di Enrico Grazzini
Lo Stato può creare moneta? Certamente sì. L’economia può crescere solo se c’è moneta: la Cina, per esempio, è cresciuta molto rapidamente non per i soldi raccolti con le tasse o per i prestiti esteri, ma creando moneta ex novo. La domanda infatti traina l’offerta (e non viceversa, come insegna J. M. Keynes). Una società con carenza di moneta fa la fine del Giappone, fermo da tre decenni. Anche l’Eurozona è in deflazione ormai da un decennio perché l’euro è strutturalmente una moneta deflazionistica, perché la Bce presta enormi quantità di denaro solo alle banche, e perché le banche investono nella finanza e non nell’economia reale. Le banche non prestano denaro perché hanno troppi crediti in sofferenza; e le aziende non riescono a restituire i debiti perché manca la domanda e le banche non danno più respiro.
Per uscire dalla trappola della liquidità occorre quindi immettere nuova liquidità nell’economia reale. Siccome però l’euro non circola, occorre creare una moneta alternativa valida: la moneta fiscale.
In Italia la principale e la più strutturata proposta di moneta alternativa – che sta dando origine ad altre varianti, come quella comparsa sul blog di Beppe Grillo e presentata in bozza dal prof. Gennaro Zezza – è certamente quella promossa da Micromega e dal compianto Luciano Gallino, uno dei più stimati sociologi italiani. Questa proposta si basa sull’emissione di notevoli quantità di moneta fiscale da parte dello Stato senza però creare debito, ovvero senza fuoriuscire dai Trattati dell’Eurozona. L’obiettivo è di attuare manovre espansive senza provocare nuove drammatiche crisi alla gente.
A differenza di quanto ha scritto su Il Fatto Quotidiano il 5 aprile scorso Fabio Scacciavillani, la moneta alternativa che proponiamo non è però una vera e propria moneta; ovviamente questa è infatti proibita a causa del monopolio della Bce sull’euro e sulla moneta legale: questo lo sanno tutti. La moneta fiscale che abbiamo studiato è invece un titolo di Stato che può fungere perfettamente come moneta.
La strategia si articola sinteticamente come segue. La crisi attuale è crisi di domanda. Detto in altri termini: mancano i soldi per fare la spesa e per ricostruire i ponti, le strade e i paesi terremotati. Gli investimenti non partono perché i consumi privati e pubblici non crescono (o diminuiscono). La trappola della liquidità si batte immettendo liquidità nell’economia reale: se non lo fa la Bce con il Quantitative Easing (QE), e se non lo fanno le banche gravate da crediti deteriorati, tocca allo Stato immettere liquidità. Grazie all’immissione di nuova moneta, le capacità produttive potrebbero essere sfruttate a pieno regime e l’economia e l’occupazione tornerebbero a crescere.
Ma che cosa intendiamo concretamente con Moneta fiscale? La Moneta fiscale è semplicemente un Titolo di Sconto fiscale (Tsf) ovvero un titolo di stato emesso dal Tesoro, negoziabile e quindi immediatamente convertibile in euro proprio come i Bot e i Btp. I Titoli di Sconto fiscale danno diritto ai loro possessori a godere di sgravi fiscali per un ammontare equivalente al loro valore nominale dopo due anni dall’emissione. I Tsf tuttavia non sono rimborsabili in euro. Quindi al momento dell’emissione non generano debito di Stato semplicemente perché non c’è esborso di cassa e perché gli sconti non sono debito. I Tsf inoltre dovranno essere titoli a maturità differita: potranno quindi essere usati dai possessori per pagare le tasse solo al terzo anno. Se non fosse così genererebbero immediatamente deficit fiscale. Invece la manovra basata sui TSF a scadenza differita non genera deficit fiscale grazie al fatto che in due anni si attiva il moltiplicatore fiscale: e questo è superiore a 1 (uno) nelle fasi di crisi. Cioè, in una condizione di sottoutilizzo delle risorse, come quella attuale, se immetti un euro nell’economia dopo un certo periodo di tempo il Pil cresce più di un euro. Paul Krugman ha mostrato che il moltiplicatore nell’Eurozona dal 2009 al 2013 è stato pari a 1,5. Grazie al moltiplicatore keynesiano i Tsf al terzo anno non produrranno deficit fiscale ma si autoripagheranno.
Per alimentare la domanda aggregata, i Tsf verranno attribuiti gratuitamente (ripeto: gratuitamente, ovvero senza corrispettivi di sorta) a diversi soggetti: famiglie (lavoratori dipendenti/autonomi, disoccupati, pensionati, ecc, ecc, ecc), aziende, enti pubblici. Ipotizziamo un’emissione totale di 80-90 mdi in tre anni così ripartita: a titolo di esempio 25% a famiglie; 25% ad aziende; 25% spese pubbliche;25% trasferimenti (pensioni, assegni di disoccupazione, ecc).
In estrema sintesi, ai cittadini e alle famiglie i Tsf saranno assegnati in proporzione inversa al reddito. Questo per favorire l’incremento di domanda e l’abbattimento delle diseguaglianze. Prevediamo di dare in media circa 90 euro di Tsf al mese in più per famiglia. Alle aziende, le assegnazioni saranno attribuite principalmente in funzione del numero dei dipendenti (per abbattere il costo del lavoro), e in base ad altri criteri (propensione a investire, all’export, a creare occupazione, ecc). Le imprese così miglioreranno immediatamente la loro competitività, anche verso l’estero. Altrimenti non si potrebbe evitare che l’effetto espansivo sulla domanda interna crei da subito un peggioramento dei saldi commerciali esteri.
Una quota dei Tsf farà inoltre utilizzata per iniziative pubbliche: per esempio, si potranno finanziare forme di Reddito Garantito e un Piano del Lavoro, welfare (sanità, pensioni, istruzione, ecc). L’obiettivo è di porre subito fine all’austerità alimentando i redditi e la domanda interna in modo da diminuire le diseguaglianze e far ripartire l’economia nazionale con equilibrio della bilancia dei pagamenti.
Fonte: Il Fatto Quotidiano - blog dell'Autore
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