di Vindice Lecis
Quaranta. Sono gli anni che ci separano dal 1977, anzi dal Settantasette, assunto – come lo è stato il Sessantotto ma per altri versi – a paradigma della violenza, del punto alto di frattura tra nuove generazioni, istituzioni e movimento operaio e, anche, del conseguente riflusso. Dopo quattro decenni possiamo parlarne apertamente? Come andarono le cose? Era un altro mondo. Nell’Urss il Partito e lo Stato erano diretti da Leonid Breznev, alla Casa Bianca era appena arrivato il democratico Jimmy Carter. In Cina infuriava la lotta contro la banda dei quattro. E in Spagna, uscita dal franchismo e fresca di democrazia, nelle elezioni amministrative di Madrid, Barcellona, Siviglia e Valencia conquistavano la maggioranza le sinistre.
E in Italia? Nel corso del Settantasette lo scontro politico si fece aspro, in concomitanza con la crescita della forza elettorale del Pci. Si contarono una media di 170 atti terroristici al mese, di cui 40 contro persone. Dopo la stagione della strategia della tensione che aveva avuto come esecutori i neofascisti il terrorismo rosso avanzava e mieteva vittime.
La speranza e la violenza segnarono quell’anno. Ma nel movimento dei giovani, impetuoso, che si sviluppò ovunque, non c’erano soltanto gli squadristi di Autonomia operaia. C’erano i giovani comunisti della Fgci – egemoni in molte aree e nelle scuole – il Movimento studentesco e altre formazioni di estrema sinistra che dovevano fare i conti con quell’antagonismo violento e opaco ispirato dai cattivi maestri.
E proprio quei cattivi maestri andavano per la maggiore. Scalzone, Piperno, Negri, Pace erano ascoltati e consultati. Avevano fondi, riviste. Una galassia di formazioni e di militanti. Una concezione militare della politica. All’interno di una dialettica con le organizzazioni terroristiche tentarono di trasformare la conflittualità di massa in un movimento che praticasse l’illegalità di massa. In quell’anno si determinò, non solo una frattura netta tra il Pci e queste frange, ma anche tra una certa idea del movimento giovanile, o di una sua parte, con la storia e la tradizione del movimento operaio organizzato.
Da non dimenticare che il Pci, reduce dal successo elettorale alle politiche del 20 giugno 1976 (34,37%), lavorava per portare le istanze del movimento operaio al governo. Tentava di farlo, contando sulla collaborazione di Aldo Moro (e questa fu la causa prima del suo assassinio) ma scontando l’ostilità delle forze reazionarie e conservatrici. Usa e Gran Bretagna fecero di tutto per ostacolare la crescita dell’influenza comunista. L’immagine di un Pci in mezzo al guado e ancora non affidabile fu portata avanti dal Psi di Craxi e dalla destra Dc.
Il terrorismo e l’area dell’eversione individuarono così nei comunisti il primo bersaglio. Fomentando il radicalismo e la non mediabilità dei rapporti politici, predicavano una conflittualità diffusa ma subalterna. Si discuteva allora del perché questo accadesse e quali colpe fossero attribuibili alla sinistra (che comunque allora era tale). Ma appariva già evidente come quel progetto, quella tendenza irrazionale di massa, fosse di fatto una presa di distanza dal marxismo come progetto razionale storico. In questo si può affermare che il terrorismo fu il braccio armato delle classi dominanti messe in crisi dall’avanzata del Pci come forza di governo.
Tra il Pci di Berlinguer e quel movimento, ma anche tra i comunisti e il Psi e gran parte della Dc, esisteva una netta diversità antropologica. Che si manifestò acutamente quando il segretario generale del Partito comunista lanciò l’idea dell’austerità. All’inizio del 1977, in due distinti convegni con gli intellettuali e con gli operai, Berlinguer spiegò che quella politica “può essere fatta propria dal movimento operaio proprio in quanto essa può recidere alla base la possibilità di continuare a fondare lo sviluppo economico italiano sul quel dissennato gonfiamento del solo consumo privato, che è fonte di parassitismo e di privilegi, e può invece condurre verso un assetto economico e sociale ispirato e guidato dai principi della massima produttività generale, della razionalità, del rigore, della giustizia, del godimento di beni autentici quali sono la cultura, la salute, l’istruzione, un libero e sano rapporto con la natura”. Oggi possiamo dire: parole profetiche, antitetiche al liberismo per invertire la rotta seguita sino a quel momento. Ma a Berlinguer e al Pci fu riservata molta irrisione. Cresceva infatti la stella di Craxi, della cultura edonistica e del facile uso del denaro pubblico.
Anni di violenza si scatenarono contro quell’idea della politica. Il 17 febbraio Autonomia Operaia attaccò con modalità di tipo squadristico il comizio di Luciano Lama all’Università di Roma. Il segretario della Cgil fu costretto ad abbandonare il palco, davanti alla furia dei militanti autonomi contro studenti e lavoratori. L’anno trascorse nel segno della violenza diffusa. L’11 marzo la polizia uccise Francesco Lorusso, il 5 aprile venne rapito Guido Di Martino, figlio di Francesco. Il 21 aprile autonomi spararono all’agente Settimio Passamonti mentre il 12 maggio il piombo della polizia falciò Giorgiana Masi.
La cronaca era scandita da violenze e omicidi. Dal poliziotto Antonino Custrà ucciso dagli autonomi, al nappista Lo Muscio colpito in un conflitto a fuoco, fino a Walter Rossi e al giovane comunista Benedetto Petrone assassinati dai fascisti del Msi. Le Br uccisero il vice direttore della Stampa Casalegno, e ferirono durante l’anno Montanelli (Il Giornale), Rossi (Tg1) e Ferrero (l’Unità).
Ma il 1977 fu solo questo? Fu certo l’anno dell’accordo programmatico tra il Pci e le altre forze politiche Dc-Psi-Psdi-Pri che portò alla cosiddetta solidarietà nazionale. Quell’esperimento – dal fiato corto per la mancanza nel governo proprio del Pci bloccato dai veti di Usa e destra Dc – fu una delle cause dell’attacco dell’eversione di massa. Così si deve leggere il celebre convegno sulla “repressione” di Bologna. E l’esplosione di una violenza eversiva che non si fermava davanti a nulla.
Il 1977 fu anche segnato dalla scandalosa fuga di Kappler, il criminale nazista responsabile dell’eccidio delle Ardeatine. Ma anche dalla straordinaria esperienza delle liste speciale per il preavviamento al lavoro che fece 650 mila iscritti e consentì la nascita di migliaia di cooperative. E dalla lettera di Berlinguer al vescovo di Ivrea, Bettazzi.
Già, il Pci. Proviamo a raccontarlo quel partito. Nel 1977 fu definito in transizione e in mezzo al guado. Perché si trasformava ma non perdeva, nonostante le sollecitazione della stampa liberale, le sue caratteristiche e la sua funzione. Aveva 1.814.740 iscritti, organizzati in 12.319 sezioni. Contava sul quotidiano L’Unità che vendeva 270 mila copie e 791 mila la domenica; e sul settimanale Rinascita (103 mila copie diffuse e 30 mila abbonati). Editava 9 riviste tematiche, da Critica Marxista a Studi Storici, da Cinena Sessanta a Politica ed Economia. Possedeva una rete di scuole di partito assai vasta (1 scuola nazionale, alle Frattocchie, 4 interregionali, 2 regionali e 2 provinciali). La Fgci diretta da Massimo D’Alema poteva contare su 128 mila iscritti e il periodico La Città futura.
Se il 1968 ebbe un carattere di rottura e di spinta al cambiamento, nel Settantasette si fece più grave il nodo irrisolto del rapporto tra la democrazia e le nuove generazioni. Segnate da una rottura che toccò le istituzioni ma anche il movimento operaio organizzato. Quel movimento giovanile fu anche fortemente segnato da un carattere antidemocratico e anti Pci. Dove non mancarono segnali di ripiegamento verso forme di misticismo, di sfiducia, indifferenza nella difesa della Repubblica. Ma il peggio si stava preparando (Moro, Guido Rossa, la rottura dell’unità nazionale).
Intanto negli Usa a dicembre usciva nelle sale cinematografiche Saturday night fever. In Italia il film arrivò nel marzo dell’anno seguente col titolo La febbre del sabato sera. E fu così che Tony Manero-John Travolta divenne, suo malgrado, il simbolo del riflusso dopo la stagione dell’impegno.
Fonte: fuoripagina.it
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