La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

domenica 9 aprile 2017

Jobs Act: dobbiamo ancora parlare di numeri?

di Clash City Workers 
La guerra dei numeri è finita. Quel che resta è tuttavia un nuovo assetto di relazioni industriali basate su un nuovo contratto “a tempo indeterminato” epurato dell’art.18. Un contratto più flessibile che riduce il costo implicito del licenziamento per le imprese attraverso l’abrogazione del diritto di reintegro del lavoratore nel caso di licenziamento senza giusta causa, tranne che quest’ultimo abbia carattere discriminatorio o sia comunicato verbalmente. Un contratto più snello, si potrebbe dire, più adatto ai tempi, più consono alla crescente terziarizzazione dell’economia che prevede “per natura” la fornitura di servizi a volte discontinui nel tempo e ad intensità variabile. Insomma, un contratto moderno.
E proprio l’introduzione di questo contratto che modifica l’assetto giuridico del rapporto di lavoro dipendente e ne accresce il livello di flessibilità è stata incentivata dall’approvazione – all’interno della Legge di Stabilità del 2015 - di un piano di esonero contributivo a favore delle imprese che nel corso del 2015 hanno attivato o trasformato contratti di lavoro a termine in contratti di lavoro a tutele crescenti. Un’esenzione importante pari a 24180 euro (per triennio) a lavoratore per i contratti attivati nel 2015 e pari a 6500 euro risparmiati dalle imprese per i contratti attivati nel corso del 2016 (nel biennio).
Nel corso degli ultimi anni varie narrazioni hanno accompagnato quasi ogni mese i bollettini statistici dell’ISTAT – Rilevazione sulle Forze di Lavoro – e dell’Osservatorio sul precariato dell’INPS – due delle principali fonti utilizzate per monitorare l’andamento del numero di occupati e di contratti.
Da un lato ci si è soffermati sui valori assoluti. In prenda ad una spasmodica ansia da prestazione si è cercato – per lo più da parte dei sostenitori del Governo in carica - di dimostrare, avallati dai numeri degli ultimi release, la predominanza dei segni positivi. Per cui, soprattutto durante gli ultimi mesi del 2015 (si veda dicembre 2015), l’incremento vertiginoso del numero di attivazioni a tempo indeterminato e di trasformazioni di contratti a termine in contratti a tempo indeterminato ha motivato una certa euforia fra i sostenitori della nuova legge. Tuttavia, proprio quell’euforia da nuovi contratti trainati da esonero contributivo (dicembre è stato l’ultimo mese in cui per le imprese è stato possibile accedere allo sgravio contributivo totale) ha lasciato il passo al dubbio e all’incertezza sulla positività della manovra alla luce dell’andamento dei contratti dei primi mesi del 2016.

Assunzioni a tempo indeterminato (al netto delle cessazioni) e trasformazioni da contratti a termine a contratti a tempo indeterminato (gennaio 2014 - dicembre 2016)

Fonte: Osservatorio sul precariato – INPS – elaborazione Cirillo, Fana, Guarascio (2016)

Da un altro lato, si è cercato di valutare l’entità della presunta crescita occupazionale studiandone la sua distribuzione per coorti d’età, macro ripartizione geografica e settori. Da questo punto di vista, soprattutto alla luce degli ultimi dati, risulta ormai chiaro che dei nuovi occupati (+242mila occupati, dei quali +157mila a tempo indeterminato e +86mila a tempo determinato al IV trimestre 2016) circa il 40% hanno un tempo ridotto, ovvero sono occupati a tempo indeterminato ma part-time – per la maggiorparte al Sud (oltre il 57,9% degli uomini e il 58% delle donne).

Quota di nuovi contratti (assunzioni e trasf.) a tempo indeterminato per intensità oraria

Fonte: Osservatorio sul precariato – INPS – elaborazione Cirillo, Fana, Guarascio (2016)

Ma il dato che ha trovato maggiore risonanza è sicuramente quello relativo all’età dei nuovi occupati: quasi il 60% dei nuovi occupati sono over 55, sia al Nord che al Sud.

Quota nuovi occupati a tempo indeterminato per classe d’età e macro-ripartizione geografica (2016)

Fonte ISTAT



In definitiva: le imprese hanno tratto vantaggio dalla possibilità di una decontribuzione importante anticipando assunzioni probabilmente calendarizzate per periodi successivi, la nuova occupazione è tuttavia in buona parte a tempo ridotto, concentrata in coorti anziane e, soprattutto, in settori a bassa intensità tecnologica.
Adesso tuttavia che l’arcano dei numeri risulta in parte essersi risolto – tanto che lo stesso ADAPT riconosce nel suo report valutativo sul Jobs Act l’infruttuosità di quella che è stata ribattezzata una “guerra dei numeri” – auspichiamo di riprendere un serio dibattito sul “che fare” in primis per riguadagnare quel che ormai è andato perso e per porre un freno alla crescente flessibilizzazione del lavoro ammantata ogni volta da retoriche più o meno nuove che hanno lasciato il terreno ad un arretramento dei diritti dei lavoratori.

Fonte: clashcityworkers.org 

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.