di Andrea Papi
Il 10 gennaio 1994 l'allora direttore generale del Tesoro Mario Draghi, oggi presidente della Banca centrale europea, per conto dello Stato Italiano stipulò con la Morgan Stanley - una banca americana tra i più potenti gruppi finanziari a livello internazionale - un accordo tendente a realizzare una speculazione finanziaria, ascrivibile tra quei famigerati derivati, causa prima dell'ultima devastante crisi mondiale del 2008 e nei fatti ancora in corso. Quella stipula anticipò una serie di azioni spericolate, la famosa finanza allegra, includenti anche un pacchetto di contratti che nei primi giorni del 2012 misero il governo di Mario Monti con le spalle al muro, costringendolo a versare 3,1 miliardi di euro nelle casse della Morgan Stanley, un maxi esborso che allora fece molta sensazione. Ma non bastava, dal momento che nuove perdite si sono andate materializzando su altri derivati.
Le banche coinvolte in questo genere di operazioni sono diciannove, da J.P. Morgan a Ubs, da Deutsche Bank a Goldman Sachs, stando a una lista diffusa qualche tempo fa dal ministero.
Le banche coinvolte in questo genere di operazioni sono diciannove, da J.P. Morgan a Ubs, da Deutsche Bank a Goldman Sachs, stando a una lista diffusa qualche tempo fa dal ministero.
Il settimanale l'Espresso del 12 febbraio 2017, che riporta e ben documenta in modo ampio, esprime bene la portata di queste “avventure istituzionali”: «soltanto nel quinquennio dal 2011 al 2015, stando agli ultimi dati noti, i derivati hanno avuto un impatto negativo sui conti pubblici di 23,5 miliardi di euro, fra interessi netti pagati alle banche e altri oneri connessi. E ancora: gli ultimi conteggi disponibili dicono che gli strumenti tuttora in essere nel portafoglio del Tesoro presentano perdite potenziali per ulteriori 36 miliardi di euro. – con le correnti condizioni dei tassi, durante la vita residua dei contratti il governo pagherà alle banche 36 miliardi in più di quanto riceverà da loro in termini di interessi – Fatti due conti si può dedurre che al governo di Paolo Gentiloni basterebbe non avere questa zavorra per evitare la manovra di aggiustamento da 3,4 miliardi di euro che l'Unione europea ha chiesto all'Italia.». (“Deriva di Stato” di Luca Piana, p. 22).
Una non/democrazia
Una vicenda complicata e piena di insidie, dove risulta anche che pure nei pochi casi in cui si sono verificate condizioni favorevoli inspiegabilmente i contratti sono stati modificati, rigettandoci nel baratro di un costante aumento del debito, intrico devastante che sta attanagliando il nostro povero paese in una morsa letale. Ma la cosa più sconcertante è che si è sempre voluto tenerla secretata.
Tuttora si continua a tentare di tacitarla, nascondendo volutamente all'opinione pubblica e alla popolazione, in nome e per conto delle quali in teoria dovrebbero essere fatte, l'esistenza e la portata di simili operazioni. «La divulgazione», è la posizione espressa da Pier Carlo Padoan, ministro dell'Economia, «avrebbe riflessi pregiudizievoli che determinerebbero uno svantaggio competitivo» dell'Italia rispetto alle banche e agli «altri Stati che fanno uso di questi strumenti» (sempre l'Espresso 12 febbraio 2017, p. 22).
Non mi addentrerò oltre nelle vicissitudini sopra riportate, tuttora in movimento. M'interessa invece soffermarmi su qualche breve riflessione. In primis, alcune domande che investono significato primario e senso della democrazia. Perché questi signori si sentono autorizzati a manipolare i nostri soldi con una disinvoltura così spregiudicata? Perché si continua a permetter loro un comportamento talmente scellerato da mettere in crisi le già devastate finanze pubbliche?
Due domande che investono direttamente il problema centrale del rapporto tra classe dirigente e sottoposti, tra delegati e deleganti, tra cittadini e rappresentanti eletti. Se è vero che per esser democrazia in qualche modo il popolo dovrebbe partecipare alle decisioni che lo riguardano, questa non può che essere l'ennesima conferma che, come già affermato in altre occasioni, siamo in realtà sottoposti al dispotismo di una “non/democrazia”. E non mi riferisco solo all'Italia, particolarmente debole in questa fase, perché le falle di una democrazia rappresentativa incapace di funzionare democraticamente in vari modi investono tutti i paesi occidentali.
Secondo una visione un minimo civile
Secondo teoria, il denaro pubblico, il cui uso riguarda e interessa ognuno di noi, dovrebbe essere amministrato e investito in modo tale da apportare benefici concreti a tutti i cittadini, per realizzare cioè il bene collettivo, e non dovrebbe essere minimamente impiegato per sperimentare spericolate peripezie di speculazione finanziaria che, proprio per la loro natura, mettono seriamente a rischio il capitale di partenza. Scambiare un'utilizzazione amministrativa con un investimento finanziario a rischio non è solo un uso improprio, ma un impiego criminale perché va contro il bene e l'interesse comuni. Quando poi lo si fa segretamente, come in questo caso, s'incappa in una vera e propria truffa, in quanto alla luce del sole si dichiara di agire per amministrare il bene collettivo nell'interesse generale, mentre nei fatti si agisce nascostamente scaricando sui contribuenti le perdite.
Secondo una visione un minimo civile, conseguente ai presupposti democratici sbandierati, qualsiasi scelta o intervento di ampio raggio che investa l'insieme della popolazione dovrebbe essere sottoposta al vaglio generale, dal momento fra l'altro che poi sta a tutti noi sborsare per pagare eventuali danni. Prima di darvi inizio si dovrebbe chiedere al popolo se accetta oppure no, mettendolo ovviamente al corrente sui rischi reali cui si andrebbe incontro.
Purtroppo da gran tempo il mandato per le deleghe è stato bandito nelle prassi in auge. Perfino la nostra tanto decantata Costituzione lo esclude, come fosse un inghippo che limita le possibilità d'azione e di scelta degli eletti. Ma, come enunciato da tutte le carte costituzionali, non è proprio l'equilibrio determinato dall'insieme calibrato di simili limiti e di previsti controlli che dovrebbe determinare la possibilità concreta di agire secondo la volontà generale?
Invece no! Non avendo nessun mandato vincolante, ma vere e proprie deleghe in bianco, lor signori, cui nel generale consenso estorto viene concesso il potere di decidere per tutti, possono permettersi di fare le scorribande che preferiscono, magari tenendole segrete per motivi di “sicurezza nazionale” (come ci viene spacciato ogni volta), usando i sudati guadagni dei cittadini nei modi per loro più confacenti, alla bisogna riversandoci poi addosso l'onere dei loro fallimenti, fatti alle nostre spalle contro di noi in nostro nome. Così sperperano tranquillamente il denaro pubblico con astrusi giochi finanziari, sottraendoci i sudati risparmi per sopperire ai fallimenti speculativi o, quando va loro bene, per contribuire all'arricchimento spropositato delle banche.
In ogni parte del mondo la speculazione finanziaria miete vittime col consenso e la complicità dei governanti, animati da un'indescrivibile spietatezza, spregiudicatamente incuranti del fatto che il loro operato è tra le cause prime della miseria, della fame e della dissoluzione sociale di miliardi d'individui in loro balia.
Gli ultimi dati ci fanno sapere che in tutto il globo soltanto otto persone sono in possesso di una ricchezza pari a quella che possiede più della metà della popolazione mondiale. Non sarebbe possibile se dai vari potenti di turno non venisse legittimata la sistematica rapina di pochissimi a danno di tutti gli altri.
Con grande determinazione
Non si dovrebbe subire una simile violenza istituzionale, gigantesco raggiro con conseguente estorsione ai danni dell'insieme sociale. Ci si dovrebbe ribellare, scatenando una ribellione efficace e giusta che non si limitasse a sfogare la rabbia che monta dentro. Lo stato, struttura di potere che s'impone sulla società, ci obbliga a pagare le tasse da lui stabilite e decide come investire i soldi che incassa senza rendere conto ai contribuenti. È il suo ruolo e non può far diversamente, incurante che tutto ciò sia una sicura concreta base d'azione per corruzione, speculazione e indebita appropriazione di denaro pubblico.
Dovremmo opporci seriamente, inchiodando questo sistema di cose alle sue responsabilità. Secondo una visione libertaria la gestione del bene comune, la cosa pubblica, dovrebbe al contrario essere autogestita, con adeguati ed efficienti strumenti orizzontali di base, non imposta da autoritarie strutture di potere com'è ora.
Fonte: A Rivista
Originale: http://arivista.org/?nr=415&pag=21.htm
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