di Gaetano De Monte
C’è una relazione parlamentare redatta dal deputato Erasmo Palazzotto, nell’ambito della commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza e di identificazione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti, di cui poco si è parlato e scritto. Eppure, è un rapporto di cinquantacinque pagine che getta ombre inquietanti sugli hotspot “centri che violano il diritto interno e comunitario, strutture lesive della dignità umana” vengono definiti nel documento: il sistema hotspot e la negazione dello stato di diritto in Europa che lo stesso vicepresidente della commissione Esteri di Montecitorio ha presentato alla commissione parlamentare il 26 ottobre scorso. Pagine completamente dimenticate - si diceva.
A ricordare le violazioni dei diritti umani che nel documento vi sono riferite, è stato lo stesso Palazzotto, deputato di Sinistra Italiana, che, insieme all’altro parlamentare ex Sel, Nicola Fratoianni venerdì scorso ha tenuto una conferenza stampa alla Camera, per denunciare appunto il completo fallimento della politica italiana ed europea in materia di flussi migratori. Non soltanto. Durante l’incontro di venerdì scorso con la stampa è emerso anche di un tentativo di “insabbiamento” di un’altra relazione parlamentare, quella che riguarda la gestione del Cara di Mineo. In particolare si è dato conto di una manovra che sarebbe stata attuata da alcuni parlamentari componenti la stessa Commissione di inchiesta, in qualche modo “solidali” con l’esecutivo.
Il motivo è presto detto: è in atto "il tentativo di chiudere nei cassetti documenti imbarazzanti in particolare per il sottosegretario all’agricoltura Giuseppe Castiglione”, l’ex presidente della Provincia di Catania, uomo forte del nuovo centrodestra (Ncd) in Sicilia e finito già sotto la lente della procura etnea, accusato, insieme ad altri cinque, di turbativa d’asta per le gare d’appalto del Centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) di Mineo, appunto. L’ultima gara - una torta da cento milioni di euro - fu definita “ illegittima” dalla stessa Autorità nazionale Anticorruzione (Anac). Ma il parere del magistrato Raffaele Cantore non fu preso in considerazione dal Ministero dell’Interno allora retto da Angelino Alfano, compagno di partito di Castiglione. Quel che è certo è che “esiste un rapporto perverso tra le cooperative, Ncd e i vertici del Cara in provincia di Catania” dice Palazzotto, e - tornando invece alla relazione parlamentare di minoranza sugli hotspot, lo stesso, in una nota stampa, scrive: “nel corso dei mesi abbiamo dovuto constatare come alla gran mole di lavoro conoscitivo della commissione non sempre corrispondesse un'adeguata e consequenziale capacità di denuncia”.
Chiamando in causa la relazione di maggioranza presentata sempre il 26 ottobre. Un documento che “invece di denunciare le storture dell’approccio Hotspot tende a giustificarle”, spiega ancora il deputato: “ per questo mi è sembrato doveroso presentare una relazione alternativa, la quale vuol essere strumento di analisi e denuncia”. In effetti, lo è. Perché il sistema hotspot e la negazione dello stato di diritto in Europa chiama alle proprie responsabilità il governo nazionale e le istituzioni europee, indagando il rapporto perverso tra procedure di identificazione, espulsioni e nascita del sistema hotspot, facendo riferimento in particolare a quanto emerso durante l’attività ispettiva e cioè: “all’inadeguatezza dell'attività di informativa legale verso i migranti dentro le strutture, il trattenimento oltre il tempo illegittimo ai fini dell’identificazione, e l’uso della forza nel prelevamento delle impronte digitali”, dunque ancora in (palese) violazione di norme nazionali e internazionali.
Tutto ciò fa il paio con le evidenze già mostrate da Amnesty International in un rapporto che veniva pubblicato proprio negli stessi giorni in cui veniva resa nota la relazione di Palazzotto. E tra i due documenti ci sono dunque molti punti in comune. Vediamo quali. Ombre su appalti e procedure Le due relazioni ora agli atti sono l’esito delle ispezioni che la Commissione parlamentare ha svolto (da maggio a luglio dello scorso anno) presso i quattro centri hotspot funzionanti, quelli di Lampedusa, Trapani, Pozzallo e Taranto. Oggetto di valutazione sono state: la situazione logistica, le procedure di identificazione e selezione dei migranti, infine, la regolarità degli appalti per l’individuazione dell’ente gestore. Su tutte queste questioni la Commissione ha mosso rilievi, i quali in verità emergono soprattutto – come si diceva – dalla relazione di minoranza.
Ma andiamo con ordine. Cominciando dalle ombre che il parlamentare di Sinistra italiana proietta sulla gestione del centro di Taranto, il primo ad essere visitato, lo scorso 12 Maggio. Si scopre così che una della maggiori problematiche riguarda il trattenimento oltre misura (da una settimana, a qualche mese, in alcuni casi) dei minori stranieri non accompagnati. Non solo. Si apprende che quella di Taranto è la più “cara” economicamente tra tutte le altre strutture di questo tipo, dato che l’importo fissato nella convenzione stipulata tra la Prefettura e il Comune stabilisce un prezzo di 33 euro al giorno per ogni migrante “ospitato” contro i 28 euro previsti in media dalle altre; senza contare che qui, non vi è l’erogazione del pocket money, ma soltanto la consegna di un kit di prima accoglienza che dovrebbe far fronte ai bisogni necessari per le 72 ore di permanenza previste.
Lì dentro tutte le attività connesse all’erogazione di servizi alla persona - principalmente la mediazione linguistico/culturale - sono affidate, secondo una convenzione stipulata con il Comune, all’associazione “Noi & Voi”. Il direttore del centro, il comandante dei vigili urbani della città jonica, Michele Matichecchia ha precisato sul punto che si tratta di “vero volontariato” e che il Comune contribuisce solo con un rimborso spese legato a spese effettivamente rendicontate dall’associazione. Tant’è. Quel che è certo è messo nero su bianco dall’onorevole Palazzotto: “il servizio di informativa legale e la mediazione culturale sono carenti e approssimativi, non essendoci operatori qualificati professionalmente e provvisti degli strumenti conoscitivi adeguati allo svolgimento di tale delicato compito” si legge nella relazione. E ancora: è lo stesso don Francesco Mitidieri, il presidente dell’Associazione Noi & Voi a riconoscerlo, in qualche modo; infatti, rispondendo a una domanda del deputato Paolo Beni ( allora presidente della commissione parlamentare) don Mitidieri rivela le carenze nell’informativa legale: “fare un discorso di giurisprudenza a chi è appena arrivato ci sembra poco opportuno, quindi, abbiamo cercato di prendere i 4-5 punti essenziali e comunicato che possono valere per tutti”; e nel sostegno psicologico. A tal proposito dice: “ qui non è sufficiente la consulenza telefonica come per il legale, ma è necessario un colloquio più approfondito, per cui, se dobbiamo garantire questo servizio, cercheremo di averlo come presenza fissa non appena firmeremo la prossima convenzione”.
Insomma, sembrerebbe esserci notevole approssimazione nella gestione. Non soltanto. Per tutto il resto delle questioni che riguardano il centro di Taranto (sempre nella relazione parlamentare firmata da Palazzotto) si trovano molte conferme alle tre interrogazioni parlamentari presentate dalla deputata Donatella Duranti, alle denunce di associazioni e attivisti: sui respingimenti collettivi del 31 Marzo nei confronti di duecentocinquanta persone di nazionalità marocchina; sulle espulsioni con relativi rimpatri nei confronti di alcuni cittadini sudanesi, sul gioco dell’oca a cui sono sottoposti i migranti dalla frontiera del Nord a quella del Sud: http://www.lasciatecientrare.it/-rifugiati-deportati-trattenuti-e-umiliati-una-storia-di-ordinaria-follia-dalla-stazione-di-milano-all-hotspot-di-taranto. Su queste ultime vicende la Commissione si sofferma e scrive: “ non è quindi chiara la ratio di questi trasferimenti e resta da chiarire la stessa natura dell’hotspot di Taranto”. Più in generale, sull’intero meccanismo di esclusione che genera l’approccio hotspot avevamo ragione anche noi già un anno fa.
Non va meglio comunque la situazione degli altri centri localizzati in Sicilia. Anzi. Nell’ex centro di primo soccorso e accoglienza Cpsa - ridefinito poi come hotspot - di Lampedusa, alcuni minori (nei colloqui avuti con la Commissione durante la visita del 21 luglio) hanno riferito di essere presenti nella struttura da quasi un mese e di non aver ricevuto neanche un cambio di vestiti, né sapone per poter lavare quelli già loro distribuiti. Sempre con riferimento ai migranti trattenuti a Lampedusa e poi trasferiti via mare a Porto Empedocle, è risultato un numero particolarmente elevato di provvedimenti di respingimento differito adottati dalla Questura di Agrigento prima che i migranti avessero la possibilità concreta di presentare una formale istanza di protezione internazionale.
Una prassi che è stata largamente praticata soprattutto con riferimento a determinate nazionalità, nigeriani ed egiziani. Sul fronte della gestione operativa, poi, sia i rappresentanti (all’interno) di Unhcr che di Save the Children hanno denunciato alla prefettura di Agrigento, in diversi report, le irregolarità commesse dall’ente gestore, nella distribuzione dei kit, delle schede telefoniche e dei pocket money. Rapporti largamente ignorati nelle stanze prefettizie, con i funzionari che anzi hanno prorogato l’affidamento in via straordinaria allo stesso ente cooperativo, per altri quattro mesi. Nell’hotspot di Trapani, invece, il sopralluogo effettuato dalla Commissione ha evidenziato gli infissi inutilizzabili, i bagni indecenti, la notevole presenza, ancora, di sbarre, retaggio dell’originaria funzione di custodia del Cie, che quella stessa struttura era fino a un anno fa. Da allora, la capienza del centro è stata raddoppiata, passando da 204 ospiti potenziali a 400, secondo quanto si legge in una circolare interna di dicembre 2015 della Direzione Centrale dei Servizi Civili per l’Immigrazione del Viminale. Un raddoppio che, di fatto, è avvenuto attraverso la semplice collocazione dei letti a castello nelle camerate.
È successo e accade ancora, dunque, che sulla gestione dei centri governativi per migranti si addensino diverse ombre. L’hotspot di Pozzallo, in provincia di Ragusa, ad esempio, era già un centro di prima accoglienza e soccorso, come Lampedusa. Fu trasformato in hotspot a gennaio 2016 e subito dopo fu oggetto di una dura polemica da parte di Medici Senza Frontiere a causa delle condizioni sanitarie drammatiche, così gravi da provocarne - da parte dei medici dell’Ong - l’abbandono del centro. Per dirne un’ altra: il comune ragusano l’anno scorso aveva bandito una gara per l’affidamento della gestione del Cpsa, che era stata vinta dalla Cooperativa Domus Caritatis, attualmente sottoposta ad amministrazione giudiziaria in relazione alle vicende connesse all’inchiesta giudiziaria Mafia capitale!
Accade anche che molte delle denunce fin qui riportate non siano state adeguatamente trattate nella relazione di maggioranza. Ci si è concentrato su altro. Evidentemente. A leggere le carte parlamentari sembrerebbe proprio di sì. Dunque, da un lato si è messo in moto un circuito informativo - giuridico che denuncia diversi abusi; dall’altro, il raffronto delle verità ufficiali mostra chiaramente delle crepe culturali presenti nello stesso ordinamento democratico. Grande spazio ad esempio, nel documento di maggioranza, è dato alle indicazioni del direttore della Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere del Ministero dell’interno, il prefetto Giovanni Pinto, il quale rivela, o meglio, fa propaganda sul fatto che “l’Ufficio legislativo del Ministero dell’Interno ha allo studio un intervento normativo – sollecitato dalle Autorità europee – volto ad introdurre nell’ordinamento una norma che consenta l’uso dalla forza per coloro che si rifiutano”.
Naturalmente è l’ultima risorsa, dice l’alto funzionario: “ma nel frattempo devono esserci tutte le condizioni affinché quella persona non possa proseguire il proprio viaggio fuori dall’hotspot se non è stata identificata”. È perciò ancor più importante prestare attenzione al grido d’allarme che viene lanciato nella relazione scomoda scritta dal deputato di Sinistra Italiana. Da ripetere come un mantra: “ in assenza di norme nazionali e internazionali che riconducano la gestione al rispetto dei diritti fondamentali della persona, l'applicazione dell'approccio Hotspot è da ritenersi del tutto priva di fondamento legale sotto diversi profili”. Questo è.
Fonte: dinamopress
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