di Luca Kocci
Quello che comincerà sabato è il viaggio più importante di papa Francesco dall’inizio del pontificato. Per i Paesi che visiterà, Cuba e Stati uniti. Per i politici che incontrerà, Raul, Fidel Castro e Obama. Per i discorsi che terrà, al Congresso Usa e all’Onu. Per il momento storico in cui avviene, dal punto di vista sia politico — riavvicinamento fra Usa e Cuba, favorito anche dalla mediazione vaticana, elezioni presidenziali statunitensi, conflitto in Siria, migranti -, sia ecclesiale, con la fase finale del Sinodo dei vescovi sulla famiglia (4–25 ottobre) – da cui si capirà realmente in che direzione andrà la Chiesa di Francesco –, preceduta dall’incontro mondiale delle famiglie, a Philadelphia, dove Bergoglio interverrà, anticipando i temi sinodali e, forse, dando qualche indicazione che potrebbe condizionare il dibattito.
Per tutte queste ragioni la visita si presenta fitta di appuntamenti e densa di significati. Dal Vaticano, Guzmán Carríquiry, numero due della Pontificia commissione per l’America latina, precisa che il viaggio del papa non è di natura «politica» ma «pastorale e missionario». Una sottolineatura ovvia – quale pontefice presenterebbe i suoi viaggi come missioni politiche –, come però è altrettanto ovvio che la trasferta americana di Bergoglio avrà inevitabilmente ricadute politiche, soprattutto se Francesco affronterà temi caldi, dal bloqueo statunitense contro Cuba ancora in vigore, alle questioni ambientali e del riscaldamento globale, denunciate nell’enciclica Laudato si’, fortemente criticata dalla destra repubblicana Usa («il papa eviti di parlare di clima, non mi faccio dettare l’agenda», dichiarò Jeb Bush, candidato cattolico repubblicano alla presidenza, appena uscì l’enciclica).
La prima tappa del viaggio è Cuba. Francesco – terzo pontefice che visita l’isola caraibica dopo Giovanni Paolo II (1988) e Benedetto XVI (2012) – arriverà a L’Avana sabato. Domenica messa a Plaza de la Revolución e incontro con Raul Castro. Il programma ufficiale ancora non lo specifica, ma quasi sicuramente il papa vedrà pure Fidel.
Anche perché il giorno dopo lascerà la capitale e si trasferirà prima a Holguín e poi a Santiago. Si ipotizzava un incontro con alcuni rappresentanti delle Farc – a L’Avana sono in corso i negoziati di pace con il governo colombiano – e la visita ad una prigione. Ma padre Lombardi, direttore della sala stampa vaticana, ha smentito entrambe le possibilità (ci sarà la visita ad un penitenziario di Philadelphia).
Sul fronte carcere c’è però da segnalare che il governo cubano, anche in seguito ad un appello dell’arcivescovo dell’Avana Ortega (pronunciato subito dopo le parole di Bergoglio sull’amnistia per il prossimo Giubileo), ha concesso un indulto per 3.522 detenuti (escludendo i reati gravi, fra cui i delitti contro la sicurezza dello Stato), incassando l’apprezzamento del papa e, ovviamente di Ortega, gran tessitore dei rapporti fra Chiesa e governo e per questo fortemente criticato dai dissidenti.
Poi Francesco partirà per gli Usa, atterrando a Washington nel pomeriggio del 22 settembre. Il giorno successivo tre eventi importanti: il colloquio con Obama, l’incontro con i vescovi Usa – fra i quali c’è una significativa fronda contro Francesco – e la canonizzazione di p. Junipero Serra, francescano spagnolo (beatificato da papa Wojtyla nel 1988), «evangelizzatore» della California conquistata dalla Spagna (nel ‘700), colpevole delle peggiori nefandezze nei confronti degli indigeni (conversioni forzate, violenze, riduzione in schiavitù). Una canonizzazione fortemente criticata dalle tribù californiane, che però Bergoglio ha scelto di celebrare.
Quindi due incontri politici: al Congresso Usa (24 settembre, la prima volta di un papa), dove pronuncerà un «ampio discorso in inglese» – ha anticipato padre Lombardi – e all’Onu (25 settembre), per un «discorso impegnativo in spagnolo». Si dà per scontato che Bergoglio dica parole forti e assesti qualche bacchettata, soprattutto agli Usa. Ma non è detto che accada. Più volte Francesco, quando si è trovato di fronte ai suoi interlocutori diretti, è stato piuttosto «timido», riservandosi le critiche più forti a distanza.
La conclusione della visita sarà tutta ecclesiale, con la fase finale dell’incontro mondiale delle famiglie a Philadelphia (26 e 27 settembre). I gruppi pro-life e la destra repubblicana già scaldano i motori. E difficilmente resteranno delusi.
Quello che comincerà sabato è il viaggio più importante di papa Francesco dall’inizio del pontificato. Per i Paesi che visiterà, Cuba e Stati uniti. Per i politici che incontrerà, Raul, Fidel Castro e Obama. Per i discorsi che terrà, al Congresso Usa e all’Onu. Per il momento storico in cui avviene, dal punto di vista sia politico — riavvicinamento fra Usa e Cuba, favorito anche dalla mediazione vaticana, elezioni presidenziali statunitensi, conflitto in Siria, migranti -, sia ecclesiale, con la fase finale del Sinodo dei vescovi sulla famiglia (4–25 ottobre) – da cui si capirà realmente in che direzione andrà la Chiesa di Francesco –, preceduta dall’incontro mondiale delle famiglie, a Philadelphia, dove Bergoglio interverrà, anticipando i temi sinodali e, forse, dando qualche indicazione che potrebbe condizionare il dibattito.
Per tutte queste ragioni la visita si presenta fitta di appuntamenti e densa di significati. Dal Vaticano, Guzmán Carríquiry, numero due della Pontificia commissione per l’America latina, precisa che il viaggio del papa non è di natura «politica» ma «pastorale e missionario». Una sottolineatura ovvia – quale pontefice presenterebbe i suoi viaggi come missioni politiche –, come però è altrettanto ovvio che la trasferta americana di Bergoglio avrà inevitabilmente ricadute politiche, soprattutto se Francesco affronterà temi caldi, dal bloqueo statunitense contro Cuba ancora in vigore, alle questioni ambientali e del riscaldamento globale, denunciate nell’enciclica Laudato si’, fortemente criticata dalla destra repubblicana Usa («il papa eviti di parlare di clima, non mi faccio dettare l’agenda», dichiarò Jeb Bush, candidato cattolico repubblicano alla presidenza, appena uscì l’enciclica).
La prima tappa del viaggio è Cuba. Francesco – terzo pontefice che visita l’isola caraibica dopo Giovanni Paolo II (1988) e Benedetto XVI (2012) – arriverà a L’Avana sabato. Domenica messa a Plaza de la Revolución e incontro con Raul Castro. Il programma ufficiale ancora non lo specifica, ma quasi sicuramente il papa vedrà pure Fidel.
Anche perché il giorno dopo lascerà la capitale e si trasferirà prima a Holguín e poi a Santiago. Si ipotizzava un incontro con alcuni rappresentanti delle Farc – a L’Avana sono in corso i negoziati di pace con il governo colombiano – e la visita ad una prigione. Ma padre Lombardi, direttore della sala stampa vaticana, ha smentito entrambe le possibilità (ci sarà la visita ad un penitenziario di Philadelphia).
Sul fronte carcere c’è però da segnalare che il governo cubano, anche in seguito ad un appello dell’arcivescovo dell’Avana Ortega (pronunciato subito dopo le parole di Bergoglio sull’amnistia per il prossimo Giubileo), ha concesso un indulto per 3.522 detenuti (escludendo i reati gravi, fra cui i delitti contro la sicurezza dello Stato), incassando l’apprezzamento del papa e, ovviamente di Ortega, gran tessitore dei rapporti fra Chiesa e governo e per questo fortemente criticato dai dissidenti.
Poi Francesco partirà per gli Usa, atterrando a Washington nel pomeriggio del 22 settembre. Il giorno successivo tre eventi importanti: il colloquio con Obama, l’incontro con i vescovi Usa – fra i quali c’è una significativa fronda contro Francesco – e la canonizzazione di p. Junipero Serra, francescano spagnolo (beatificato da papa Wojtyla nel 1988), «evangelizzatore» della California conquistata dalla Spagna (nel ‘700), colpevole delle peggiori nefandezze nei confronti degli indigeni (conversioni forzate, violenze, riduzione in schiavitù). Una canonizzazione fortemente criticata dalle tribù californiane, che però Bergoglio ha scelto di celebrare.
Quindi due incontri politici: al Congresso Usa (24 settembre, la prima volta di un papa), dove pronuncerà un «ampio discorso in inglese» – ha anticipato padre Lombardi – e all’Onu (25 settembre), per un «discorso impegnativo in spagnolo». Si dà per scontato che Bergoglio dica parole forti e assesti qualche bacchettata, soprattutto agli Usa. Ma non è detto che accada. Più volte Francesco, quando si è trovato di fronte ai suoi interlocutori diretti, è stato piuttosto «timido», riservandosi le critiche più forti a distanza.
La conclusione della visita sarà tutta ecclesiale, con la fase finale dell’incontro mondiale delle famiglie a Philadelphia (26 e 27 settembre). I gruppi pro-life e la destra repubblicana già scaldano i motori. E difficilmente resteranno delusi.
Approfondimento - Papa a Cuba, pronti al «cambiamento di un’epoca»
di Enrique Lopez Oliva e Roberto Livi
«Tre vescovi di Roma e il socialismo cubano» è il titolo col quale il quotidiano dei giovani comunisti, Juventud Rebelde, ha presentato due giorni fa la visita di papa Francesco. La tesi dell’analisi è dimostrare quanto siano cambiati i tempi e le relazioni tra Chiesa e socialismo cubano dalla visita del primo papa, Wojtyla, nel 1998 a quella che sabato inizierà il primo pontefice latinoamericano.
17 anni fa in molti, in particolare della destra neoliberista, erano convinti che Giovanni Paolo II avrebbe contribuito al crollo del «socialismo criollo» come negli anni precedenti era avvenuto con i «socialismi reali» dell’Europa dell’Est. Le cose andarono diversamente e Wojtyla lasciò l’isola con l’auspicio che «Cuba si apra al mondo e il mondo si apra a Cuba». Ed è proprio questo messaggio che verrà ripreso e ampliato da Francesco. Con maggiore forza, perchénell’isola, da più di cinque anni è in corso un processo definito di «attualizzazione del socialismo cubano», ma che in realtà ha una valenza e uno scopo ben più profondi e che dovrebbe portare, per usare un’espressione di Juventud Rebelde, a «una nuova geografia» nell’economia e nella società e, si spera, anche aperture politiche. Il progetto di «un socialismo prospero e sostenibile», però, si scontra con difficoltà e le trasformazioni in corso non hanno portato a quei benefici nella vita quotidiana che gran parte della popolazione spera e reclama.
Oltre al socialismo cubano, anche il movimento cattolico e la Chiesa, hanno vissuto e vivono la propria stagione di cambiamenti traumatici. In accordo col presidente dell’Ecuador, Rafael Correa, papa Francesco è convinto che non sia sufficiente vivere un’epoca di cambiamenti, ma sia necessario un cambiamento di epoca. La Chiesa cubana si trova in sintonia con questo messaggio. Il vescovo dell’Avana, cardinale Jaime Ortega ha messo in chiaro che non è compito della Chiesa cambiare i governi, ma conquistare il cuore degli uomini, di coloro cioè che cambiano la società. Seguendo questa linea la Chiesa cubana è diventata di fatto la maggiore Ong di Cuba: dispone di numeroso personale specializzato, 600 chiese sparse in tutta l’isola, una rete assistenziale che è andata crescendo, una propria rete di insegnamento presente in quasi tutte le parrocchie, può già ricevere direttamente-cioè senza la mediazione del governo– una parte dei fondi che necessita. Questa situazione permette alla Chiesa di agire come un mediatore tra la società cubana e il governo e, assieme al Vaticano, tra il governo e l’Occidente, Stati uniti e Unione europea soprattutto.
L’efficacia di questa mediazione è stata ampiamente lodata sia dal presidente Barak Obama, sia dal suo omologo cubano Raúl Castro i quali hanno riconosciuto l’importanza della diplomazia vaticana e soprattutto di papa Francesco nel processo che ha permesso di mettere fine a più di cinquant’anni di guerra fredda tra gli Stati Uniti e Cuba. Quello compiuto lo scorso dicembre è stato «un passo storico», ma sempre un primo passo.
Per procedere nelle riforme di struttura essenziali per ridare fiato all’economia cubana, il governo dell’Avana ha bisogno di una massiccia dose di investimenti esteri, molti dei quali potrebbero arrivare dagli Stati uniti se il presidente Obama continuerà a chiedere il progressivo svuotamento delle leggi federali che danno sostanza al bloqueo, il blocco commerciale, economico e finanziario contro Cuba deciso cinquant’anni fa dagli Usa. La seconda parte della visita pastorale di Francesco, quella negli States sarà dunque importantissima per Cuba, se il papa latinoamericano avvallerà l’immagine di un governo cubano socialista, sì, ma politicamente stabile (Gli Stati uniti temono un’ondata migratoria massiccia di cubani in caso di sommosse nell’isola: con l’attuale legge infatti i cubani che mettono un «piede secco» negli Usa hanno diritto alla carta verde) e propenso a aperture economiche, sociali e un domani anche politiche.
Un ruolo siffatto di mediazione e di garante di stabilità implica però un rafforzamento della Chiesa cubana e del nuovo movimento cattolico laico che sta contribuendo a formare. In sostanza una sua maggiore presenza nelle istanze educative, della comunicazione sociale, dei servizi sociali, della carità e in tutti gli ambiti della vita pubblica del Paese. Probabilmente queste saranno le richieste che Francesco farà per ottenere una chiesa che possa favorire lo sviluppo della società civile nell’isola.
17 anni fa in molti, in particolare della destra neoliberista, erano convinti che Giovanni Paolo II avrebbe contribuito al crollo del «socialismo criollo» come negli anni precedenti era avvenuto con i «socialismi reali» dell’Europa dell’Est. Le cose andarono diversamente e Wojtyla lasciò l’isola con l’auspicio che «Cuba si apra al mondo e il mondo si apra a Cuba». Ed è proprio questo messaggio che verrà ripreso e ampliato da Francesco. Con maggiore forza, perchénell’isola, da più di cinque anni è in corso un processo definito di «attualizzazione del socialismo cubano», ma che in realtà ha una valenza e uno scopo ben più profondi e che dovrebbe portare, per usare un’espressione di Juventud Rebelde, a «una nuova geografia» nell’economia e nella società e, si spera, anche aperture politiche. Il progetto di «un socialismo prospero e sostenibile», però, si scontra con difficoltà e le trasformazioni in corso non hanno portato a quei benefici nella vita quotidiana che gran parte della popolazione spera e reclama.
Oltre al socialismo cubano, anche il movimento cattolico e la Chiesa, hanno vissuto e vivono la propria stagione di cambiamenti traumatici. In accordo col presidente dell’Ecuador, Rafael Correa, papa Francesco è convinto che non sia sufficiente vivere un’epoca di cambiamenti, ma sia necessario un cambiamento di epoca. La Chiesa cubana si trova in sintonia con questo messaggio. Il vescovo dell’Avana, cardinale Jaime Ortega ha messo in chiaro che non è compito della Chiesa cambiare i governi, ma conquistare il cuore degli uomini, di coloro cioè che cambiano la società. Seguendo questa linea la Chiesa cubana è diventata di fatto la maggiore Ong di Cuba: dispone di numeroso personale specializzato, 600 chiese sparse in tutta l’isola, una rete assistenziale che è andata crescendo, una propria rete di insegnamento presente in quasi tutte le parrocchie, può già ricevere direttamente-cioè senza la mediazione del governo– una parte dei fondi che necessita. Questa situazione permette alla Chiesa di agire come un mediatore tra la società cubana e il governo e, assieme al Vaticano, tra il governo e l’Occidente, Stati uniti e Unione europea soprattutto.
L’efficacia di questa mediazione è stata ampiamente lodata sia dal presidente Barak Obama, sia dal suo omologo cubano Raúl Castro i quali hanno riconosciuto l’importanza della diplomazia vaticana e soprattutto di papa Francesco nel processo che ha permesso di mettere fine a più di cinquant’anni di guerra fredda tra gli Stati Uniti e Cuba. Quello compiuto lo scorso dicembre è stato «un passo storico», ma sempre un primo passo.
Per procedere nelle riforme di struttura essenziali per ridare fiato all’economia cubana, il governo dell’Avana ha bisogno di una massiccia dose di investimenti esteri, molti dei quali potrebbero arrivare dagli Stati uniti se il presidente Obama continuerà a chiedere il progressivo svuotamento delle leggi federali che danno sostanza al bloqueo, il blocco commerciale, economico e finanziario contro Cuba deciso cinquant’anni fa dagli Usa. La seconda parte della visita pastorale di Francesco, quella negli States sarà dunque importantissima per Cuba, se il papa latinoamericano avvallerà l’immagine di un governo cubano socialista, sì, ma politicamente stabile (Gli Stati uniti temono un’ondata migratoria massiccia di cubani in caso di sommosse nell’isola: con l’attuale legge infatti i cubani che mettono un «piede secco» negli Usa hanno diritto alla carta verde) e propenso a aperture economiche, sociali e un domani anche politiche.
Un ruolo siffatto di mediazione e di garante di stabilità implica però un rafforzamento della Chiesa cubana e del nuovo movimento cattolico laico che sta contribuendo a formare. In sostanza una sua maggiore presenza nelle istanze educative, della comunicazione sociale, dei servizi sociali, della carità e in tutti gli ambiti della vita pubblica del Paese. Probabilmente queste saranno le richieste che Francesco farà per ottenere una chiesa che possa favorire lo sviluppo della società civile nell’isola.
Fonte: il manifesto
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