L'unica cosa che è andata storta nel ritorno di Massimo D’Alema, se vogliamo, è il precipitare della crisi di Virginia Raggi, con la procura che risponde a una precisa domanda della commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti e comunica che Paola Muraro è effettivamente sotto inchiesta da aprile – cioè da prima di esser nominata assessore. La procura, poi, dice che l’assessora, però, lo sa benissimo, perché lei stessa ha chiesto di saperlo a luglio, dal 18. Apriti cielo: da luglio – vuol dire – Muraro e Raggi sanno dell’inchiesta, mentre pubblicamente dicono di non saperne niente. La giornata di Massimo D’Alema diventa così, in un lampo, la giornata delle bugie a 5 stelle – mediaticamente, si intende.
Con le dimissioni di Muraro che non sono più un tabù, e il direttorio del Movimento deciso, questa volta, a riprendere il controllo sulla sindaca, che finora ha deciso tutto in autonomia, appoggiandosi semmai alla rete del suo studio professionale.
Con le dimissioni di Muraro che non sono più un tabù, e il direttorio del Movimento deciso, questa volta, a riprendere il controllo sulla sindaca, che finora ha deciso tutto in autonomia, appoggiandosi semmai alla rete del suo studio professionale.
Ah: altra cosa che è andata storta, poi, è stato il caldo, un afa pazzesca che ha costretto i presenti – tanti, troppi per il Cinema Farnese – a una prova di forza, a una sauna. Anche quella non era stata prevista. Ma, tutta sudata, la platea non ha comunque mai smesso di applaudire e di ridere al puntuto intervento di D’Alema. Rideva di gusto, ad esempio, il consigliere della Rai Carlo Freccero – di gusto anche se con la camicia completamente madida. Per il resto, insomma, l’adunata suonata da Massimo D’Alema per organizzare il fronte del No al referendum costituzionale è andata bene. Le stoccate sono andate tutte a segno, il messaggio è arrivato, e in platea c’erano effettivamente rappresentanze di tutta Italia, anche se prevalentemente del Sud, feudo di sempre. Si è visto così un embrione di un comitato nazionale di «impegno civile», come dice a un certo punto il leader, coordinato dal giurista Guido Calvi. «Un fine giurista», lo introduce D’Alema, «che ha il pregio di non avere la tessera del Pd, tra le altre cose. Così non potrà esser accusato di voler fondare una nuova corrente». Risate.
Nasce dunque un comitato nazionale che coordinerà la campagna referendaria, che già altri comitati, a sinistra, hanno intrapreso da mesi (a sinistra e a destra, in realtà, come puntualmente fanno notare dal governo: «D’Alema sta con Brunetta, che brutta fine», dicono). D’Alema parla di un comitato «le cui ragioni hanno le radici radici nella storia e nella cultura del centrosinistra italiano». «Non potevamo rimanere insensibili al sentimento diffuso, alla richiesta di dare una forma organizzativa alle ragioni di chi ormai non vota neanche più Pd, speso», prosegue D’Alema, impegnato però a chiarire anche che lui, adesso, non sta certo fondando un partito. D’Alema è concentrato sulla riforma, e lì punta il suo intervento, salvo qualche stoccata alla stampa («che prende ispirazioni e spesso ordini da palazzo Chigi») e al «presidente del consiglio» – chiamato sempre così, con distacco. «Io sono un ammiratore del presidente del Consiglio», dice ad esempio D’Alema, «perché adesso che la legge elettorale rischia di esser un impiccio – perché io ho qualche dubbio che la Corte si beva questa legge – dice che è materia del parlamento. Lo ha detto come se non avesse messo lui la fiducia per imporla, al parlamento, e come se non fosse lui il segretario del primo partito, in parlamento».
Per il resto però è tutto un dar forma alle ragioni del no, riprendendo (spesso parola per parola) quanto ha detto a noi di Left, nella lunga intervista a cui abbiamo dedicato l’ultima copertina. Bisogna rileggere quella, per avere un buon sunto di quanto successo al Cinema Farnese, mentre Virginia Raggi viveva le sue ore più difficili. D’Alema ha strigliato pure Bersani, così come fatto con noi, e ha detto alla minoranza dem (che in platea è assente, e c’è il solo Di Traglia, ex portavoce di Bersani) che dovrà prendere atto che l’Italicum non cambierà, e che bisognerebbe però votare no comunque, senza cincischiare. Bisognerebbe anzi organizzarsi: «non perdersi di vista», come chiude l’intervento un D’Alema diventato un po’ Moretti.
Quanto poi sarà forte questo comitato del No, bisognerà vederlo. In platea c’era molto mondo ex Ds, c’erano vecchi militanti del Pci romano, sì, e c’era per dire Cesare Salvi o Pietro Folena. C’era Vincenzo Vita, che non manca mai quando c’è da manifestare, e i senatori Mucchetti e Corsini, che sono tra i firmatari di un appello per il No. Ma non sono leader carismatici, però, ecco. C’era un po’ di sinistra – Alfredo D’Attorre, Arturo Scotto, Marco Furfaro – un po’ per cortesia, un po’ per speranza – perché un impegno di D’Alema sì che darebbe una scossa al progetto di riunire la sinistra. Tenendo sempre presente, però, quello che ci dice una compagna, militante storica Pci-Pds-Ds e poi sinistra varia ed eventuale: «Ho fatto un’ora di fila sotto il sole per sentire D’Alema. Come siamo messi, eh?». Occhio alle illusioni.
Fonte: Left.it
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