La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

martedì 1 dicembre 2015

Tutta colpa di Daesh

di Augusto Illuminati
Il primo segnale, tutto sommato, non è negativo, è un prudenziale e andreottiano barcamenarsi che, in assenza di una strategia internazionale lucida, è il male minore rispetto alla gallica furia bombardiera e alle comiche imitazioni che ne offrono il “tosto”Foglio o il serioso Corsera. Il secondo segnale è più complesso, implicando tanto un incoraggiamento ottimistico (consumate, cazzeggiate, generate buoni sondaggi) quanto un mettere le mani avanti. Tende infatti a trasferire i problemi e le soluzioni su un piano psicologico: se fate finta che tutto vada bene, sconfiggerete crisi e terrorismo, lo stile di vita è simulazione di felicità, il miglioramento è attesa di miglioramento. E giù con i sondaggi (pre-Parigi, peraltro) che attesterebbero la crescente fiducia dei consumatori, sebbene i dati – ottusi! – sui consumi, il fatturato, gli ordinativi e la deflazione marcino in senso inverso.
A questo punto il discorso si rovescia: se passa il pessimismo, se predomina la paura del terrorismo, allora anche l’economia, che è questione di fiducia, ne risente. Passo retorico successivo: se l’economia va male e le aspettative di crescita vengono deluse, la colpa è del terrorismo e dei consumatori pavidi. Daesh subentra ai gufi di buona memoria.
Operazione classica di scarico delle responsabilità che sottobanco Renzi e Padoan hanno lanciato all’unisono, però in sospetta coincidenza con una paio di eventi tutt’altro che “psicologici”, tanto meno connessi a Daesh.
In prima battuta e in chiara evidenza all’indomani delle dichiarazioni del presidente dell’eurogruppo Dijsselbloem, che ha ammonito l’Italia a non contare contemporaneamente su sconti di flessibilità per rifugiati, riforme e spese di sicurezza, mettendo così in pericolo la disinvolta strategia di sforo del rapporto deficit-Pil della legge di stabilità. Il che vuol dire probabile ricorso, a inizio 2016 o comunque alla vigilia delle elezioni regionali, a una manovra correttiva o allo scatto della clausole di salvaguardia (aumenti benzina e Iva).
Dietro, però, si delinea uno sfondo molto più preoccupante e strutturale: l’instabilità di un sistema bancario in sofferenza per la frammentazione, la scarsa capitalizzazione e il mancato rientro dei prestiti erogati ad aziende in crisi e con fioche prospettive di ripresa. L’adozione al 1° gennaio 2016 della delibera europea sul bail-in, che corresponsabilizza nel fallimento non solo azionisti e obbligazionisti, ma anche i titolari di depositi oltre i 100.000 €, poteva apparire una minaccia vaga fin quando un decreto domenicale del CdM ha bruscamente gettato sul lastrico decine di migliaia di piccoli azionisti e obbligazionisti di quattro banche medie locali (di quelle che costringono gli imprenditori che chiedono un prestito a diventare anche soci della banca). L’operazione, probabilmente volta a salvare gli affari di papà Boschi (banca Etruria), ma non solo, ha dato sì respiro ai normali correntisti, cadendo con un mese di anticipo sul bail-in, ma ha sparso il panico, dato che in condizioni analoghe si trovano, nel silenzio generale, parecchie altre banche, in primo luogo la Popolare di Vicenza, e potrebbe scorrere molto sangue. Imputarlo a Daesh, invece che al marciume di un sistema clientelare (prestiti in cambio di mazzette e consenso politico, vedi il caso Monte Paschi) è una buona mossa.
L’economia è stretta fra la debolezza endemica del sistema bancario e creditizio e la contrazione dei mercati esteri, che finora l’hanno sorretta a consumo interno stagnante o decrescente, per il noto rallentamento della Cina e dei paesi Bric, per di più all’interno di un vistoso gap europeo rispetto agli Usa.
Il previsto incremento dello 0,9% del Pil (che ci avrebbe consentito in qualche decennio di tornare ai livelli del 2007…) appare ora molto nebuloso e il nervosismo di un governo tutto lanciato sulle promesse, le mance e i bonus si fa palese. Colpa di Daesh, ma chi ci crede? Il correntista spogliato dei risparmi se la prenderà con la banca e poi con il governo che non interviene a salvarla, mica con gli islamici, anzi i più benestanti e accorti sposteranno i loro risparmi verso le banche islamiche oltre ai soliti paradisi fiscali. Il credito sarà ancora più ristretto e, finita la droga della decontribuzione fiscale, cominceranno i licenziamenti di una parte degli assunti “a tutele crescenti” con il JobsAct.
Tutto il dibattito verte su percentuali da prefisso telefonico, così che si viene a perdere, per dirla con Ricolfi, «la percezione dell’effettivo ordine di grandezza dei cambiamenti di cui si parla». L’occupazione, tanto per fare un esempio, è restata stabile o in lieve discesa e neppure la quota dei precari è stata intaccata, tornando quasi ai livelli storici massimi (ancora Ricolfi sul noto sito dei centri sociali Sole-24 ore). Magri risultati a fronte di cospicui impegni finanziari ovvero mance agli imprenditori. Mancano 7 milioni di posti di lavoro per raggiungere una pur poco brillante Europa. A questo ritmo: 30 anni. Ma proprio quel ritmo non ce la facciamo a tenerlo…
E ancora non parliamo dei probabili effetti depressivi della “guerra” combattuta, simulata o tifata che sia. Tolta la Finmeccanica che venderà armi a tutte le parti in causa, la riduzione degli scambi e la chiusura dei confini, particolarmente in un paese dipendente dalle esportazioni e dal turismo come il nostro, non promettono nulla di buono. L’accoppiata fra stretta interna sulla sicurezza e minacce terroriste alla sicurezza in genere non porta bene all’economia civile: Padoan spera nella stagione sciistica, visto che dal Giubileo si aspetta solo guai. E per ora stiamo discutendo di una guerra stracciona, feroce ma senza armamenti simmetrici di distruzione di massa. Uno scenario peggiore possiamo già cominciare a immaginarcelo, facendo i debiti scongiuri.

Fonte: dinamopress.it 

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.