di Roberto Romano
Le previsioni economiche della Commissione Europea e il report della Bce sui livelli reali di disoccupazione, entrambi dell’11 maggio, disegnano il fallimento generale delle politiche europee. La Bce sottolinea che la disoccupazione europea vera (disoccupati e sottoccupati) è del 18% invece che del 9,5% della stima ufficiale, mentre la crescita economica (Commissione Europea) rimane saldamente al di sotto del 2%, sempre a livello europeo.
Se l’Europa naviga in mari agitati, l’Italia affronta una vera e propria tempesta. La crescita economica dell’Italia è sistematicamente più bassa della media europea e nel tempo diventa sempre più debole, indipendentemente dalle politiche economiche adottate da governo di turno.
La minore crescita dell’Italia rispetto all’Europa è ormai di meno 0,7 punti percentuali per anno, mentre il tasso di disoccupazione è stabilmente più alto della media europea di 2 punti percentuali. La disoccupazione-sottoccupazione italiana, sempre secondo la Bce, è prossima al 22%, contro la media europea del 18%, come già ricordato.
Naturalmente non mancano i fautori di una maggiore flessibilità per il marcato del lavoro. La distanza che ci separa dall’Europa è giustificata dall’eccessiva rigidità del lavoro nazionale, ma con il passare degli anni è una spiegazione che sembra sempre più un disco rotto. Dopo il Jobs Act parlare di rigidità del mercato del lavoro è pura ipocrisia e al limite della menzogna. In realtà il problema del lavoro italiano è tutto nella struttura produttiva: il contenuto della domanda lavoro di lavoro delle imprese è molto diverso dal contenuto di conoscenza dell’offerta di lavoro. Invece di invocare chissà quali politiche formative, perché non rispondiamo a questa banale domanda: se il numero dei laureati in Italia è più basso della media europea, perché non trovano un lavoro coerente con il loro livello di istruzione-formazione? Semplicemente le imprese italiane sono così de-specializzate che il lavoro buono è un lusso che non possono permettersi. Altro che industria 4.0, che è diventato lo slogan buono per tutte le stagioni per coprire i fallimenti di Confindustria e Governo. L’Europa, infatti, si occupa di paradigma industriale legato alla green economy e non menziona mai industria 4.0. Svista europea, oppure potere ignorante? (P. Leon).
Minore crescita europea e italiana in particolare, tassi di disoccupazione-sottooccupazione superiore al 18% in Europa e al 22% in Italia, bilancio pubblico sostanzialmente in pareggio, un assurdo in queste condizioni, sono lo specchio fedele della insipienza della classe dirigente. Servirebbe un progetto grande, soprattutto nelle idee, così come uno Stato grande, sempre nelle idee. Oggi non abbiamo delle idee grandi, con grave pregiudizio per tentare di uscire dalle secche della crisi.
Il più delle volte la critica si rifugia, giustamente, nella riproposizione delle politiche keynesiane. Sono un rifugio prezioso, meglio ancora delle spalle grandi e solide, ma la spesa pubblica non ha solo il compito di tenere in tensione la domanda, piuttosto di guidare e controllare la domanda. Diversamente lo Stato sarebbe come un ingegnere, ma è qualcosa di molto più importante.
Una recente raccolta di saggi di A. Minsky è intitolata: Lavoro, non assistenza (Ediesse).
Senza un progetto economico-politico credibile e alternativo, le politiche liberiste rimarranno l’unica soluzione a cui la povera gente si aggrapperà per trovare una soluzione. Dobbiamo passare dalla critica al progetto ed è questo il nostro tempo.
Fonte: Il manifesto
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.