di Alfredo D'Attorre
Su un punto Matteo Renzi ha ragione e gli va riconosciuto di giocare a carte scoperte: il carattere assolutamente cruciale, proprio di uno snodo politico decisivo, del referendum costituzionale del prossimo autunno. Si può criticare la sua ambizione di trasformare quel voto in un plebiscito personale, ma chi può negare che quel pronunciamento popolare non sarà limitato ai dettagli giuridici della riforma costituzionale, ma costituirà un giudizio a tutto tondo sulla stagione renziana e sulle sue tanto decantate riforme?
È inevitabile che sia così, specie dopo che il governo nel corso dell'iter parlamentare ha sostanzialmente espropriato le Camere della loro centralità in materia costituzionale ed elettorale, legando la sua vita all'approvazione delle riforme esattamente nei termini in cui venivano proposte, fino al punto (semplicemente inimmaginabile per la cultura istituzionale del centrosinistra , ma a cui, per la verità, neppure Berlusconi era mai arrivato) di imporre la fiducia sull'approvazione della legge elettorale.
In più, nel corso degli ultimi due anni, riforma del Senato ed Italicum sono stati presentati come una sorta di cifra simbolica dell'intero riformismo renziano, all'interno della quale tutti gli altri provvedimenti più rilevanti - dal jobs act alla scuola - trovavano la loro cornice.
In più, nel corso degli ultimi due anni, riforma del Senato ed Italicum sono stati presentati come una sorta di cifra simbolica dell'intero riformismo renziano, all'interno della quale tutti gli altri provvedimenti più rilevanti - dal jobs act alla scuola - trovavano la loro cornice.
Però, proprio perché è così, Renzi si illude se pensa che gli sarà consentito di giocare questa partita secondo lo schema innovazione vs gufi e professoroni conservatori. Non gli sarà consentito dall'intelligenza degli italiani e dal fatto che la realtà alla lunga si prende le sue rivincite sulla propaganda. Nel corso dei prossimi mesi diventerà sempre più chiaro che il confronto referendario riguarda non la semplificazione del processo legislativo, che è stato reso perfino più complicato e farraginoso nel ddl Boschi e neppure la riduzione del numero dei parlamentari, che Renzi ha impedito di fare in maniera più incisiva e seria lasciando inalterato il numero di componenti della Camera dei deputati. Il vero confronto sarà tra due diverse idee di democrazia e di società. Quando Renzi e la Boschi dicono che da settant'anni si aspettava di cambiare la Carta costituzionale del 1948, non compiono una banale gaffe, ma esprimono qualcosa di più profondo: un senso di estraneità verso il modello di democrazia partecipata e la visione di società inscritti nella Costituzione repubblicana e profondamente legati tra di loro. Centralità del lavoro, concezione sostanziale dell'uguaglianza, scuola e università pubblica, universalità dei diritti sociali, progressività dell'imposizione fiscale, tutela pubblica del risparmio: sono questi alcuni dei tratti fondamentali del progetto costituzionale, con cui non a caso l'azione del governo Renzi è entrata fortemente in tensione. E la liquidazione del modello costituzionale di democrazia partecipata, a favore dell'investitura diretta del premier e dell'indebolimento della rappresentanza parlamentare, non è che la diretta conseguenza di un'altra visione della società, molto più aderente ai canoni del liberismo mercatista che ispira i Trattati europei e la politica economica dell'eurozona. Renzi non mente quando racconta che la Merkel si è appassionata alla riforma costituzionale ed elettorale non meno che al jobs act...
Contrariamente a quello che molti ritengono, io sono convinto che gli italiani tra le tutele costituzionali e il cambiamento regressivo di Renzi sceglieranno le prime. E non lo faranno semplicemente perché la riforma del Senato è confusa e pasticciata, ma perché capiranno che la vera posta in gioco è ciò che la Costituzione significa in materia di lavoro, scuola, sanità pubblica, pensioni, tutela del risparmio: tutto ciò che le famose "riforme strutturali", che l'Europa ci chiede e di cui il riformismo renziano si è presentato come il più solerte agente, si propongono di toglierci pezzo dopo pezzo.
Per Sinistra Italiana la campagna referendaria sarà l'impegno fondamentale dei prossimi mesi. D'altra parte, per noi in questa battaglia convergono tutte le ragioni fondative del nuovo progetto politico. Ma è evidente che non basterà l'impegno dei partiti. Il referendum innescherà un protagonismo diretto della società, in cui il ruolo di associazioni, sindacati e semplici cittadini sarà determinante.
Il referendum sarà l'ultima chance anche per chi ha provato ad opporsi alla deriva renziana ed è ancora nel Pd. Lo dico con rispetto a tanti compagni a cui mi legano rapporti di stima e amicizia: guardiamo in faccia la realtà. La vittoria di Renzi al referendum implicherebbe elezioni politiche con l'Italicum nel giro di pochi mesi, perché, come è ragionevole che sia, con le nuove regole in vigore il premier punterebbe a capitalizzare il successo il prima possibile senza correre il rischio di un logoramento fino al 2018. L'Italia si troverebbe nei primi mesi del 2017 di fronte al triste scenario di una scelta fra il Partito della Nazione, consolidatosi nei comitati del Sì al referendum, e Grillo.
È ormai evidente che per cambiare l'Italicum e riaprire un prospettiva di centrosinistra non bastano certo gli appelli, serve una battaglia politica a viso aperto che sconfigga il disegno renziano. E questa non potrà certo avvenire nell'ormai mitologico Congresso del Pd, che, se anche si tenesse prima delle elezioni politiche, dopo l'eventuale vittoria al referendum si trasformerebbe in una marcia trionfale del premier, a maggior ragione se chi dovrebbe proporsi come alternativa è stato intruppato a suo sostegno nella battaglia più importante.
Viceversa, se a vincere sarà la Costituzione, in un solo colpo si potrà superare l'Italicum (che, essendo valido solo per la Camera, in caso di bocciatura della riforma del Senato sarebbe inapplicabile), mandare in archivio il Partito della nazione e costruire un nuovo centrosinistra. Per chi condivide questa prospettiva, alla vigilia degli ultimi e decisivi passaggi parlamentari sulla riforma costituzionale, spero proprio che ci sia ancora la possibilità di ragionare insieme sulla gigantesca posta in gioco nel referendum.
Fonte: Huffingtonpost.it
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