci avrebbe dovuto essere offerta molto prima una maggiore possibilità di difendersi?
"Srebrenica era un’area sicura scarsamente protetta, e non dovremmo dimenticare che grazie a quello status era una base delle milizie bosniache assassine di Nasir Oric per attaccare i villaggi serbi circostanti, esigendo un prezzo brutale e vantandosi del risultato. Che prima o dopo ci sarebbe stata una reazione serba non era troppo sorprendente e avrebbero dovuto essere adottate misure per “prevenire il massacro prevedibile”, per usare le tue parole.
L’approccio migliore, che avrebbe potuto essere attuabile, sarebbe consistito nel ridurre le ostilità nella regione, o forse por loro fine, anziché consentire che si intensificassero."
Tu sei stato fatto oggetto di una quantità di critiche per la tua posizione riguardo all’intervento in Kosovo. La mia interpretazione (forse sbagliata) è che tu ritieni che ci fossero alternative ai bombardamenti e che la violenza avrebbe potuto essere fermata se ci fosse stata una maggiore volontà politica di trovare una soluzione diplomatica. E’ corretto? Puoi esporre che cosa avrebbe potuto essere fatto come alternativa?
"Non ho visto critiche della mia posizione sull’intervento ed è improbabile che ce ne siano, per il semplice motivo che a malapena ho preso una posizione. Come ho reso esplicito in ciò che ho scritto sull’argomento (The New Military Humanism) ho sì e no discusso la correttezza dell’intervento della NATO. Ciò è chiaramente affermato nelle prime pagine.
L’argomento è, in effetti, toccato, a tre pagine dalla fine, osservando che ciò che precede – l’intero libro – lascia “irrisolta” la domanda su che cosa avrebbe dovuto essere fatto in Kosovo, anche se sembra un “giudizio ragionevole” che gli Stati Uniti stessero scegliendo una delle più dannose tra diverse opzioni disponibili.
Come spiegato chiaramente e in modo non ambiguo sin dall’inizio, persino dal titolo, il libro si occupa di un argomento interamente diverso: l’importanza degli eventi in Kosovo nella “nuova era” di “principi e valori” guidata da “stati illuminati” la cui politica estera è entrata in una “fase nobile” con un “alone di santità” (per citare parte della retorica celebrativa esaminata).
Quel tema importantissimo deve essere rigorosamente distinto dalla questione di che cosa avrebbe dovuto essere fatto, che io ho a malapena affrontato. Un tema importante, ed evidentemente impopolare, meglio se evitato. Non ricordo di aver mai visto una menzione del tema dell’intero libro nei commenti critici a esso.
Ho effettivamente esaminato le opzioni diplomatiche disponibili, segnalando che la soluzione, dopo 78 giorni di bombardamenti, era un compromesso tra le posizioni di NATO e Serbia prima dei bombardamenti.
Un anno dopo, a guerra finita, nel mio libro A New Generation Draws the Line ho esaminato in ampio dettaglio la ricca storia documentale occidentale sul retroscena immediato del bombardamento. Rivela che c’era un costante livello di violenza diviso tra i guerriglieri del KLA che attaccavano dall’Albania e una brutale reazione serba, e che le atrocità si erano pesantemente intensificate dopo i bombardamenti, esattamente come previsto pubblicamente, a privatamente alle autorità statunitensi, dal generale comandante Wesley Clark.
Se ci sono state critiche di quello che ho effettivamente scritto, non le ho viste, anche se hai ragione nel dire che c’è stata una grande quantità di condanne furiose, precisamente di ciò che non avevo scritto.
Quanto all’alternativa possibile, c’erano alcune opzioni diplomatiche che parevano piuttosto promettenti. Se avrebbero potuto funzionare non lo sappiamo, poiché furono ignorate a favore dei bombardamenti.
L’interpretazione solita, che ho esaminato altrove, è che i bombardamenti erano motivati da una forte impennata delle atrocità. Questa inversione della cronologia è assolutamente standard, e utile a stabilire la legittimità della violenza della NATO. L’impennata delle atrocità fu la conseguenza dei bombardamenti, non la causa e, come segnalato, era stata predetta molto pubblicamente e autorevolmente."
Quale pensi fosse l’obiettivo reale dell’intervento NATO nei Balcani?
"Se possiamo credere alla dirigenza statunitense-britannica, l’obiettivo reale era stabilire la “credibilità della NATO” (c’erano altri pretesti, ma sono crollati presto): Come Tony Blair ha sintetizzato il motivo ufficiale, il mancato bombardamento “avrebbe sferrato un colpo devastante alla credibilità della NATO” e “il mondo sarebbe stato meno sicuro in conseguenza di ciò”, anche se, come ho esaminato in un certo dettaglio, il “mondo” era prevalentemente contrario, spesso molto fortemente.
“Stabilire la credibilità” – fondamentalmente il principio della mafia – è una caratteristica significativa della politica delle grandi potenze. Uno sguardo più approfondito suggerisce motivi che vanno oltre a quelli sottolineati ufficialmente."
Ti opponi all’intervento militare in qualsiasi circostanza nel corso di tragici disastri umanitari? Quali sono le condizioni che lo renderebbero accettabile, secondo te?
"I pacifisti puri si opporrebbero sempre all’intervento militare. Io non sono uno di essi, ma penso che, come ogni ricorso alla violenza, esso ha un pesante onere della prova. E’ impossibile dare una risposta generale circa quando sia giustificato, a parte alcune formule inutili.
Non è facile trovare casi genuini in cui l’intervento sia stato giustificato. Ho esaminato i dati storici e accademici. Sono molto esigui. Due esempi possibili emergono nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale: l’invasione vietnamita della Cambogia, che pose fine a crimini dei Khmer Rossi quando erano al loro massimo, e l’invasione indiana del Pakistan che pose fine alle odiose atrocità nell’ex Pakistan est.
Questi due casi, tuttavia, non entrano nel canone standard, a causa del pregiudizio del “protagonista sbagliato” e perché a entrambi si era duramente opposta Washington, che reagì in modi molto violenti."
Passando alla Siria, vediamo una situazione umanitaria spaventosa e nessuna fine in vista in termini di guerra intestina. Conosco alcuni attivisti siriani che sono infuriati per quella che percepiscono come la tua tolleranza all’immensa miseria vissuta da quelli che convivono con i ‘barili bomba’ e così via; dicono questo perché pensano che tu ti opponga a qualsiasi genere di intervento contro Assad, per quanto limitato, per motivi ideologici.
E’ accurato o corretto? Appoggeresti l’idea di una zona d’interdizione al volo con un corridoio umanitario rinforzato? Puoi chiarire la tua posizione sulla Siria?
"Se l’intervento contro Assad mitigasse la situazione spaventosa, o le ponesse fine, sarebbe giustificato. Ma lo farebbe? L’intervento non è appoggiato da osservatori attenti sul campo con una profonda conoscenza della Siria e della situazione attuale: Patrick Cockburn, Charles Glass e parecchi altri che sono duri critici di Assad. Loro avvertono, con non poca plausibilità, penso, che potrebbe ben esacerbare la crisi.
I precedenti dell’intervento militare nella regione sono stati terribili, con rare eccezioni; un fatto che difficilmente può essere trascurato. Zone d’interdizione al volo, corridoi umanitari, sostegno ai curdi e alcune altre manovre probabilmente sarebbero utili. Ma mentre è facile sollecitare l’intervento militare, non è una questione semplice fornire piani ragionati e ben approfonditi, tenendo conto delle conseguenze probabili. Io non ne ho visti.
Si può immaginare un mondo in cui l’intervento sia attuato da una qualche forza benigna dedita agli interessi di chi soffre. Ma se ci preoccupiamo delle vittime, non possiamo fare proposte per mondi immaginari. Solo per questo mondo, in cui l’intervento, con rara coerenza, è attuato da potenze dedite agli interessi propri, in cui le vittime e il loro fato sono marginali, nonostante nobili espressioni.
La storia è dolorosamente chiara, e non ci sono state conversioni miracolose. Ciò non significa che un intervento non possa mai essere giustificato, ma queste considerazioni non possono essere ignorate, almeno se ci importa delle vittime."
Guardando indietro alla tua lunga vita di attivismo e di studi, quale causa o tema sei più lieto di aver appoggiato? Per contro, quali sono i tuoi maggiori rammarichi; vorresti aver fatto di più su certi fronti?
"Davvero non so dirlo. Ce ne sono molte che sono lieto di aver appoggiato, in misura maggiore o minore. La causa che ho perseguito più intensamente, dai primi anni ’60, è stata quella delle guerre in Indocina, il crimine internazionale più grave dopo la seconda guerra mondiale. Ciò incluse tenere discorsi, scrivere, organizzare, dimostrare, disobbedienza civile, resistenza diretta e l’aspettativa, schivata per un pelo più o meno per caso, di una possibile condanna a una lunga detenzione.
Alcuni altri impegni sono stati simili, ma non a quel livello di intensità. E ciascun caso ha dei rammarichi, sempre gli stessi: troppo poco, troppo tardi, troppo inefficace, anche quando ci sono state alcune reali conquiste delle lotte dedicate di molte persone, cui ho avuto il privilegio di essere in grado di partecipare in qualche modo."
Che cosa ti dà maggiore speranza per il futuro? Senti che i giovani negli Stati Uniti con i quali hai interagito siano diversi da alcuni di quelli di cui ti sei occupato decenni prima? Gli atteggiamenti sociali sono cambiati in meglio?
"Le speranze per il futuro sono sempre incentrate sulle stesse cose: persone coraggiose, spesso sotto gravi costrizioni, che si rifiutano di piegarsi all’autorità illegittima e alla persecuzione, altri che si devono al sostegno e a combattere l’ingiustizia e la violenza, giovani che vogliono sinceramente cambiare il mondo. E la storia dei successi, sempre limitata, a volte fatta regredire, ma che nel tempo piega l’arco della storia verso la giustizia, per mutuare le parole che Martin Luther King rese famose in parola e atti."
Come vedi il futuro del socialismo? Sei ispirato dagli sviluppi in Sudamerica? Ci sono lezioni per la sinistra dell’America del Nord?
"Come altri termini del discorso politico, ‘socialismo’ può significare molte cose diverse. Penso si possa tracciare una traiettoria intellettuale e pratica dall’Illuminismo al liberalismo classi e (dopo il suo naufragio sulle secche del capitalismo, secondo l’espressione evocativa di Rudolf Rocker) fino alla versione libertaria del socialismo che converge con principali tendenze anarchiche.
La mia sensazione è che le idee fondamentali di questa tradizione non siano mai troppo sotto la superficie; piuttosto, come la vecchia talpa di Marx, sempre in procinto di sfondare quando sorgono le circostanze giuste, e sono accese le fiamme giuste da attivisti impegnati.
Quello che ha avuto luogo in anni recenti in Sudamerica è di significato storico, penso. Per la prima volta dai tempi di conquistatori, le società hanno compiuto passi del genere esposto in precedenza. Passi esitanti, ma molto significativi.
La lezione fondamentale è che se questo può essere realizzato in situazioni dure e brutali, dovremmo essere in grado di fare molto meglio, godendo di un’eredità di relativa libertà e prosperità, grazie alle lotte di quelli che ci hanno preceduto."
Concordi con la previsione di Marx che il capitalismo alla fine distruggerà sé stesso? Pensi che un modo di vivere e un sistema economico alternativi possano far presa prima che si verifichi tale implosione, con conseguenze potenzialmente caotiche? Che cosa dovrebbero fare le persone comuni, preoccupate della sopravvivenza della propria famiglia e di quella del mondo?
"Marx studiò un sistema astratto che ha alcune delle caratteristiche centrale del capitalismo effettivamente esistente, ma non altre, tra cui il ruolo cruciale dello stato nello sviluppo e nel sostegno di istituzioni predatorie. Come gran parte del settore finanziario che negli Stati Uniti dipende per il grosso dei suoi profitti dal programma implicito di un’assicurazione governativa; secondo un recente studio del FMI; più di 80 miliardi l’anno secondo la stampa finanziaria.
Interventi statali su vasta scala sono stati una caratteristica guida delle società sviluppate, dalla Gran Bretagna agli USA, all’Europa e al Giappone e alle ex colonie, fino al momento attuale. La tecnologia che stiamo usando oggi, per fare solo un esempio. Sono stati sviluppati molti meccanismi che potrebbero preservare le forme esistenti di capitalismo statale.
Il sistema esistente può ben distruggere sé stesso per motivi diversi, anch’essi discussi da Marx. Ci stiamo ora dirigendo, a occhi aperti, a una catastrofe ambientale che potrebbe por fine all’esperimento umano proprio come esso sta cancellando specie a un ritmo mai visto da 65 milioni di anni fa, quando un grande asteroide colpì il pianeta; e l’asteroide oggi siamo noi.
C’è più che abbastanza da fare per le “persone comuni” (e siamo tutti persone comuni) per evitare disastri che non sono remoti e per costruire una società molto più libera e giusta."

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
Originale: Jacobin Magazine
Traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2015 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0

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