di Ivan Cavicchi
Da settimane, stiamo denunciando il disegno, ormai svelato, prima del governo Renzi poi di Gentiloni, di sostituire la sanità pubblica con una sanità soprattutto neo-mutualistica. Lo scopo non è quello di dare ai lavoratori più salute o di offrire loro tutele corporative perché la sanità pubblica non va. L’obiettivo è molto più prosaico. L’obiettivo è quello di usare strumentalmente la spesa sanitaria con lo scopo di accrescere il reddito d’impresa delle aziende nella speranza di avere più investimenti e quindi più occupazione. Avete capito bene: il governo per accrescere il profitto delle imprese si è inventato, con l’accordo dei sindacati, un trucco definito welfare aziendale cioè delle mutue completamente defiscalizzate attraverso le quali far fuori l’art 32 della Costituzione e quindi la sanità pubblica.
L’idea, come abbiamo già scritto, nasce dal Jobs act e dà luogo a quello che nel mondo delle assicurazioni si definisce welfare on demand cioè un nuovo modello di retribuzione del lavoro che sostituisce parte del salario con benefit e perquisite. Le mutue sostituiscono una parte del salario (per esempio il premio di produttività) e i loro oneri sono completamente detratti dal costo del lavoro.
Per arrivare a capire che, questo welfare aziendale, in realtà è un trappolone terribile che farà strage di diritti mollando i soggetti più deboli ad una sorta di welfare residuale, non abbiamo fatto altro che applicare alla lettera il principio del follow money (segui il denaro) che il grande Falcone insegnò a quelli dell’FBI ma che in ben altro modo ci ha insegnato Marx e tanti altri economisti (da Ricardo a Federico Caffè). Se vuoi capire cosa accade alla sanità e ai diritti cerca di comprendere i suoi rapporti con l’economia.
Oggi l’economia si è stufata di stare ai margini del sistema pubblico e si vuole riprendere un mercato che per la grande intermediazione finanziaria, è considerato il vero e il più grande business del futuro. Renzi con il Jobs act ha semplicemente creato le condizioni di base per mettere la sanità pubblica a mercato.
Seguendo gli incentivi organizzati sotto forma di mutue rivolti alle imprese e alla contrattazione di secondo livello, ci siamo resi conto che la sanità pubblica per come si stanno mettendo le cose ha le ore contate .
A confermare il nostro funesto presagio proprio l’altro giorno il governo ha reso noto il Def 2017 di cui abbiamo delle sintesi e delle anticipazioni ma non ancora i dettagli e i documenti allegati.
«Per potenziare il ritmo della crescita economica» dice il Def il governo prevede un “Programma Nazionale di Riforma” rispetto al quale si legge che «il Governo ritiene fondamentale il ruolo della contrattazione salariale di secondo livello che deve essere ulteriormente valorizzata con interventi sempre più mirati in materia di welfare aziendale».
Quindi avanti tutta con le mutue aziendali. È inutile dire che il Def, sulla sanità pubblica, non spende una parola, a parte introdurre una procedura per la determinazione di fabbisogni standard delle Regioni. Ciò fa pensare che in autunno, al momento di definire la legge di stabilità, per la sanità saranno dolori. Se il Def punta le sue carte sul welfare aziendale poi non ci si può aspettare che la legge di stabilità investa in sanità pubblica per cui si può star certi che i fabbisogni standard saranno calcolati al ribasso.
Infine, sempre a proposito del Def e del suo difficile rapporto con la salute e la sanità, vogliamo segnalare un vero capolavoro di incongruenza. A partire da una considerazione condivisibile e che più volte, a proposito di “quarta riforma” e di salute come ricchezza, abbiamo spiegato su questo giornale (la salute fa parte della ricchezza di un paese la sanità fa parte della sua ricchezza economica, il Pil ) il Def ammette che la salute non coincide con il Pil e introduce “in via provvisoria” il Bes. (Indicatore del benessere equo e sostenibile).
A questo punto la domanda è inevitabile: che senso ha sviluppare il welfare aziendale e introdurre il Bes. Le mutue non producono salute ma curano le malattie e siccome hanno una natura finanziariamente incrementale sono destinate ad andare in disavanzo e a mangiarsi in misura crescente Pil. Il welfare on demand altro non è se non quella che i metalmeccanici di una volta, chiamavano “monetizzazione” delle malattie. In tutti i nomenclatori delle mutue, le prestazioni che si offrono sono tutte cliniche, solo in qualche rara eccezione è prevista qualche prestazione di prevenzione secondaria. E la prevenzione primaria quella che interessa al Bes chi la fa se con il welfare aziendale distruggiamo la sanità pubblica?
Fonte: Il manifesto
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