La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 1 febbraio 2017

Il piano, il paesaggio e il territorio

di Piero Bevilacqua
Come ben sanno le persone colte d’Europa e dei vari paesi del mondo, l’Italia eredita, con poco merito dei contemporanei, un patrimonio di inestimabile valore: il suo paesaggio. E forse occorrerebbe aggiungere che questo, subito dopo la tradizione culinaria, costituisce il connotato identitario più spiccato del nostro Paese, quello che ne fa appunto il Bel paese e che nell’immaginario internazionale fa dell’Italia, l’Italia. Eppure quanta fatica per le ristrette avanguardie nazionali, che sono consapevoli di questa eredità unica al mondo, di tutelarlo, di sottrarlo ai miopi appetiti della classe dirigente della nostra epoca, priva di progetti e cultura, che vorrebbe ricavarne soldi e legna da bruciare nel misero focolare della crescita.
Lo scorso anno qualcosa si è mosso sul piano dell’intervento pubblico a favore della cura e della pianificazione del paesaggio. La regione Puglia e la regione Toscana, uniche fra le venti regioni, hanno completato e presentato con successo, al ministero dei Beni Culturali, i loro Piani paesaggistici e territoriali. Si tratta della prima realizzazione di una politica inaugurata dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (2004) che trova una integrazione legislativa e soprattutto culturale nella Convenzione Europea del Paesaggio, adottata a Firenze nel 2000 ed entrata in vigore nel 2004. Si tratta di due architetture di norme ben pensate, che tendono a tutelare – come fa soprattutto la Convenzione europea – anche i paesaggi tradizionali di non particolare pregio, in cui si svolge la vita quotidiani dei cittadini.
Ma si tratta per lo più di norme, sforzo di una progettualità avanzata, prive di supporti economici adeguati, di cogenza giuridica e di impulso economico, soprattutto svincolate dalle politiche generali dell’Unione. Basti pensare che nei programmi della Commissione Europea, in tutte le sue numerose aree di intervento, il tema paesaggio non compare mai. Mentre le politiche agricole comunitarie, appaiono del tutto scollegate dalle dinamiche di tutela e pianificazione dei paesaggi rurali, che tanto peso hanno nel profilo identitario del paesaggio italiano ed europeo.
Su questi temi e soprattutto sulle strategie che hanno ispirato l’elaborazione del piano paesaggistico della Toscana, ritorna ora un prezioso volume, destinato a costituire un punto di riferimento imprescindibile per tutti i futuri interventi sul paesaggio, in Italia come negli altri paesi. Si tratta del testo, a cura di Anna Marson, che è stata assessore all’Urbanistica e pianificazione territoriale nella precedente giunta della regione Toscana, e ha avuto un ruolo fondamentale per la sua approvazione: La struttura del paesaggio. Una sperimentazione multidisciplinare per il piano della Toscana (prefazione di Enrico Rossi, Laterza, 2016, €34).
Anna Marson svolge una riflessione a tutto campo sui problemi del paesaggio, racconta brevemente come ha lavorato la Regione per la realizzazione del Piano – che ha scelto di ricorrere agli esperti delle sue Università e di restare nell’ambito delle competenze pubbliche – e soprattutto fornisce una sintesi molto rapida dei temi dei vari saggi che compongono il libro. A scorrere le 287 pagine del grosso volume laterziano non si può non rimanere impressionati dalla profondità specialistica (qualche volta perfino ostica per il comune lettore) dei temi affrontati: dai problemi di metodo interpretativo, a quelli degli equilibri geomorfologici del territorio, dalla funzione ecologica dei paesaggi e della loro “rete “ ragionale, al valore patrimoniale del policentrismo toscano, dai “morfotipi agroambientali”, cioè le molteplici forme dei paesaggi agrari tipici, ai temi della tutela e dei vincoli.
Ma ugualmente impressionati si rimane nello scorrere i tanti nomi degli studiosi, esperti di varie discipline che hanno scritto i saggi e operato spesso nella realizzazione dello stesso Piano. Da Alberto Magnaghi – che ha avuto un ruolo rilevante nella realizzazione, insieme ad Angela Barbanente, nella realizzazione del Piano paesaggistico della Puglia – a Salvatore Settis, da Paolo Baldeschi a Leonardo Rombai, da Ilaria Agostini a Daniela Poli, solo per citarne alcuni. Si tratta di un gruppo intellettuale e di esperti che riflette, malgrado tutto (malgrado i colpi subiti negli ultimi anni) la capacità di un territorio come quello toscano, di darsi e di organizzare delle competenze all’altezza della sua storia.
Non è qui possibile dar conto neppure per cenni di questo ventaglio tematico a più mani, che si presenta come un insieme di laboratori, a un tempo teorici e di sperimentazione sul campo, ricchissimo di esperienze e di idee per i pianificatori che vorranno cimentarsi in quest’ambito. Ma la rilevanza teorica e culturale di tutto il libro – messa ben al centro da Anna Marson e che trova riflessioni specifiche nel saggio di Settis – è tutta nella idea di Piano.
Un piano per il paesaggio? Ma il paesaggio esiste già, si tratta solo di proteggerlo, di conservarlo. A che serve un piano? Domande retoriche, ovviamente. Intanto serve per comprendere il paesaggio medesimo, che costituisce un complesso sistema inserito in un territorio con le sue caratteristiche morfologiche primarie, che è stato elaborato dalle comunità umane in epoche diverse, con tecnologie e culture in evoluzione, adattandosi a domande economiche e sociali mutevoli, creando correlazioni tra gli abitati e i luoghi della produzione, tra economia e bellezza.
Si deve analizzare il paesaggio, con i saperi molteplici che si hanno a disposizione, mobilitando più discipline, non solo per imparare a leggerlo, per apprezzarlo e amarlo più profondamente, ma per poterlo anche tutelareadeguatamente. Ma la tutela – è questo il messaggio centrale, culturale e politico del libro – non si esaurisce nel vincolo. Il Paesaggio non è un presepe, non si può rinchiudere negli spazi protetti di un museo, vive nella nostra epoca, esposto ai venti della storia mondiale.
Il piano è indispensabile per una tutela attiva del paesaggio, per mettere insieme, come dice Anna Marson, «il riconoscimento delle regole di lunga durata con la possibilità di garantirne la riproduzione». La conoscenza storica consente di ricostruire geneticamente le modalità di formazione del paesaggio, delle economie e delle culture che l’hanno generato e plasmato e quindi offre gli strumenti attivi per intervenire e farlo vivere, dargli continuità nelle condizioni attuali, proiettarlo nelle dinamiche del futuro. La pianificazione del paesaggio può diventare in Italia una fertile officina in cui scoprire come le dinamiche del mercato possono essere piegate e impiegate in un disegno in cui torna a primeggiare l’umana progettualità.

Fonte: eddyburg.it

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