di Gianni Ferrara
La proposta d’Alema sull’oggetto del referendum (e gli effetti sul collegato italicum) colma un vuoto nel confronto tra noi del “No” e i sostenitori del “Sì”. Il vuoto di una proposta riformatrice del testo costituzionale, per una autentica “revisione”. Insisto: revisione, non eversione della forma di governo (e di stato) premeditata e avviata a mezzo dei due combinati mostriciattoli Renzi-Boschi.
A quel che si legge, D’Alema proporrebbe: a) la ridefinizione del rapporto di fiducia al governo in modo che intercorra con la sola camera dei deputati, il superamento quindi del bicameralismo perfetto; b) la riduzione del numero dei membri del parlamento a 400 per la camera e a 200 per il senato, (in totale, trenta in meno del numero attuale dei soli deputati) per contenere l’estensione del ceto parlamentare alle funzioni da svolgere a seguito del riparto delle competenze con l’Ue; c) la soppressione del Cnel e delle province, d) le modifiche al Titolo V segnalate dalla decennale giurisprudenza della corte costituzionale.
A quel che si legge, D’Alema proporrebbe: a) la ridefinizione del rapporto di fiducia al governo in modo che intercorra con la sola camera dei deputati, il superamento quindi del bicameralismo perfetto; b) la riduzione del numero dei membri del parlamento a 400 per la camera e a 200 per il senato, (in totale, trenta in meno del numero attuale dei soli deputati) per contenere l’estensione del ceto parlamentare alle funzioni da svolgere a seguito del riparto delle competenze con l’Ue; c) la soppressione del Cnel e delle province, d) le modifiche al Titolo V segnalate dalla decennale giurisprudenza della corte costituzionale.
Il tutto si tradurrebbe in emendamenti a 5 o 6 soli articoli della Costituzione, come notava, giovedì scorso, su questo giornale, Massimo Villone. Li chiamo “emendamenti” a ragion veduta.
Come tali dovrebbero essere e dimostrare di essere, non solo pertinenti formalmente, ma logicamente coerenti al testo della Costituzione e al suo spirito.
I meriti della proposta vanno sottolineati. Non soltanto e non tanto perché dimostrano l’infondatezza della accusa al “no” di cieco conservatorismo delle … virgole della Costituzione. Ma perché, di fatto e con rilevanza politica assai notevole, trasforma il “no” in un “sì” a una diversa modifica della Costituzione che accoglierebbe le proposte revisioniste oneste rendendole di costituzionalità indubitabile.
La proposta inoltre, offre ai sostenitori del “si” al governo e/o in parlamento, una chance che sarebbe grave rifiutare. Quella di dimostrare, accogliendola, che i loro intenti non sono affatto quelli temuti e da noi motivati e denunziati e che perciò essi sono disposti a raggiungerli anche in modi diversi dai contenuti della Renzi-Boschi che allarmano così tanto vasti settori dell’opinione pubblica. Modi che già hanno il favore delle minoranze parlamentari e che, con quello del Pd, in ambedue i rami del parlamento, costruirebbero un consenso adeguato per una revisione costituzionale degna di questo nome. Rifiutare tale proposta dimostrerebbe tutta la perversità del disegno istituzionale renziano.
Ci si deve però chiedere come e in che senso la proposta D’Alema (da spersonalizzare chiamandola, ad esempio, «dei cinque emendamenti alla Costituzione») possa essere accettata. È difficile immaginarlo ma ci si può provare. Sapendo che il suo presupposto è la vittoria del “no” ed è indefettibile. A tale presupposto dovrebbe corrispondere se non un sì, qualcosa che, senza somigliargli troppo, non gli si opponga. Lo si può ipotizzare come giudizio positivo sulle singole parti della proposta, su ciascuno degli emendamenti alla Costituzione. Sarebbe quindi auspicabile, e non solo da questo punto di vista, la presentazione alla camera e al senato di un progetto di legge costituzionale con tale contenuto.
La proposta intanto ha sortito un successo importante e immediato. Renzi ha riconosciuto che «se vince il “no” non casca il mondo».
Non si deve escludere perciò un ulteriore ripensamento di Renzi. A fronte dell’eccesso dei toni che ha lamentato riconoscendo la sua parte di responsabilità, potrebbe decidere, in nome dell’unità politica della Nazione sulla Legge fondamentale della Repubblica, di uscire dalla mischia, elevandosi al di sopra di essa quale presidente del consiglio e lasciare al corpo elettorale la più ampia e serena autonomia decisionale su tutte e due le alternative in campo. Quella della legge costituzionale sottoposta al referendum respingendola e quella che potrebbe ottenere un più ampio consenso. Di fronte a tale sua decisione non potremmo che riconoscerli il più alto senso di responsabilità istituzionale.
Fonte: il manifesto
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