di Antonio Tricarico
Uno dei più grandi casi di corruzione della storia ha fatto registrare un clamoroso colpo di scena nella serata di lunedì scorso. La vicenda è legata all’acquisizione da parte delle multinazionali petrolifere Eni e Shell del mega giacimento Opl 245 al largo delle coste nigeriane, finita sotto indagine in Italia, Nigeria, Stati Uniti e Olanda. Alla sbarra a Milano con l’accusa di concorso in corruzione internazionale rischiano di finire a breve Claudio Descalzi, l’amministratore delegato di Eni, il suo predecessore Paolo Scaroni e altri nove tra manager e mediatori vari. In quest’ultima categoria spicca il nome di Luigi Bisignani. Anche Eni e Shell potrebbero finire a processo per avere violato la legge 231del 2001 sulla responsabilità delle società per presunti reati commessi dai propri dipendenti.
LA MAZZETTA ammonterebbe a ben un miliardo e 300 milioni di dollari – 200 milioni versati dalla Shell, il resto dall’Eni. Il denaro sarebbe dovuto andare al governo nigeriano, come stabilisce la normativa di quel Paese, ma nel 2011 i bonifici delle due oil major sono solo transitati per un conto fiduciario londinese dell’esecutivo di Abuja, per poi finire tramite mille artifizi bancari alla Malabu, cui in realtà facevano capo i diritti di sfruttamento del blocco petrolifero.
Nel lontano 1998 il ministro del Petrolio del dittatore Sani Abacha, il potentissimo e controverso Dan Etete, si era auto-assegnato il giacimento Opl 245. Di fronte alle accuse, fino a lunedì scorso Eni e Shell avevano sempre negato di sapere con certezza che Etete fosse il proprietario occulto della Malabu e ribadito che i pagamenti erano stati in favore del governo nigeriano e non alla Malabu.
L’ENI nega altresì risolutamente che una fetta della mega-mazzetta sia subito tornata indietro a favore dei suoi manager con presunti trasferimenti di valigie con milioni di dollari in contanti tramite jet privati.
MA LUNEDÌ SERA un portavoce della Shell ha dichiarato al New York Times che: «Nel corso del tempo abbiamo capito che Dan Etete era coinvolto nella Malabu e che l’unico modo per risolvere l’impasse negoziale consistesse nel raggiungere un accordo con Etete e la Malabu, che ci piacesse o no…poi il governo federale della Nigeria avrebbe indennizzato la Malabu per risolvere le sue pretese sul blocco petrolifero».
Il cambio di linea della Shell è stato sicuramente condizionato dai numerosi articoli apparsi sulla stampa internazionale negli ultimi giorni e dal rapporto di Global Witness e Finance Uncovered in cui si riportano intercettazioni ed email confidenziali tra i vertici dell’azienda.
COSÌ IL GIGANTE petrolifero anglo-olandese ha deciso di concedere qualcosa a chi li accusa, smarcandosi a sorpresa dall’Eni. Ironico che proprio nelle stesse ore il Cane a Sei Zampe ripeteva sui social network la sua posizione, immutata dal 2014 quando è emersa l’indagine della Procura di Milano, per difendersi da Report che denunciava come anche l’impresa italiana fosse a conoscenza delle scomode verità (quasi) riconosciute dalla Shell, con tanto di e-mail interne dei manager italiani svelate dalla trasmissione agli spettatori della Rai.
UNA BELLA GRANA per l’Eni, che da anni punta sull’Opl245 per spostare offshore il suo business in Nigeria, visto che oramai gli impianti sulla terraferma del Delta del Niger rendono sempre meno e sono un mezzo colabrodo. Storie di sversamenti e tensioni con le comunità locali che si moltiplicano da anni, inquinamento collegato alla pratica illegale del gas flaring che tarda a morire, e un problema enorme di bonifiche mai portate a termine, come certificato in varie occasioni dal Programma Ambientale delle Nazioni Unite.
Il campo marino 245 ha un potenziale enorme (si stimano 9,3 miliardi di barili), che farebbe aumentare, se confermato, di più della metà le riserve di oro nero controllate globalmente dall’Eni. Ma in Nigeria il governo Buhari sembra fare sul serio questa volta. Non solo a breve manderà a processo Eni e Shell, ma cerca il ritiro anticipato della licenza miliardaria e il recupero della refurtiva.
DOMANI SI TERRÀ a Roma l’assemblea degli azionisti dell’Eni, una settimana prima dell’udienza preliminare che potrebbe decidere il rinvio a giudizio a Milano della società e del suo amministratore delegato Descalzi.
Questi sarà confermato in ogni caso al vertice dell’Eni, dal momento che il governo italiano con la golden share del 30 per cento la fa ancora da padrone, imponendo di fatto il suo candidato ai mercati. A proposito di mercati, questa volta c’è da chiedersi che cosa dirà loro l’Eni: che la Shell ha torto e butta fango sull’impresa italiana? Oppure riconoscerà che sapeva che i soldi sarebbero finiti a Etete e compari? Una posizione che a breve anche i giudici saranno molto curiosi di vagliare nel dettaglio.
Fonte: Il manifesto
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