di Giorgio Ferrari
Una trama degna di Michael Crichton quella che si va svelando nell’affaire Volkswagen, se non fosse che non di un romanzo si tratta ma di uno scontro di potere ai massimi livelli.
La storia – diversamente da quel che si legge in giro — inizia nel 2011 presso un ente della Comunità europea, precisamente l’Istituto per l’energia e i trasporti con sede a Ispra (Varese). Un gruppo di ricercatori, tra cui due italiani, mettono a punto un test di misura delle emissioni che non si svolge in laboratorio ma on the road, cioè con la vettura in movimento.
La conclusione dei ricercatori, già allora, è che i vigenti test di laboratorio non sono adeguati.
I risultati indicano che mentre le emissioni di idrocarburi totali e di monossido di carbonio nelle vetture a benzina e diesel rispettano le normative vigenti, quelle degli ossidi di azoto – nelle vetture diesel Euro 5– superano i limiti di 3–4 volte e il contenuto di anidride carbonica allo scarico risulta superiore del 30% rispetto a quello misurato in laboratorio.
La conclusione dei ricercatori è che i vigenti test di laboratorio non sono adeguati, tanto che nel 2013, con la pubblicazione di un altro studio, mettono a punto una procedura per risolvere il problema.
Ma le direttive Ue che disciplinano la materia non vengono modificate e i costruttori di automobili dormono sonni tranquilli anzi, grazie al regolamento (CE) N. 595/2009 che armonizza a livello mondiale i differenti limiti di emissione tra Europa e resto del mondo, puntano ad espandersi nel mercato americano del diesel (negli USA 98% di vetture circolanti a benzina; 2% diesel).
Anche per questo nel 2014 l’International Council on Clean Transportation(che non è una organizzazione filantropica come si vuol accreditare, ma una potente lobby alimentata dai soldi delle fondazioni create da Bill Hewlett e David Packard, creatori di un impero elettronico con forti interessi nel settore militare) investe diversi milioni di dollari per realizzare un programma di ricerche sulle emissioni delle vetture diesel di importazione tedesca, le uniche presenti significativamente sul mercato Usa. La realizzazione del programma è affidata alla West Virginia University che richiamandosi espressamente allo studio fatto nel 2011 dai ricercatori della Ue realizza un test senza precedenti: tre vetture tedesche con apparecchiature di misura a bordo percorrono, in diversi mesi, le strade di San Diego, Los Angeles e San Francisco mentre una di queste è testata lungo i 4000 Km di autostrada tra San Francisco e Seattle. I risultati confermano quanto già registrato dai ricercatori europei, con sforamenti dei limiti che vanno da 5 a 20 volte per l’anidride carbonica a 15 a 35 volte per gli ossidi di azoto. Il tutto viene inviato all’Epa (Agenzia federale di protezione dell’ambiente) e al Carb (Ente preposto alla qualità dell’aria della California). Quest’ultimo chiede immediatamente spiegazioni alla Volkswagen la quale, dopo aver tentato di attribuire gli scompensi a una cattiva calibrazione dei dispositivi antinquinamento, il 2 dicembre 2014 si rassegna a richiamare volontariamente 500.000 vetture (50.000 nella sola California) presenti negli Usa.
Ma i nuovi test del Carb, a maggio 2015, confermano che gli ossidi di azoto sono ancora fuori norma e alla Volkswagen non resta che ammettere di aver montato sulle vetture Euro 5 sotto indagine un dispositivo concepito apposta per funzionare solo durante i test di certificazione, ovviamente per aggirarli. Il 18 settembre del 2015, contemporaneamente, Epa e Carb scrivono una lettera ufficiale alla Volkswagen in cui la accusano, senza possibilità di replica, di «aver impiegato senza successo un dispositivo atto ad aggirare le procedure sui test di emissione».
Una truffa senza precedenti che nessuno può dire come finirà, perché al di là dell’imbarazzo della Ue (come ha potuto ignorare gli studi dei suoi stessi ricercatori? avrà il coraggio di investigare tutto il comparto dell’automobile e di multare, come previsto dalle sue direttive, la potente Volkswagen?), al di là del falso stupore di chi scopre solo adesso che c’è del marcio anche nel regno di frau Merkel (dimenticando che la Siemens è stata coinvolta nel 2003 nello scandalo Enelpower in Italia e per le olimpiadi del 2004 in Grecia insieme alle connazionali Ferrostaal e Hochtief), viene da pensare ai contraccolpi sull’occupazione, alle eventuali ricadute sui negoziati del Ttip per imporre le normative americane Epa e Fda, ai danni per la salute per aver concesso libertà di circolazione a vetture taroccate, con buona pace dei vantati successi del protocollo di Kyoto.
Diceva il giudice Falcone che «La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio, e avrà anche una fine».
Diversamente, non si può dire la stessa cosa del capitalismo perché, nonostante la sua natura criminale, esso è del tutto inumano e perciò capace di distruggerci tutti quanti siamo su questa terra anche se ciò comporti la sua fine.
In fondo non è questa la metafora sottesa all’affaire Volkswagen?
Approfondimenti: Europa travolta dallo scandalo emissioni
di Jacopo Rosatelli
Il trono non poteva restare vacante. All’indomani dalla caduta di Martin Winterkorn ieri è stato già reso noto il nome del nuovo numero uno della Volkswagen: Matthias Müller, finora alla guida della Porsche, il fiore all’occhiello del gruppo. La nomina ufficiale sarà oggi, ma ieri dai piani alti dell’azienda di Wolfsburg è stato fatto trapelare il nome alla stampa: segno che per nemmeno un minuto può essere tollerato un vuoto di potere, perché il momento è drammatico.
Ogni giorno che passa, infatti, porta con sé l’aggravarsi dello scandalo che colpisce la principale casa automobilistica tedesca, e il conseguente addensarsi di nubi sempre più nere all’orizzonte.
Ciò che all’inizio sembrava enorme – mezzo milione di auto diesel «truccate» negli Stati Uniti, e il rischio di 18 miliardi di multa – ormai sembra una bazzecola: le auto a motore diesel sono appena il 3% di quelle vendute nel 2014 negli Usa, mentre nell’Europa occidentale sono il 53%.
Ieri il ministro dei trasporti tedesco, il democristiano bavarese Alexander Dobrindt, ha reso noto di avere appreso direttamente dall’azienda che «anche in Europa autovetture con motori diesel 1,6 e 2,0 sono state manipolate». Quante siano, non è ancora chiaro: lo si saprà nei prossimi giorni, stando a quanto afferma il ministro. Nei giorni scorsi si parlava di 11 milioni di vetture, ma potrebbero essere di più. I funzionari incaricati di esaminare le auto incriminate non si limiteranno alle sole Volkswagen, ma controlleranno a campione anche quelle di altri marchi. Sicuramente manipolati sono alcuni modelli di Skoda e Seat, marchi che fanno parte dello stesso gruppo tedesco. E in un rincorrersi di voci spesso incontrollate, dietro le quali potrebbero anche esserci manovre speculative, ieri è finita nel calderone anche la Bmw, altra storica casa automobilistica della Repubblica federale (la base è a Monaco di Baviera), con oltre 100mila dipendenti e più di 2 milioni di veicoli prodotti nel 2014. L’accusa di avere falsificato i dati sulle emissioni viene dal magazine Auto-Bild, ma i responsabili dell’impresa bavarese negano. Smentite che non sono bastate a fare cadere in borsa il titolo: –5,15%.
La valanga di cause che investirà Volkswagen sarà la prima preoccupazione per il nuovo amministratore delegato. Di ieri è la notizia che si sta muovendo la giustizia messicana, ma ciò che spaventa davvero è quello che può accadere negli Usa: le «class action», al momento 37, ma anche processi penali ai danni dei dirigenti. E non solo: ieri i siti di informazione tedeschi riportavano con evidenza la notizia che anche la Procura della Repubblica di Torino, su iniziativa del pm Raffaele Guariniello, ha aperto un fascicolo, al momento contro ignoti, per verificare se la frode sulle emissioni riguardi anche i veicoli che circolano in Italia. E nei prossimi giorni altri magistrati potrebbero seguire l’esempio, perché ciascun acquirente o cittadino affetto da malattie respiratorie, ovunque in Europa sia stata venduta una macchina «truccata», è potenzialmente interessato a una causa contro Volkswagen.
Il ministro Graziano Delrio ha confermato ieri sera in tv che anche in Italia saranno controllate mille vetture «a campione».
In ogni caso, al di là di cosa avverrà nelle aule dei tribunali di mezzo mondo, il nuovo numero uno Müller dovrà in breve tempo, insieme ai membri del consiglio di sorveglianza (Aufsichtsrat), riorganizzare la governance dell’impresa: l’ex ad Winterkorn, infatti, non è l’unico ad avere rimesso il posto. Ieri sono saltate altre teste importanti, fra le quali quella di Heinz-Jacob Neusser, capo del dipartimento ricerca e sviluppo.
Sul versante politico si registra ancora il profilo basso della cancelliera Angela Merkel. Ieri mattina il dibattito generale al Bundestag era dedicato interamente alla questione dei profughi in vista del vertice europeo: chi si aspettava che la leader democristiana trovasse il modo di fare cenno allo scandalo Volkswagen è rimasto deluso. Dalle parti della Cdu ci si limita a parlare di «preoccupazione» e «sconcerto».
Molto critici con lo scarso impegno del governo nel fare piena luce sulla vicenda sono i Verdi: ieri sono stati sia Barbel Höhn, la presidente della commissione ambiente del parlamento, sia il capogruppo Toni Hofreiter a chiedere al ministro dei trasporti di far analizzare tutte le auto con motore diesel, e non solo un campione.
A dare voce all’opinione pubblica tedesca indignata è il quotidiano progressista die Taz: «La mentalità che sta dietro allo scandalo era possibile perché i governi, tanto a livello federale quanto regionale, hanno sempre coccolato la Volkswagen», si leggeva ieri in un durissimo commento a firma di Ulrike Fokken. «La frode era una precisa strategia», che né i socialdemocratici né i democristiani hanno mai voluto vedere. La grosse Koalition che governa il Paese, insomma, si fonda (anche) sui trucchi della Volkswagen.
La Francia, regno del diesel, trema
di Anna Maria Merlo
La Francia è il paese al mondo dove circola il maggior numero di auto diesel, pari a circa il 60% del parco automobilistico (contro meno del 5% negli Usa) e molte auto sono vecchie e quindi maggiormente inquinanti. Renault e Psa, si sono specializzate nel diesel, da sempre favorito in Francia con un fisco favorevole: le tasse sono inferiori e causano un mancato guadagno per lo stato di circa 7 miliardi l’anno. Lo scandalo Volkswagen preoccupa quindi in Francia, anche se Psa e Renault (con l’alleata giapponese Nissan e il partner tedesco Daimler) assicurano che i loro prodotti rispettano scrupolosamente le regole. Le due case automobilistiche francesi fanno inoltre valere di aver adottato nuove tecnologie molto meno inquinanti per le nuove auto diesel.
Ieri, la ministra dell’Ecologia, Ségolène Royal, ha promesso l’istituzione immediata di una “commissione indipendente” che avrà il compito di fare dei test, a caso, su un centinaio di automobili, per verificare la conformità alle norme. Royal, la vigilia, aveva accusato Volkswagen di essersi resa colpevole di “una forma di furto del contribuente e dello stato”, con la truffa sui test. La Francia, come altri paesi europei, ha aperto un’inchiesta sulle Volkswagen. Ma la difesa preventiva di Renault e Psa fa acqua, perché nella Ue i test sono estremamente “flessibili” a causa della pressione esercitata dai costruttori. Bruxelles si limita a stabilire dei tetti di inquinamento permessi e a definire le procedure dei test. Ma la Commissione non ha né i mezzi né i tecnici per eseguire questi test, che sono affidati a strutture nazionali, suscettibili di essere in conflitto di interesse anche se sottomesse a loro volta a controlli, per evitare un eccesso di frodi su pressione dei costruttori nazionali. Le ong che si occupano di inquinamento e i Verdi europei hanno sottolineato in questi giorni che i test fatti nella Ue non sono affidabili: avvengono difatti esclusivamente in laboratorio, in condizioni particolari, che non rispecchiano le emissioni su strada. L’eurodeputato Verde Yannick Jadot denuncia delle pressioni dei costruttori sulla qualità dei test europei: “durante a crisi – afferma – hanno fatto valere e messo sulla bilancia il rischio sull’occupazione” di test più efficaci, “difficile lottare contro” questo tipo di argomenti in un periodo di forte disoccupazione.
La Commissione ha proposto una nuova tecnologia per i test, più fedele alla realtà, ma non dovrebbe venire applicata prima del 2016. Per il 2017 è prevista la revisione dei test di omologazione e dovrebbero venire messi la bando i test in laboratorio. La Ue ogni 5 anni dimezza i valori-limite degli agenti inquinanti: le norme Euro sono in atto dal ’91 (ora è in vigore Euro6) e mirano a limitare emissioni di polveri sottili, ossidi di azoto, monossido e diossido di carbonio. Ma, nei fatti, le case automobilistiche faticano a stare dietro a queste esigenze. Di qui la persistenza dei test in laboratorio, più favorevoli ai costruttori. Secondo la ong europea Transport&Environnement, 9 auto diesel su 10 che circolano in Europa “non sono conformi” alle regole Ue. Il Comitato dei costruttori francesi di automobili afferma ora che l’industria francese difende ormai “l’introduzione di test europei Rde (Real Driving Emissions), che permetteranno di convalidare, su strada, i risultati di laboratorio”.
In Francia, paese del diesel, lo scandalo Volkswagen preoccupa più di quanto faccia sperare ai costruttori nazionali di conquistare il mercato della rivale tedesca. Il diesel ha anche un aspetto politico molto delicato. I Verdi hanno chiesto ieri la proibizione delle auto diesel entro il 2020. Ma non saranno ascoltati, perché i proprietari di auto diesel – e soprattutto di quelle più vecchie – sono soprattutto i meno abbienti, cioè la popolazione che si sente maggiormente abbandonata dal governo e più massacrata dal fisco (ed è ormai il principale bacino di voti per il Fronte nazionale). In questo contesto, sono apparse patetiche le prese di posizione “nazionaliste” di alcuni politici. Jean-Luc Mélenchon, del Front de Gauche, che non perde occasione per attaccare la Germania, ha chiesto di applicare “il principio di precauzione” e di “sospendere le vendite di Volkswagen” in Francia. Il destroide Laurent Wauquiez, dei Repubblicani (il nuovo nome del partito di Sarkozy) afferma: “Volkswagen incarna l’arroganza del made in Germany, questa crisi dell’auto è una finestra di opportunità per dire che il made in France non è poi cosi’ male”.
Fonte: il manifesto
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