Intervista a Noam Chomsky di CJ Polychroniou e Lily Sage
Nel corso delle cose umane religione e politica hanno spesso marciato mano nella mano. In questa più recente intervista l’eminente intellettuale pubblico e padre della linguistica moderna Noam Chomsky condivide le sue idee sulla religione e il suo collegamento con la politica, con particolare riferimento alla società statunitense e al conflitto israelo-palestinese. Chomsky offre anche la sua visione del movimento del “Nuovo ateismo” e valuta l’affermazione che sapere e realtà sono semplicemente costruzioni sociali.
Nel corso della storia umana la religione ha offerto conforto alla pena e alla sofferenza dei poveri e degli oppressi del mondo, il che è probabilmente ciò che Marx intendeva quando affermò “La religione è l’oppio del popolo”. Ma al tempo stesso sono state commesse atrocità indicibili nel nome di Dio e le istituzioni religiose spesso operano da guardiane della tradizione. Quali sono le sue idee sul ruolo della religione nelle cose umane?
"Il quadro generale e molto brutto e troppo familiare da raccontare. Ma val la pena di ricordare che ci sono alcune eccezioni. Un esempio straordinario è ciò che successe in America Latina dopo il Vaticano II nel 1962, convocato su iniziativa di papa Giovanni XXIII. I lavori fecero passi considerevoli in direzione del ripristino del messaggio pacifista radicale dei Vangeli che era stato in larga misura abbandonato quando l’imperatore Costantino, nel quarto secolo, adottò il cristianesimo come dottrina ufficiale dell’impero romano, trasformando la chiesa dei perseguitati nella chiesa dei persecutori, come tale trasformazione è stata descritta dallo storico del cristianesimo Hans Kung. Il messaggio del Vaticano II fu raccolto in America Latina da vescovi, sacerdoti, laici che si dedicarono ad aiutare i poveri e i duramente oppressi a organizzarsi per ottenere e difendere i loro diritti, quella che venne chiamata la “teologia della liberazione”.
C’erano, naturalmente, radici e controparti precedenti in molte sigle protestanti, compresi i cristiani evangelici. Questi gruppi formarono un nucleo centrale di un rimarchevole sviluppo negli Stati Uniti negli anni ’80 quando, per la prima volta da sempre, per quanto ne so, un gran numero di persone non solo contestò i crimini terribili che il loro governo andava commettendo ma andarono a unirsi alle vittime per aiutarle a sopravvivere all’attacco.
Gli Stati Uniti lanciarono una virtuale campagna contro la Chiesa, più spettacolarmente in America Centrale negli anni ’80. Il decennio fu contrassegnato da due eventi cruciali in El Salvador: l’assassinio nel 1980 dell’arcivescovo Oscar Romero, la “voce dei senza voce”, e l’assassinio di sei eminenti intellettuali latinoamericani, sacerdoti gesuiti, nel 1989. Romero fu assassinato pochi giorni dopo che aveva inviato una lettera eloquente al presidente Carter implorandolo di non mandare aiuti alla giunta militare assassina che li avrebbe usati “per distruggere le organizzazioni popolari che lottano per difendere i loro fondamentali diritti umani”, nelle parole di Romero. Questo facevano le forze di sicurezza negli stati della regione dominati dagli USA, lasciando molti martiri religiosi insieme con decine di migliaia delle solite vittime: contadini poveri, attivisti dei diritti umani, e altri che cercavano di “difendere i loro fondamentali diritti umani”.
L’esercito statunitense è orgoglioso di aver aiutato a distruggere la pericolosa eresia che adottava “l’opzione preferenziale a favore dei poveri”, il messaggio dei Vangeli. La Scuola delle Americhe (ribattezzata “Istituto dell’Emisfero Occidentale per la Cooperazione alla Sicurezza”), famosa per l’addestramento di sicari latinoamericani, annuncia con fierezza che la teologia della liberazione era “sconfitta con l’assistenza dell’esercito degli Stati Uniti”."
Crede nel fattore spirituale dietro la religione o vi trova qualcosa di utile?
"Per me, personalmente, no. Penso che le convinzioni irrazionali siano un fenomeno pericoloso e cerco di evitarle. D’altro canto riconosco che si tratta di una parte significativa della vita degli altri, con effetti contrastanti."
Quali sono le sue idee sull’ascesa del “Nuovo ateismo”, che sembra essere nato in reazioni agli attacchi terroristici dell’11 settembre? Quali sono gli uditori bersaglio di questo movimento e ha un programma politico riconoscibile intorno al quale le forze progressiste e di sinistra dovrebbero schierarsi?
"Spesso non è molto chiaro quale sia il pubblico destinatario e indubbiamente i programmi variano. Va bene attuare iniziative educative mirate a incoraggiare le persone a mettere in discussione convinzioni infondate e irrazionali, il che può essere spesso molto pericoloso. E forse a volte tali sforzi hanno effetti positivi. Ma sorgono interrogativi.
Si prenda per esempio George W. Bush che evocò le sue convinzioni cristiane fondamentaliste per giustificare la sua invasione dell’Iraq, il crimine peggiore del secolo. Lui o i cristiani evangelici della sua specie fanno parte dell’uditorio voluto? O i rinomati rabbini israeliani che sollecitano il giudizio di Amalek su tutti i palestinesi (distruzione totale, loro animali compresi)? O i fondamentalisti radicali islamici in Arabia Saudita che sono da 75 anni alleati stimatissimi di Washington in Medio Oriente mentre attuano la wahabizzazione dell’Islam sunnita, che il corrispondente dal Medio Oriente Patrick Cockburn descrive come una delle più grandi tragedie dell’era moderna? Se gruppi come questi sono i pubblici ricercati [dal ‘Nuovo ateismo’] il tentativo non è molto promettente, a dir poco. Sono le persone senza alcuna fede religiosa particolare che partecipano regolarmente alle cerimonie religiose e celebrano le festività per poter diventare parte di una comunità di mutuo sostegno e solidarietà e insieme con altri fruiscono di una tradizione e rafforzano valori che aiutano a superare l’isolamento di un mondo atomizzato privo di legami sociali? E’ la madre dolente che si consola pensando che rivedrà in cielo il suo figlio moribondo? Nessuno le terrebbe lezioni solenni sull’epistemologia. In effetti può esistere un pubblico, ma la sua composizione e i suoi confini suscitano interrogativi.
Inoltre, per essere serio, il “nuovo ateismo” dovrebbe attaccare le virulente religioni laiche dell’adorazione dello stato, spesso mascherate dalla retorica dell’eccezionalismo e delle nobili intenzioni, la fonte di crimini così frequenti e immensi che non è certo necessario raccontarli.
Senza continuare, ho riserve. Tuttavia, di nuovo, tentativi di superare convinzioni errate e spesso estremamente pericolose sono sempre appropriati."
Si potrebbe sostenere che gli Stati Uniti sono in realtà un paese profondamente fondamentalista in tema di religione. C’è speranza di un reale cambiamento progressista in questo paese quando il grosso della popolazione sembra essere nella morsa del fervore religioso?
"Gli Stati Uniti sono un paese profondamente fondamentalista sin dalle origini, con ripetuti Grandi Risvegli e scoppi di fervore religioso. Spiccano oggi tra le società industriali quanto al potere della religione. Ciò nonostante, pure dalle origini, c’è stato un considerevole cambiamento progressista e non è stato necessariamente in conflitto con le devozioni religiose.
Viene in mente, per esempio, Dorothy Day e il movimento dei Lavoratori Cattolici. Oppure il ruolo potente della religione nelle comunità afroamericane nel grande movimento per i diritti civili e, come digressione personale, fu profondamente commovente essere in grado di prendere parte a riunioni di dimostranti in chiese del sud, dopo una giornata di brutali pestaggi e ferocie, dove i presenti rafforzavano legami di solidarietà cantando inni, raccogliendo le forze per continuare il giorno dopo. Questa, ovviamente, non è assolutamente la norma e comunemente l’impatto della devozione religiosa fondamentalista sulla politica sociale è stato dannoso, quando non pernicioso.
Come al solito non ci sono risposte semplici, solo quelle vecchie familiari: interessamento empatico, tentativi di tirar fuori ciò che è costruttivo e degno e superare tendenze dannose, e continuare a sviluppare le forze dell’umanesimo laico e impegni radicali e di vasta portata che sono urgentemente necessari per far fronte ai problemi pressanti e urgenti che tutti incontriamo."
Tantissimi discorsi politici negli Stati Uniti finiscono con “Dio vi benedica, e Dio benedica gli Stati Uniti”. Espressioni linguistiche come queste influenzano la politica, la cultura e la realtà sociale?
"Suppongo che la relazione causale sia sostanzialmente nella direzione contraria, anche se può ben esserci una reazione. Un martellamento di propaganda su come “noi siamo il bene” e “loro sono il male”, con esercizi costanti di ammirazione di sé stessi e di denigrazione degli altri, difficilmente può non avere un impatto sulla percezione del mondo.
Gli esempi abbondano, ma unicamente per illustrare il disegno comune, prendiamo un esempio attuale dal vertice della cultura intellettuale: l’articolo del 18 agosto di Samantha Power sulla New York Review of Books. Senza alcuna relativa precisazione o commento l’autrice presenta le sapienti riflessioni di Henry Kissinger sul “tragico difetto degli Stati Uniti”: cioè “credere che i nostri principi siano principi universali e cercare di estendere i diritti umani molto oltre i nostri confini nazionali … ‘Nessuna nazione … ha mai imposto a sé stessa le attese morali che si non imposte gli Stati Uniti. E nessun paese si è mai così tormentato per il divario tra i propri valori morali, che sono per definizione assoluti, e l’imperfezione intrinseca nelle situazioni cui devono essere applicati’”.
Per chiunque abbia la minima familiarità con la storia contemporanea, tali riflessioni fatue sono semplicemente imbarazzanti o, per essere più accurati, un orrore. E non si tratta di un programma di dibattito radiofonico, bensì di una rivista di spicco degli intellettuali della sinistra liberale. Coloro che sono bombardati da vaniloqui patriottici probabilmente avranno una visione di sé stessi e del mondo che pone grandi minacce all’umanità. Non sorprende certo, alla luce sia dei precedenti storici sia delle immagini di sé escogitate dagli ideologi, che gli Stati Uniti si classifichino nei sondaggi internazionali come la maggiore minaccia alla pace mondiale, con nessun altro nemmeno prossimo a loro. Né sorprende che la popolazione sia protetta da simili fatti sconvenienti dalla “libera stampa”."
La retorica è diffusamente utilizzata nelle campagne politiche e se ne abusa frequentemente in contesti politici. Lei ha una teoria della retorica politica?
"Non ho alcuna teoria della retorica, ma cerco di tenere a mente il principio che non si dovrebbe cercare di persuadere; piuttosto, preparare il terreno quanto meglio si può perché altri possano usare i loro mezzi intellettuali per stabilire da sé che cosa pensano stia avvenendo e che cosa è giusto o sbagliato. Io cerco anche, particolarmente negli scritti politici, di rendere estremamente chiaro in anticipo qual è la mia posizione in modo che i lettori possano formulare i loro giudizi conseguentemente. L’idea di un’obiettività neutrale è al meglio fuorviante e spesso fraudolenta. Non possiamo evitare di affrontare questioni complesse e controverse – specialmente quelle di significato umano – con un punto di vista definito, con un interesse personale, se volete, e quell’interesse dovrebbe essere evidente dall’inizio in modo che coloro cui ci rivolgiamo possano vedere da dove veniamo nella nostra scelta e interpretazione degli eventi della storia.
Nella misura in cui riesco a controllare le mie stesse attività retoriche, che probabilmente non è grande, cerco di astenermi da tentativi di indurre le persone a giungere alle mie conclusioni senza riflettere a fondo da sole sulla materia. Analogamente, ogni buon insegnante sa che trasmettere informazioni è d’importanza molto minore che aiutare gli studenti ad acquisire la capacità di indagare e creare le proprie."
Nel corso degli anni è divenuto popolare considerare il sapere come qualcosa di costruito socialmente e i promotori dell’idea che il sapere è semplicemente il risultato di un accordo su una determinata questione che richiede ricerca e analisi, affermano che lo stesso vale per la realtà stessa. Concorda con questa visione relativistica del sapere e della realtà?
"Penso sia prevalentemente molto fuori strada, anche se c’è un elemento di verità celato all’interno. Indubbiamente il perseguimento della conoscenza è guidato da concezioni anteriori e indubbiamente è spesso, non sempre ma normalmente, un’attività comune. Questo è considerevolmente vero nel caso del sapere organizzato, diciamo nella ricerca in scienze naturali. Ad esempio un laureato verrà a informarmi che mi sbagliavo in quello che ho detto in una lezione ieri, per questa o quest’altra ragione e ne discuteremo e giungeremo o no a un accordo e forse emergerà un’altra serie di problemi. Beh, questa è normale indagine, e indipendentemente dai risultati è una certa forma di sapere o di comprensione, che è, in parte, determinata socialmente dalla natura di queste interazioni.
C’è parecchio di cui non sappiamo molto, ad esempio come il sapere scientifico è acquisito e si sviluppa. Se esaminiamo più in profondità i campi in cui capiamo qualcosa, scopriamo che lo sviluppo di sistemi cognitivi, compresi sistemi di sapere e conoscenza, è diretto in misura sostanziale dalla nostra natura biologica. Nel caso della conoscenza del linguaggio abbiamo prove chiare e risultati considerevoli al riguardo. Parte del mio interesse personale nello studio del linguaggio è dovuto al fatto che si tratta di un campo in cui queste questioni possono essere studiate abbastanza chiaramente, molto più che in molti altri campi. Inoltre è un campo che è intrinseco alla natura e alle funzioni umane, non un caso marginale. Qui, io penso, abbiamo potenti prove dell’effetto direttivo della natura biologica sulla forma del sistema di conoscenza che sorge.
In altri campi come, per esempio, la costruzione interna del nostro codice morale, sappiamo meno, anche se ci sono attualmente ricerche molto interessanti e rivelatrici sul tema. Io penso che la natura qualitativa del problema affrontato suggerisca con forza una conclusione molto simile: un effetto fortemente direttivo di natura biologica. Quando si passa all’indagine scientifica, di nuovo si sa così poco di come procede – come si fanno le scoperte – che siamo ridotti a fare ipotesi e a esaminare esempi storici. Ma io penso che la natura qualitativa del processo di acquisizione del sapere scientifico suggerisca, di nuovo, un effetto fortemente direttivo di natura biologica. Il ragionamento alla base di ciò è fondamentalmente quello di Platone, che penso sia essenzialmente valido. E’ per questo che spesso è chiamato il “problema di Platone”. Il ragionamento nei dialoghi di Platone è che la ricchezza e specificità e la condivisione del sapere che otteniamo siano ben oltre qualsiasi cosa possa essere spiegata dall’esperienza disponibile, che include interazioni interpersonali. E, casi fortuiti a parte, ciò lascia solo la possibilità che si tratti di qualcosa di determinato dall’interno in modi essenziali, alla fin fine dal corredo biologico.
E’ la stessa logica che è regolarmente utilizzata dagli scienziati della natura nello studio di sistemi organici. Così, per esempio, quando studiamo la crescita fisica – parlando metaforicamente, “sotto il collo”, tutto fuorché la mente – diamo per scontato questo modo di ragionare… Diciamo che se io vi suggerissi che il passaggio alla pubertà è una questione di interazione sociale e le persone ci arrivano perché vedono altri fare altrettanto, che si tratta di pressione di propri pari. Beh, ridereste. Perché? Perché non c’è nulla nell’ambiente che potrebbe determinare tali cambiamenti molto specifici dell’organismo. Perciò diamo tutti per scontato che sia qualcosa di determinato biologicamente, che i bambini che crescono siano in qualche modo programmati biologicamente per attraversare la pubertà in un certo stadio del loro sviluppo. I fattori sociali sono irrilevanti per la pubertà? No, affatto. Le interazioni sociali saranno certamente rilevanti. In certe situazioni di isolamento sociale, potrebbe non aver luogo. La stessa logica vale quando l’indagine procede “sopra il collo”."
Tornando al tema del collegamento tra religione e politica, è stato sostenuto da parecchio commentatori che il conflitto israelo-palestinese è una guerra di religione, non di territorio. C’è qualche validità in questo?
"Il movimento sionista agli inizi era laico, anche se elementi religiosi sono andati guadagnando un ruolo considerevolmente maggiore, particolarmente dopo la guerra del 1967 e l’avvio dell’occupazione, che ebbe un grosso impatto sulla società e sulla cultura israeliane. Ciò è particolarmente vero nel caso dell’esercito, una questione che ha profondamente preoccupato gli analisti degli affari militari dagli anni ’80 (gli ammonimenti di Yoram Peri all’epoca furono lungimiranti) e sempre più oggi. Anche i movimenti palestinesi erano in larga misura laici, sebbene anche l’estremismo religioso stia aumentando, in tutto il mondo mussulmano, in realtà, mentre le iniziative laiche sono respinte e le vittime cercano qualcos’altro cui aggrapparsi. Tuttavia sarebbe molto fuorviante, penso, considerarla una guerra di religione. Qualsiasi cosa uno ne pensi, il sionismo è stato un movimento coloniale d’insediamento, con tutto ciò che questo comporta."
Che cosa pensa della legge francese sulla laicità e sugli evidenti simboli religiosi? Un passo avanti o indietro quanto al progresso e all’universalismo?
"Non penso che dovrebbero esserci leggi che costringano le donne a togliere il velo o abbigliamenti preferiti quando nuotano. I valori laici, penso, andrebbero onorati; tra essi il rispetto per le scelte individuali, fintanto che non danneggiano altri. I valori laici che andrebbero rispettati sono compromessi quando il potere statale si ingerisce in aree che dovrebbero essere questioni di scelta personale. Se ebrei hassidici scelgono di indossare mantelli neri, camicie bianche e cappelli neri, con i capelli in stile ortodosso e stile religioso, non sono affari dello stato. Lo stesso vale quando una donna mussulmana decide di indossare un velo o di andare a nuotare in “burkini”."
Da ZNetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo
Originale: Truthout
Traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2016 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0
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