di John Weeks
Se un dottore sbaglia la diagnosi della malattia di un paziente e prescrive la medicina inappropriata, non dobbiamo aspettarci che questo torni in buona salute. Se il dottore persiste nella diagnosi sbagliata e prescrive dosi maggiori della stessa medicina, un paziente saggio chiede una seconda opinione. Come reso evidente l'anno scorso dall'esperienza della Grecia, la sfortuna di chi abita nell'eurozona è che non è concesso chiedere una seconda opinione. Nei primi anni di questo decennio la Commissione Europea, messa in prima linea dai governi dei paesi più forti, ha diagnosticato che i menbri dell'eurozona soffrivano di mancanza di competitività nel commercio internazionale.
La medicina che scaturiva dalla diagnosi, controversa fina da principio, comprendeva consolidamento fiscale e riforme strutturali. Il primo, che si può riassumere nel termine austerità, ha comportato riduzioni di spesa e aumento di tasse al fine di ridurre il deficit fiscale. La diagnosi ha implicato che venissa posta l'enfasi sulla prima, perchè si suppone che la spesa sociale leda la competitività, come gli aumenti di tasse. Le più importanti riforme strutturali, nel'intento di dare precedenza alle politiche poste al servizio del mondo degli affari, hanno comportato la riduzione dei diritti dei lavoratori e dei sindacati, specialmente intervenendo sulla contrattazione collettiva.
La medicina che scaturiva dalla diagnosi, controversa fina da principio, comprendeva consolidamento fiscale e riforme strutturali. Il primo, che si può riassumere nel termine austerità, ha comportato riduzioni di spesa e aumento di tasse al fine di ridurre il deficit fiscale. La diagnosi ha implicato che venissa posta l'enfasi sulla prima, perchè si suppone che la spesa sociale leda la competitività, come gli aumenti di tasse. Le più importanti riforme strutturali, nel'intento di dare precedenza alle politiche poste al servizio del mondo degli affari, hanno comportato la riduzione dei diritti dei lavoratori e dei sindacati, specialmente intervenendo sulla contrattazione collettiva.
Ai governi dei paesi “non competitivi” è stato detto che che con l'adempimento alle prescrizioni della Commissione, cioè riducendo la dimensione de settore pubblico e limitando la crescita dei salari per ridurre i costi di produzione, avrebbero eliminato i problemi che danneggiano l'efficienza.
In un'era più illuminata, questa diagnosi e le sue prescrizioni si sarebbero dette mercantilismo, cioè scelta di politiche con l'esplicito fine di ottenere un avanzo commerciale.
L'ambiguo consolidamento fiscale
Come si vede nel grafico le politiche fiscali raccomandate dalla Commissione hanno portato a un calo dei deficit del settore pubblico. I deficit fiscali hanno toccato il fondo alla fine del 2009 (Francia, Italia e Spagna) e alla fine del 2010 (Germania). In media l'Euro a 15 (i quattro paesi precedenti più gli altri che hanno adottato l'euro nel 2000-2001) hanno raggiunto il punto più basso all'inizio del 2010 e, in seguito, c'è stata una risalita. E' stato un successo delle politiche di austerità? Datare l'inizio dell'austerità comporta una certa soggettività. Se la si considera come programma realizzato nell'intera eurozona, il 2011 può essere la data apppriata. Sulla base del momento in cui i governi hanno adottato i pacchetti di austerità approvati dalla Commissione, la BBC suggerisce la fine del 2011 o l'inizio del 2012. Se si accetta questa datazione, l'inizio della riduzione dei deficit precede di almeno un anno, ovunque tranne che in Spagna, le politiche di austerità. Lo scetticismo circa l'effettività delle prescrizioni sulla riduzione dei deficit emanate dalla Commissione aumenta se si confrontano gli ultimi anni del grafico. Se da una parte il bilancio della Germania è salito fino a ottenere un surplus, dopo otto anni Francia e Spagna sono rimaste appena sotto i valori del 2008. L'Italia ha raggiunto una modesta riduzione del deficit (da -2,7 e -2,5) e la contrazione del deficit della zona Euro a 15 scompare se si eccettua la Germania.
Mercantilismo in tempo reale
Le statistiche delle partite correnti danno risultati più favorevoli dal punto di vista della diagnisi e delle prescrizioni della Commissione (secondo grafico). Il conto della bilancia commerciale tedesca è cresciuto a oltre l' 8% del PIL nel 2016, il che, secondo il Financial Times, ha accresciuto la popolarità del governo. In Spagna, un deficit di quasi il 9% del PIL è diventato un leggero surplus (un inversione di 10 punti percentuali) e l'Italia ha avuto un meno drammatico ma comunque consistente passaggio da -3% a +2%. Il conto corrente della Francia è leggermente migliorato (è stato positivo per un breve periodo) e tutti i paesi della zona euro a 15 hanno mostrato miglioramenti tranne il Belgio e il Lussemburgo. Quando si considera un successo l'ottenimento di un surplus della bilancia commerciale bisogna tenere presente che un calo del relativo defict implica una caduta della spesa interna. Tipicamente ciò avviene con un declino del consumo da parte delle famiglie. Il caso più evidente è quello della Spagna. Nel 2008 il reddito pro capite spagnolo era di 24.400 euro e nel 2016 è poco al disotto di 23.740 euro. Supposto che le famiglie abbiano mantenuto la stessa quota di PIL, il consumo sarebbe crollato di circa il 2,5% in otto anni. A causa dell'inversione nell'andamento dei conti con l'estero, il consumo pro capite nel 2016 è quasi il 10% inferiore rispetto al 2008. In Irlanda, membro dell'euro a 15, l'inversione nell'andamento dei conti con l'estero è stata di 30 punti percentuali, provocando un calo del consumo interno del 25% rispetto al 2008. Queste cifre dimostrano quello che fino a tempi recenti è stato un punto di consenso fra gli economisti, cioè che creare surplus commerciali riduce lo stato sociale e impoverisce la gente. Questo avviene specialmente quando l'avanzo commerciale si ottiene deprimendo i salari e il prodotto. Di per sè un deficit commerciale non dovrebbe essere un problema perchè può essere finanziato con afflusi di denaro a breve o lungo termine. Molti paesi, anche membri dell'eurozona, hanno avuto deficit per periodi prolungati. La Gran Bretagna ne è un esempio. Un deficit commerciale non indica necessariamente una mancanza di competitività comunque definita. In genere, non è un problema che richiede un intervento politico, anche all'interno di un'unione monetaria.
Ne valeva la pena?
Un recente articolo sul Financial Time cita il dubbio “Markit Index” per dire ai lettori che con la ripresa l'eurozona ha superato lo shock del voto in favore della Brexit. Sottolineo dubbio perchè il Pmi (indice dell'attività manifatturiera) per la Germania ha mostrato un miglioramento, mentre l'indice Ifo (Business climate index del Gruppo Munich) riporta invece un crollo della fiducia da parte delle imprese. E' molto più significativo, al di là di questi tentativi metodologicamente dubbi di catturare l'attenzione dell'opinione pubblica, che il Financial Time consideri un tasso di crescita annuale inferiore al 2% come “ripresa”. E' un caso da manuale in cui un fallimento viene ridefinito come un successo. La somma fra la crescita della produttività e la crescita della forza lavoro rappresenta il limite inferiore del tasso di crescita potenziale quando l'economia opera vicino alla piena capacità. Al di sotto della capacità potenziale (il caso in cui si trova tutta l'eurozona, tranne, forse, la Germania) il tasso di crescita può salire considerevolmente.
Fra i paesi dell'eurozona la produttività del lavoro nel settore privato ha rallentato dopo la crisi finanziaria del 2008-2010, ma è stata di oltre un punto percentuale l'anno. Questo indica che i paesi dell'eurozona nel suo complesso devono crescere almeno dell'1,5% all'anno per evitare un aumento della disoccupazione. Come mostra il terzo grafico, solo la Spagna ha, dal 2012, avuto un tasso annuale di crescita sostanzialmente sopra l'1,5%. Durante i quattro trimestri fino a giugno 2016, Germania e Francia sono cresciute a tassi appena sufficienti a impedire un aumento della disoccupazione, mentre il tasso dell'Italia è sceso un poco. In media, nell'eurozona la crescita del PIL
non è bastata a far scendere il tasso di disoccupazione. Nessuna persona razionale chiamerebbe questa una lenta ripresa. Si tratta di stagnazione.
I deficit fiscali nell'eurozona sono calati e la maggior parte dei paesi è passato da deficit delle partite correnti a posizioni di surplus. Il progresso per quanto riguarda i primi è stato così lento da non poter scartare l'ipotesi che deficit più ampi dovuti a stimoli fiscali avrebbero abbassato i deficit stessi più rapidamente. Allo stesso modo gli avanzi delle partite correnti nella maggior parte dei paesi pare riflettere una domanda interna depressa piuttosto che una maggiore competitività. Il Cancelliere tedesco ha descritto il risultato del referendum inglese come una profonda rottura nella storia europea. All'incontro dell'Unione Europea a 27, che si terrà a Bratislava a metà settembre, si troverà di fronte diverse lamentele e diverse posizioni di sfida, molte delle quali traggono origine dalla stagnazione economica. Si può speculare sulla salute politica della UE dato che i suoi ministri finanziari hanno passato gli ultimi sei anni a cercare di stimolare le economie europee piuttosto che a “consolidare” e “riformare”.
Traduzione di Sergio Farris
Fonte: socialeurope.eu
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