di Aldo Carra
Gli articoli di Laura Pennacchi e di Marco Bascetta, mentre nel partito socialista francese vince un candidato con la bandiera del reddito universale e della riduzione degli orari di lavoro, ripropongono la divaricazione dei punti di vista della sinistra italiana. Da una parte centralità della creazione di nuovo lavoro come fonte di reddito, dall’altra affermazione del diritto ad un reddito di cittadinanza a prescindere dalla prestazione lavorativa. Dopo il No dei giovani al referendum, la denuncia della crescita delle disuguaglianze per scarsità di lavoro e bassa remunerazione, mentre si sta dispiegando una ristrutturazione dei soggetti politici e tra poco dovremo affrontare referendum Cgil ed elezioni, una piattaforma politica della sinistra sulla materia si impone con urgenza. Proporrei alcuni punti di riflessione.
1 – Il matrimonio tra reddito e lavoro per cui non si dava reddito senza lavoro e lavoro senza reddito è finito da tempo: le diverse forme di welfare hanno introdotto sostegni al reddito che prescindono da prestazioni lavorative; negli ultimi anni si sono diffuse forme diverse di lavoro non retribuito connesse a prestazioni fatte per un mix di impegno civile, aspettative indotte, piacere personale. Forse se la dimensione spaventosa della disoccupazione misurata col metro tradizionale di lavoro e non lavoro non assume caratteri di rivolta è anche per questa area cuscinetto che vive in un limbo sostenuto spesso da ammortizzatori familiari.
2 – In uno quadro così dinamico le due ipotesi estreme presentano diverse criticità. La proposta di puntare esclusivamente a programmi di crescita capaci di creare occupazione in presenza di livelli di disoccupazione straordinari – 10 milioni tra disoccupati, scoraggiati, cassintegrati – non appare realistica, tenendo presente che innovazioni e robotizzazione ridurranno ulteriormente il lavoro necessario. Sul lato estremo, concentrare attenzione e risorse su una forma di sostegno come il reddito di cittadinanza appare a molti rinunciataria perché non si cimenta con la costruzione e la sfida di un nuovo modello di sviluppo oltreché negativa e dannosa sul piano etico.
3 – Collocando queste due ipotesi alle estremità di una scala, si possono ipotizzare svariate soluzioni intermedie come un reddito di cittadinanza attiva, cioè erogato in funzione di prestazioni lavorative prevalentemente di carattere sociale, ed un lavoro di cittadinanza come dovere delle istituzioni verso i cittadini e diritto dei cittadini. Le diverse proposte non sono necessariamente alternative. Al contrario, penso si possa progettare una strategia articolata, percorsi che consentano l’adattamento alle esigenze dell’individuo e dei territori con soluzioni e strumenti differenziati in veri e propri piani pluriennali. Maggiore credibilità alle due proposte dovrebbe venire dalla riduzione degli orari di lavoro, incoraggiandola nei rinnovi contrattuali con misure condizionate a nuove assunzioni e incentivi compensativi delle perdite di salario.
4 – Le diverse ipotesi, prese singolarmente o intrecciate e graduate, hanno implicazioni in termini di costo. Ciò implica investimenti pubblici sia nei settori produttivi che in quelli sociali (dai servizi alle manutenzioni, ripensando in forme nuove ai lavori socialmente utili) reperendo le risorse con una maggiore progressività sulle fasce alte sia delle imposte sui redditi che sui beni patrimoniali e sulle successioni, con investimenti diretti europei, con spesa pubblica esclusa dai vincoli di bilancio, senza trascurare l’ipotesi, a questo fine, di creare la moneta fiscale.
Un Piano straordinario di investimenti per il lavoro e per il reddito come programma minimo comune per un nuovo soggetto politico della sinistra. Se si discutesse di più di questo e, a cominciare dal congresso di Sinistra Italiana, si potesse delineare una piattaforma da discutere con il mondo giovanile innanzitutto, come base di possibili alleanze penso che il progetto ambizioso di Sinistra Italiana partirebbe col piede giusto.
Fonte: Il manifesto
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