di John Feffer
L’opposizione alla presidenza di Donald Trump è stata forte, sostenuta e multidimensionale. La marcia delle donne dopo l’insediamento ha sommerso Washington con una marea di cappelli rosa e ha provocato proteste analoghe in 670 città in tutto il mondo. La mia casella di posta in arrivo è stata piena da allora di appelli a convergere sulla Casa Bianca per protestare contro la costruzione dell’oleodotto, a dimostrate contro il divieto di ingresso ai rifugiati, a vedere l’enorme striscione di Greenpeace dove si leggeva: “Opponetevi”. Lo scorso fine settimana, i dimostranti si sono riuniti negli aeroporti di tutto il paese in appoggio di coloro che sono stati trattenuti a causa dell’ordine esecutivo di Trump che proibisce ai Musulmani di sette nazioni di entrare negli Stati Uniti.
Questa opposizione è commuovente e rincuorante. E, tuttavia, sembra anche seguire un copione, in qualche modo, dato che stiamo svolgendo il ruolo che ci è stato assegnato.
Nessuna delle mosse iniziali dell’amministrazione Trump è una sorpresa. Il presidente è stato anche più audace e paranoico di quanto ci si aspettasse, ma questo succede soltanto se si ipotizzava che diventasse improvvisamente presidenziale dopo essere stato uno stupido per tutta la vita.
Ha invitato a entrare nel Consiglio nazionale di sicurezza il suo consigliere strategico, Steve Bannon, ma non è che le sue opinioni deleterie non fossero già rappresentate in quella sede dal Consigliere per la Sicurezza nazionale, Michael Flynn. Ha ripetutamente disseminato bugie sulle dimensioni della folla all’insediamento, sulle frodi elettorali – ma Trump ha dimostrato un’avversione alla verità in tutta la sua vita. Ha trascurato di citare le vittime durante l’annuale giornata che commemora l’Olocausto, e poi ha raddoppiato facendo insistere Reince Priebus che questo non era una svista. E’ stato sempre chiaro, però, che i riferimenti di Trump alla parte “giudaica” di “giudaico-cristiano” erano soltanto un po’ una distrazione subdola.
Trump e i suoi massimi consiglieri devono anche aver saputo che i suoi ordini esecutivi avrebbero provocato del trambusto non solo tra i suoi oppositori, ma anche tra alcuni membri del Partito Repubblicano. I senatori repubblicani Lindsey Graham and John McCain, per esempio, hanno messo in dubbio l’assennatezza della proibizione ai Musulmani. Anche più di 100 persone dell’ambito della sicurezza nazionale, compresi molti di quelli che avevano servito all’epoca di George W. Bush, hanno condannato l’ordine di far tornare indietro i profughi.. E poi, naturalmente, c’è stata la marea di reazioni critiche arrivate dai leader d’oltremare, compresi gli alleati degli Stati Uniti.
Ecco, però la parte più equivoca ed esasperante di tutto questo. Trump e Bannon vogliono queste proteste e queste reazioni (anche se forse non della portata della mobilitazione iniziale avvenuta dopo l’insediamento). Vogliono dimostrare ai sostenitori di Trump che il nuovo presidente si sta levando dalle palle tutte le persone che durante la campagna elettorale aveva promesso di levarsi dalle palle. Tra questi ci sono gli attivisti di vario genere, i giornalisti che scrivono editoriali, e, naturalmente, gli opinionisti progressisti come me. C’è anche il Partito Repubblicano, particolarmente i politici che hanno avuto la temerarietà di ostacolare l’ascesa al potere di Trump. E il biasimo di tutti quegli stranieri rappresenta la ciliegina sulla torta.
“Ogni volta che si fa qualcosa che ha vasto successo che contesta l’ortodossia fallita, si vedranno delle proteste,” ha detto alla CBS Stephen Miller, il consigliere del presidente.
Miller non sta proprio facendo buon viso davanti a un ordine esecutivo impopolare. Infatti il divieto di ingresso ai musulmani non è impopolare. Secondo un sondaggio della Reuter di questa settimana, il 48% degli elettori americani appoggia il divieto in confronto al 41% che si oppone. E’ un margine molto maggiore dell’indice di popolarità di Trump o, certamente della sua “vittoria” presidenziale.
Le mosse di Trump non sono soltanto designate a far infuriare l’opposizione. Alcune obbediscono a una certa logica politica. Prendere di mira vari accordi commerciali contribuisce ad eliminare un certo appoggio del sindacato. Nuove politiche delle industrie estrattive si ingraziano le persone come Joe Manchin (senatore democratico della West Virginia) per il carbone e Heidi Heitkamp (senatrice democratica del Nord Dakota) per l’oleodotto Keystone. Il piano di infrastrutture promesso da Trump piace a molti elettorati democratici tradizionali. Trump e i suoi compari faranno qualsiasi cosa potranno per mettere Democratici diversi e diverse comunità contrarie gli uni contro le altre.
Trump vuole seminare divergenze e creare il caos. L’amministrazione, cosi come è, data la pausa per le conferme e per le partenze in massa degli impiegati statali dalle agenzie governative, è in modalità di improvvisazione, proprio come è stata la campagna di Trump durante le elezioni. Sta buttando via qualunque cosa per vedere che cosa si attacca.
Nel frattempo non possiamo evitare di svolgere il nostro ruolo di manifestanti, sperando sempre che i numeri puri e semplici possano alterare il calcolo politico. Se siamo bravi attori, possiamo anche prendere anche il copione più banale e trasformarlo in una gagliarda interpretazione.
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Dietro la cortina fumogena
Donald Trump è maestro in grossi imbrogli. Sedotti dal bagliore e dalla celebrità di un casinò di Trump, non vi siete neanche accorti che vi svuotavano le tasche al tavolo della roulette. Non fatevi prendere in giro da sua moglie fino a pensare che il marito non fa costantemente il dongiovanni. Non permettete al suo genero ebreo e alla sua figlia convertita di distrarvi dai suoi flirt con l’antisemitismo. Non credete che il suo nome sulla copertina di un libro significhi che ne abbia scritto una qualche parte.
A un certo livello, Trump ha fatto ogni cosa nella sua vita per un solo scopo: l’esaltazione di se stesso. Se quella fosse la sua sola motivazione come presidente, il paese potrebbe superare i prossimi quattro anni di buffonaggine egocentrica.
Il problema è che si è circondato di una serie di ideologi della destra estrema che faranno il vero lavoro di governance. O forse “governance” non è la parola giusta. Forse anche loro stanno costruendo un’ elaborata tattica di adescamento. Ci sono state molte congetture che l’amministrazione Trump sia facendo qualcosa di molto più grosso che pochi vergognosi ordini esecutivi e che questi abbiano soltanto lo scopo di distogliere l’attenzione dal vero inganno del prestigiatore.
In un articolo sul sito web, Medium, Yonatan Zunger ipotizza che l’amministrazione Trump stia tastando il terreno per un futuro coup d’état (colpo di stato). Contestare la costituzione, bypassare le normali istituzioni del governo, ignorare le corti di giustizia: l’amministrazione Trump sta considerando esattamente quanto può spingersi in là per sovvertire lo stato di diritto.
Non sono convinto che ci sia in programma un colpo di stato. Un’enorme quantità di potere è stata concentrata nel ramo esecutivo, negli scorsi 15 anni. Trump & company non hanno neanche esplorato i limiti del potere che hanno appena ereditato. I Repubblicani controllano il Congresso. Trump ha appena nominato lo “originalista” Neil Gorsuch** alla Corte Suprema. I più alti ranghi del Dipartimento di Stato sono stati eliminati per prepararlo per Rex Tillerson (è il Segretario di Stato americano, n.d.t.).
Ma che cosa vuole l’amministrazione Trumpcon tutto questo potere?
I populisti del genere di Trump spesso guardano al bottino: è quello che i politologi chiamano “clientelismo di massa.” Usano le leve dello stato per arricchire i loro amici e colleghi e gli scrocconi che li circondano. Zunger sospetta una contropartita fra Trump e il presidente russo Vladimir Putin per mezzo della quale l’eliminazione delle sanzioni contro il Cremlino viene ricompensata con il trasferimento di azioni della compagnia petrolifera statale russa tramite società di comodo, nelle mani di Trump. Finora le prove sono scarse. E’ più probabile che ci saranno accordi oscuri che beneficeranno le compagnie petrolifere statunitensi che contribuiranno poi massicciamente alla campagna per la rielezione di Trump. In ogni caso, sembra che gli Stati Uniti stiano infine per soccombere alla maledizione delle risorse.
C’è poi il piano di Trump per le infrastrutture: una grande occasione per consegnare fondi federali in mani private. E che dire degli abbondanti contratti per la sicurezza privata a Erik Prince, fondatore della famigerata Blackwater che solo per caso è il fratello di Betsy De Vos, nominata ministra dell’Istruzione? Tagli alle tasse per i ricchi, importanti accordi per i fornitori dell’esercito, prosperità per le industrie estrattive: Trump e i suoi compari hanno le mani in una fonte di denaro quasi illimitata.
Quella è, però, soltanto metà della storia. Bannon e Jeff Sessions e Mike Flynn non si interessano del puro guadagno. Vogliono salvare l’anima del paese. Vogliono trasformare l’America in un’avanguardia più cristiana, più omogenea, più tradizionale per l’estrema destra e che richiede di tenere lontani potenziali immigrati della religione o etnia “sbagliate”, e anche spaventare arrivi più recenti affinché considerino un trasferimento in paesi più sicuri. Vogliono creare un nuovo ordine
politico che si estenderà ben oltre un singolo mandato o anche due. Fare questo, richiederà, tuttavia più di pochi ordini esecutivi, come abrogare l’Obamacare o anche ribaltare la sentenza di Roe contro Wade.* Vogliono derubare di ogni influenza politica l’élite liberale – i politici, gli accademici, i media. Questa è semplicemente una rivoluzione.
Le rivoluzioni hanno, però, hanno bisogno delle loro scintille. Se dovessi permettermi di fare un’ipotesi, potrei immaginare che Bannon, Flynn, e altri vogliano provocare un altro 11 settembre.
A loro non importa se i loro ordini esecutivi contro i musulmani fanno infuriare l’Iran e l’Iraq. A loro non importa che questi siano lo strumento perfetto per reclutare i terroristi. A loro non importa se i loro ordini esecutivi i aumentano il rischio di un attentato terrorista nella patria americana.
Hanno bisogno di una prova concreta che l’America è sotto la minaccia diretta dei estranei. Soltanto allora potrebbero ottenere l’approvazione del congresso di sospendere le libertà civili – alla maniera del Patriot Act – e usare nuovi poteri per controllare la stampa, arrestare i “terroristi interni,” e lo “stato profondo” di coloro che sono contrari al loro dominio, proprio come ha fatto Recep Tayyip Erdogan in Turchia. Purtroppo lo stato islamico o al-Qaida sarebbero più che felici di svolgere la loro parte in quel particolare dramma.
Stringersi attorno alla bandiera
Ci sono due modi possibili per sconfiggere Trump. L’élite liberale e la coalizione arcobaleno degli interessi della società civile possono unire le forze e in qualche modo usare il veicolo del Partito Democratico per vincere le elezioni di metà mandato fra due anni e rimuovere Trump due anni dopo. Naturalmente rischiano di dividere il paese ancora di più e la loro vittoria potrebbe davvero essere una vittoria di Pirro se l’elettorato di Trump si dimostrerà ingovernabile. Potrebbero anche non avere i numeri per vincere nel 2020, per lo meno nel Collegio Elettorale.
L’altra strada è quella di usare il patriottismo contro i populisti. I sostenitori convinti del Partito Repubblicano, come John McCain, sono patrioti vecchio stile. Pensano agli Stati Uniti in termini nazionali, non come a interessi settoriali che devono essere conquistati (la Rust Belt, gli Evangelici, le persone del Sud). Un gruppo informale contro Trump al Senato, potrebbe comprendere McCain, Cory Gardner del Colorado, Dean Heller del Nevada, Jeff Flake dell’Arizona, Mike Lee dello Utah, Rob Portman dell’Ohio, e, naturalmente, Susan Collins del Maine. Sono conservatori, non rivoluzionari, e sono giustamente sconvolti per il modo in cui Trump sta governando così ovviamente contro l’interesse nazionale.
Sì, noi progressisti possiamo unirci e opporci a Trump. Possiamo opporci ai tentativi di dividi-e-domina della nuova amministrazione: dobbiamo fare la nostra parte e farla bene.
L’amministrazione Trump ha, però, già anticipato questo scenario. Ha sconfitto una tale coalizione durante l’elezione presidenziale. Quello che non hanno previsto è una strategia diversa: usare il dividi-e-domina contro di loro facendo appello a un patriottismo onnicomprensivo. Descrivere le politiche di Trump come fondamentalmente contrarie alla nazione, può mettere insieme una porzione più ampia del pubblico americano e anche fare appello all’elettorato di Trump.
Vi consiglio questo con la morte nel cuore. Provo un’avversione viscerale per il nazionalismo, particolarmente per la sua varietà americana. Sono un cosmopolita con tutto il cuore, ma non penso che il cosmopolitismo da solo sconfiggerà Trump. Se, fra quattro anni, ci sarà un funerale per le ambizioni politiche di Trump e di Bannon, la bandiera americana sventolerà su questo, e l’Inno Nazionale Americano risuonerà sullo sfondo.
Sono assolutamente favorevole all’unità dell’opposizione progressista che dovrà anche dividere il Partito Repubblicano e l’elettorato di Trump.
Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
Originale: Foreign Policy in Focus
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2017 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0
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