di Ettore Livini
Addio austerità e privatizzazioni. Su stipendi e pensioni, ok al ritorno dei contratti collettivi e alle 35 ore. L’Europa dei falchi del rigore è sotto choc. Il Portogallo – complice la rocambolesca elezione a fine 2015 di un governo di sinistra – ha ripudiato la dottrina “lacrime e sangue” imposta dalla Ue in cambio di 78 miliardi di prestiti. E la ricetta delle (presunte) cicale lusitane, a sorpresa, funziona meglio di quella della Troika. «Il motivo? Non sono un’economista, ma per quel che mi riguarda è semplice come la storia della mia busta paga – ride Patricia Tavares, infermiera all’Ospedale San Josè di Lisbona –. Nel 2011 prendevo 1.100 euro con gli straordinari. Poi sono arrivati a salvarci Ue, Bce e Fmi: mi hanno tassato il salario del 3,5%, tolto tredicesima e quattordicesima e allungato a 40 ore il lavoro settimanale». Morale: «Nel 2013 le mie entrate annuali sono calate del 13% e il sogno di cambiare auto e lavatrice è andato in fumo».
Alle elezioni di ottobre 2015, però, per il suo stipendio (e il Portogallo) è cambiato tutto. I conservatori di Pedro Passo Coehlo non sono stati in grado di varare un governo del rigore-bis. Il socialista Antonio Costa è riuscito contro tutte le attese – «lavora a un papocchio, fallirà», era il mantra sul Tago – a unire le anime irrequiete della sinistra lusitana, varando un esecutivo di minoranza benedetto da Partito Comunista e Blocco della Sinistra con un programma chiaro: smontare le riforme della Troika. E oggi, 500 giorni dopo, le Cassandre sono servite: «La mia busta paga è risalita a 1.045 euro grazie al ripristino delle mensilità perse e all’addio alle tasse extra di Coehlo», calcola Teresa; lo stipendio minimo è salito da 505 a 577 euro, le pensioni sotto i 628 euro sono state aumentate di 10 euro. E la terapia anti-austerity del Portogallo, con buona pace dei talebani dei vincoli di Maastricht, funziona: l’economia è cresciuta del 2% nell’ultimo trimestre 2016; la disoccupazione è scesa dal 12,6% al 10,2%, il rapporto deficit/Pil è al livello più basso degli ultimi 42 anni. E la famiglia di Teresa, dopo tanti tentennamenti, s’è comprata la lavatrice.
La crisi, naturalmente, non è archiviata. Ue e Ocse ricordano in ogni occasione che il debito pubblico e privato del paese è troppo alto e che le banche scricchiolano ancora. «Una cosa però è certa: 18 mesi fa eravamo gli alunni ribelli d’Europa, ora ci sentiamo studenti modello», scherza il giovane ingegnere Paulo Paiva Cardoso mentre sistema i libri di scuola («ritornati gratuiti dopo quattro anni!») nella cartella del figlio Felipe davanti alle elementari “Natalia Correa”.
«La cosa che mi rende più orgogliosa è l’aver dimostrato che esiste un’alternativa all’austerità – spiega Marisa Matias, europarlamentare del Blocco della sinistra ed ex-candidata alla Presidenza della Repubblica. – e che è possibile coniugare crescita e giustizia sociale». Mettere assieme socialisti, comunisti e il suo partito non è stata una passeggiata: il Pcp è per il no alla Nato, Matias & C. vogliono un taglio al debito, i socialisti chiedono sgravi alle imprese. «Ma quando nel 2015 il 62% dei portoghesi ha votato no a nuovi sacrifici, abbiamo sentito tutti l’obbligo morale di gettare alle ortiche le differenze e lavorare a un compromesso pragmatico», spiega Matias. Mettendo a punto un programma “blindato” fatto dei 51 punti «sui quali era possibile trovare un’intesa» e lasciando fuori «i temi su cui non andremo mai d’accordo». Al resto ha pensato la capacità di mediatore di Costa, un maestro a trovare le entrate necessarie a finanziare i suoi “budget di sinistra”: sono salite le tasse su tabacco, auto e benzina. Ai proprietari di immobili oltre i 600mila euro di valore è stato imposto un salasso del 3% l’anno. Coca Cola e produttori di bevande gassate hanno dovuto mandare giù un “balzello sulle bollicine”. Il Catasto ha varato l’”Imu democratica”, aumentandola del 20% a chi ha case vista mare o esposte al sole e tagliandola del 10% a chi vive con vista cimitero.
«Il risultato è che la gente ha ripreso fiducia, sente di essersi riappropriata del futuro e alla fine, non mi chieda perché, l’economia gira», dice Paulo dopo aver salutato il figlio entrato a scuola. Durerà? L’Europa ci conta, anche perché – tra Brexit e elezioni a Parigi e Berlino – ha altre gatte da pelare e il fine centrato (il deficit sotto controllo) giustifica i mezzi con cui Lisbona ci è arrivata. «Noi garantiremo governabilità fino al 2019», dice Matias. I socialisti sono saliti nei sondaggi del 10% al 42%. Se si andasse a elezioni anticipate, potrebbero arrivare alla maggioranza assoluta. Ma Costa non ha dubbi. Il “papocchio” funziona «e squadra che vince non si cambia». Obiettivo, puntare più in alto: usare la ricetta del Portogallo per cambiare l’Europa.
Fonte: La Repubblica
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