La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 29 ottobre 2015

L’orgoglio «liberal» contro gli squali di Wall Street

di Benedetto Vecchi
La grande reto­rica dive­nuta pen­siero domi­nante recita che il mer­cato non ha neces­sità dello Stato per fun­zio­nare bene. Dà infatti il meglio di sé — nel garan­tire un benes­sere varia­bile secondo le capa­cità a tutti gli abi­tanti della società — ogni volta che il potere poli­tico smette di intro­met­tersi nell’attività eco­no­mica. Più che grande reto­rica, avverte Robert Reich nel volume Come sal­vare il capi­ta­li­smo (Fazi edi­tore, pp. 332, euro 22), è una men­zo­gna bella e buona. Il neo­li­be­ri­smo si basa infatti su una diversa rego­la­zione dell’attività eco­no­mica. Non dun­que sull’assenza di regole, ma di norme dif­fe­renti, anti­te­ti­che da quelle che dagli anni Trenta sono diven­tate ege­moni nel capi­ta­li­smo. E se dagli anni Trenta del Nove­cento, lo Stato era diven­tato sia il garante di alcuni diritti sociali — la salute, la pen­sione, la for­ma­zione — che anche impren­di­tore, dalla meta degli anni Set­tanta dello stesso secolo in poi ha pro­gres­si­va­mente can­cel­lato quella strut­ture isti­tu­zio­nali, sosti­tuen­dole con leggi e norme favo­re­voli solo alle imprese e demo­lendo così il «com­pro­messo tra capi­tale e lavoro».
Robert Reich è un libe­ral che ha rico­perto ruoli poli­tici rile­vanti — è stato mini­stro del lavoro durante la prima pre­si­denza di Bill Clin­ton — ed è un docente apprez­zato per uno stu­dio sulle «eco­no­mie delle nazioni», rite­nuto uno dei primi saggi sulla glo­ba­liz­za­zione. Abban­do­nato l’incarico isti­tu­zio­nale è tor­nato nelle aule uni­ver­si­ta­rie per inse­gnare eco­no­mia indu­striale e eco­no­mia del lavoro. Per­so­nag­gio noto per le sue mol­te­plici col­la­bo­ra­zioni con quo­ti­diani e rivi­ste, ha fatto par­lare di sé per l’annuncio di riti­rarsi dalla scena pub­blica per dedi­carsi alla fami­glia e all’educazione dei figli. Pro­po­sito man­te­nuto per poco tempo, visto che ha man­dato alle stampe mol­tis­simi libri: sul «tur­bo­ca­pi­ta­li­smo», sulle guerre cul­tu­rali negli Stati Uniti, sugli effetti della crisi del 2007–2008 e, infine, sul capi­ta­li­smo emerso dalla grande crisi. Deci­sa­mente avver­sa­rio del regime neo­li­be­ri­sta è stato spesso rite­nuto un demo­cra­tico di «sini­stra», col­lo­ca­zione poli­tica che que­sto libro smen­ti­sce decisamente.
Key­ne­si­smo di ritorno
Il titolo — Come sal­vare il capi­ta­li­smo — esprime chia­ra­mente l’obiettivo del sag­gio. Ciò che Reich vuol ripri­sti­nare è un modo di rego­lare l’attività eco­no­mica e il rap­porto tra que­sta e il sistema poli­tico che può essere defi­nito key­ne­siamo. Dun­que, diritti sociali garan­titi, nelle forme isti­tu­zio­nali che hanno carat­te­riz­zato il capi­ta­li­smo sta­tu­ni­tense — redi­stri­bu­zione del red­dito, con­te­ni­mento della for­bice delle dise­gua­glianza sociali e argini alla «logica di potenza» delle imprese, che ha por­tato il sistema poli­tico di Washing­ton ad essere spesso ostag­gio delle lobby. Il suo è un rifor­mi­smo light, che non disde­gna di usare toni hard quando si tratta di stig­ma­tiz­zare le poli­ti­che libe­ri­ste che hanno con­trad­di­stinto le pre­si­denze repub­bli­cane o della stessa ammi­ni­stra­zione Clin­ton, non­che delle deci­sioni delle Corte Suprema o di leggi appro­vato dal con­gresso a favore del capi­tale. E non è tenero nep­pure quando denun­cia la subal­ter­nità della poli­tica a Wall Street.
Così si dilunga a lungo su come le norme sulla pro­prietà intel­let­tuale hanno solo favo­rito le mul­ti­na­zio­nali high-tech, far­ma­ceu­ti­che, agro-alimentari e della chi­mica. Sotto tiro non sono solo le leggi sul diritto d’autore che hanno reso il soft­ware pro­prietà esclu­siva delle imprese, ma anche i bre­vetti sui far­maci, che asse­gnano un potere immenso alle mul­ti­na­zio­nali far­ma­ceu­ti­che sulla vita (e la morte) di uomini e donne. L’immoralità delle loro azioni, argo­menta Reich, sta nel ven­dere far­maci sal­va­vita a prezzi che sono una mino­ranza della società può permettersi.
Ogni esem­pio scelto dall’economista ruota attorno allo stesso nucleo argo­men­ta­tivo. Nel neo­li­be­ri­smo lo Stato non scom­pare, anzi è molto pre­sente. Ma invece che essere garante della salute pub­blica è diven­tato il garante delle stra­te­gie capi­ta­li­sti­che. Il case study più ecla­tante del libro è però quello rela­tivo allo spo­sta­mento di ric­chezza dal lavoro al capi­tale avve­nuto non solo negli Stati Uniti, ma in tutto il Nord globale.
La pre­ca­riz­za­zione del rap­porto di lavoro, la dif­fe­ren­zia­zione tra lavo­ra­tori che ancora acce­dono alla tutela sani­ta­ria e chi ne è escluso hanno pro­vo­cato la cre­scita di un nume­roso eser­cito di wor­king poor, i lavo­ra­tori poveri costretti a svol­gere più lavori per rag­gra­nel­lare un sala­rio di mera soprav­vi­venza. Ma a deter­mi­nare lo spo­sta­mento di ric­chezza dal lavoro al capi­tale è anche la dif­fi­coltà di poter acce­dere a buoni col­lege e uni­ver­sità a causa delle alte retta da pagare, osta­colo che è spesso aggi­rato tra­mite l’indebitamento dei geni­tori o dello stesso(a) studente/studentessa.
Reich mani­fe­sta nostal­gia per gli isti­tuti del public domain e delle affer­ma­tive action che nel recente pas­sato hanno con­sen­tito alla società ame­ri­cana di atti­vare forme isti­tu­zio­nali di mobi­lità sociale verso l’alto. Ed è con que­sto spi­rito che difende le pro­po­ste, meglio le misure di Barack Obama sull’innalzamento del sala­rio minimo ora­rio. Per Reich è la prima misura a favore del lavoro presa da un pre­si­dente degli Stati Uniti da tan­tis­simi anni.
Arri­vano i voucher
Reich fa però con­fu­sione sul red­dito minimo. Negli Stati Uniti c’è stato anche un neo­li­be­ri­sta radi­cale come MIl­ton Fried­man che è stato a favore di un red­dito minimo garan­tito nelle forme di vou­cher per acqui­stare alcuni beni e ser­vizi. Non è certo il red­dito di cit­ta­di­nanza euro­peo. Sem­mai è una forma di inte­gra­zione del sala­rio o di sus­si­dio di disoc­cu­pa­zione vin­co­lati comun­que alla dispo­ni­bi­lità ad accet­tare qual­siasi tipo di lavoro che le «agen­zie dell’impiego» — ce ne sono di pri­vate e di pub­bli­che negli Stati Uniti — pro­pon­gono. Sta di fatto che per Reich tanto il sala­rio che il red­dito minimo sono misure a favore del lavoro. Per­ché il capi­ta­li­smo si può sal­vare solo attra­verso una redi­stri­bu­zione della ric­chezza. È que­sto il rifor­mi­smo light di Reich. Da con­di­vi­dere, ovvia­mente, anche se rimane l’impressione di svuo­tare l’oceano con un sec­chiello. Lode­vole inten­zione, desti­nata però ad essere fru­strata dai rap­porti di forza esi­stenti nel capi­ta­li­smo. E se non si cam­biano quelli ogni inten­zione rimane solo lodevole.

Fonte il manifesto 

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