di Teodoro Andreadis Synghellakis
Il ministro degli Esteri dell’ex Repubblica jugoslava di Macedonia (Fyrom), Nikola Poposki, in una intervista al settimanale ungherese Figyelo, ha annunciato che il suo paese, sul modello dell’Ungheria, sta valutando la possibilità di costruire «una barriera» sul confine con la Grecia, per fermare i migranti in arrivo dal Sud. Poposki ha aggiunto che il paese avrà bisogno di «un qualche tipo di difesa materiale», anche se questa non rappresenterebbe una soluzione definitiva. «Se prendiamo seriamente ciò che l’Europa ci sta chiedendo, ce ne sarà bisogno. O di soldati, o di una barriera, o una combinazione di questi due elementi». Nella giornata di lunedì hanno attraversato i confini meridionali della ex Repubblica jugoslava di Macedonia settemila siriani, il più alto numero registrato sinora nell’arco di ventiquattro ore.
I migranti affrontano un cammino quasi interminabile, con condizioni meteorologiche che in queste ore sono tutt’altro che favorevoli: piove senza sosta, la temperatura ha registrato un forte calo e il fango ostacola notevolmente gli spostamenti. Nelle settimane scorse, decine di migliaia di profughi avevano oltrepassato il confine, dalla zona greca di Kilkìs, attraversando la Fyrom, e arrivando in Serbia e infine in Ungheria.
La stessa ministra responsabile per la gestione dei flussi migratori del governo Tsipras, Tassia Christodulopulu, aveva dichiarato recentemente al manifesto che la Grecia non incoraggia la partenza dei profughi, «ma non può certo militarizzare tutti i suoi confini di terra, che sono estremamente estesi».
Ufficialmente Atene non commenta la notizia, anche perché la Grecia, come è noto, è in campagna elettorale e almeno fino al 21 settembre rimarrà in carica il governo ad interim, presieduto dalla presidente della corte di cassazione Vasilikì Thanou. L’unico che potrebbe esprimersi, a massimo livello, è il presidente della Repubblica, Prokopis Pavlopoulos, che non intende, tuttavia, alimentare alcun tipo di tensione.
È chiaro, tuttavia, che se il progetto di Skopje dovesse essere realmente attuato, andrebbe inevitabilmente a influenzare negativamente i rapporti tra i due paesi. Da una parte la Grecia si tramuterebbe nuovamente in un limbo per decine di migliaia di profughi e migranti. I tentativi, seppur difficili e informali, di superare di fatto Dublino 2, e dare libertà di movimento ai profughi, verrebbero bruscamente bloccati.
Atene, alle prese con la ben nota crisi economica, non riesce a fornire assistenza a lungo termine a centinaia di migliaia di “disperati del mare”. Parallelamente, si incrementerebbero gli affari dei trafficanti che cercano di offrire speranze a chi lascia dietro di sé guerre e disperazione, promettendo approdi in Italia, con nuove, rischiosissime traversate dell’ Adriatico. Già il 21 agosto il governo dell’ex Repubblica jugoslava di Macedonia aveva mandato l’esercito ai confini con la Grecia, per cercare di evitare il passaggio dei profughi. E i mezzi di informazione greca avevano sottolineato che «ai confini con Skopje l’aria inizia a puzzare di polvere pirica».
La Serbia, al contrario, desiderosa di entrare a far parte dell’Ue, ha fatto sapere che non intende erigere nessun tipo di muro al fine di «impedire l’entrata dei migranti nel suo territorio». Il ministro degli esteri Poposki, conscio delle critiche che pioveranno sul suo paese, ha anche dichiarato che «ogni volta che il suo governo prende sul serio quello che gli chiede l’Europa, cercando di controllare i confini e fermare le persone, arriva subito una reazione internazionale negativa».
Resta agli atti che Budapest e Skopje mostrano di non riuscire a comprendere che l’Europa– finalmente — sembra decisa a cambiare rotta sulla questione dei flussi migratori, privilegiando il dialogo e l’integrazione, e non la costruzione di nuovi muri, che creano «profughi prigionieri» e alimentano nuove e imprevedibili tensioni.
Fonte: il manifesto
Il ministro degli Esteri dell’ex Repubblica jugoslava di Macedonia (Fyrom), Nikola Poposki, in una intervista al settimanale ungherese Figyelo, ha annunciato che il suo paese, sul modello dell’Ungheria, sta valutando la possibilità di costruire «una barriera» sul confine con la Grecia, per fermare i migranti in arrivo dal Sud. Poposki ha aggiunto che il paese avrà bisogno di «un qualche tipo di difesa materiale», anche se questa non rappresenterebbe una soluzione definitiva. «Se prendiamo seriamente ciò che l’Europa ci sta chiedendo, ce ne sarà bisogno. O di soldati, o di una barriera, o una combinazione di questi due elementi». Nella giornata di lunedì hanno attraversato i confini meridionali della ex Repubblica jugoslava di Macedonia settemila siriani, il più alto numero registrato sinora nell’arco di ventiquattro ore.
I migranti affrontano un cammino quasi interminabile, con condizioni meteorologiche che in queste ore sono tutt’altro che favorevoli: piove senza sosta, la temperatura ha registrato un forte calo e il fango ostacola notevolmente gli spostamenti. Nelle settimane scorse, decine di migliaia di profughi avevano oltrepassato il confine, dalla zona greca di Kilkìs, attraversando la Fyrom, e arrivando in Serbia e infine in Ungheria.
La stessa ministra responsabile per la gestione dei flussi migratori del governo Tsipras, Tassia Christodulopulu, aveva dichiarato recentemente al manifesto che la Grecia non incoraggia la partenza dei profughi, «ma non può certo militarizzare tutti i suoi confini di terra, che sono estremamente estesi».
Ufficialmente Atene non commenta la notizia, anche perché la Grecia, come è noto, è in campagna elettorale e almeno fino al 21 settembre rimarrà in carica il governo ad interim, presieduto dalla presidente della corte di cassazione Vasilikì Thanou. L’unico che potrebbe esprimersi, a massimo livello, è il presidente della Repubblica, Prokopis Pavlopoulos, che non intende, tuttavia, alimentare alcun tipo di tensione.
È chiaro, tuttavia, che se il progetto di Skopje dovesse essere realmente attuato, andrebbe inevitabilmente a influenzare negativamente i rapporti tra i due paesi. Da una parte la Grecia si tramuterebbe nuovamente in un limbo per decine di migliaia di profughi e migranti. I tentativi, seppur difficili e informali, di superare di fatto Dublino 2, e dare libertà di movimento ai profughi, verrebbero bruscamente bloccati.
Atene, alle prese con la ben nota crisi economica, non riesce a fornire assistenza a lungo termine a centinaia di migliaia di “disperati del mare”. Parallelamente, si incrementerebbero gli affari dei trafficanti che cercano di offrire speranze a chi lascia dietro di sé guerre e disperazione, promettendo approdi in Italia, con nuove, rischiosissime traversate dell’ Adriatico. Già il 21 agosto il governo dell’ex Repubblica jugoslava di Macedonia aveva mandato l’esercito ai confini con la Grecia, per cercare di evitare il passaggio dei profughi. E i mezzi di informazione greca avevano sottolineato che «ai confini con Skopje l’aria inizia a puzzare di polvere pirica».
La Serbia, al contrario, desiderosa di entrare a far parte dell’Ue, ha fatto sapere che non intende erigere nessun tipo di muro al fine di «impedire l’entrata dei migranti nel suo territorio». Il ministro degli esteri Poposki, conscio delle critiche che pioveranno sul suo paese, ha anche dichiarato che «ogni volta che il suo governo prende sul serio quello che gli chiede l’Europa, cercando di controllare i confini e fermare le persone, arriva subito una reazione internazionale negativa».
Resta agli atti che Budapest e Skopje mostrano di non riuscire a comprendere che l’Europa– finalmente — sembra decisa a cambiare rotta sulla questione dei flussi migratori, privilegiando il dialogo e l’integrazione, e non la costruzione di nuovi muri, che creano «profughi prigionieri» e alimentano nuove e imprevedibili tensioni.
Fonte: il manifesto
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