di Guido Moltedo
Dialogo, solidarietà, sussidiarietà, bene comune, inclusione, accoglienza. La cura del prossimo. L’attenzione al più debole. Pace. Ambiente. Sostenibilità. Sobrietà. Costruzione di ponti. Lotta alla povertà. Abolizione della pena di morte. Stop alle armi che alimentano le guerre. Le parole del papa. Il linguaggio di Francesco. C’era da aspettarselo, un discorso così, di fronte al Congresso americano?
Certo, il papa venuto dalla “fine del mondo” ci ha abituato a misurarci con parole che la politica non sa più pronunciare – e molti dei politici che l’ascoltavano ne sono un esempio – parole che lui non si stanca di ripetere, e di connettere tra loro, quindi non slogan, eppure espresse con la semplicità diretta che disarma e sfida qualsiasi interlocutore, credente e non, una lingua resa ancora più forte dai gesti, dai comportamenti che accompagnano il suo “guidare con l’esempio”. Eppure quelle parole, dette in quel suo inglese ispanico, gentile e lento, ma chiaro e fermo, proprio perché pronunciate di fronte a quella platea, avevano un rimbombo potente. Scuotevano. Sono parole destinate a lasciare un’orma profonda, anche in virtù della “coda”, davvero eccezionale, del suo saluto dal balcone del Congresso alla grande folla della spianata sotto Capitol Hill, con la richiesta, anche questa già sentita, ma questa volta ancora più sincera e toccante, di pregare per lui.
Inutile cercare di leggere con le lenti della politica corrente il discorso del papa di fronte ai due rami del Congresso. A Washington ci si era esercitati a elucubrare sui possibili riflessi politici dell’intervento del papa nel clima di aspra contrapposizione della campagna presidenziale. Si sentiva anche discettare se il suo pensiero è di sinistra o meno: se avrebbe aperto o chiuso a certe istanze, come la libertà di interruzione della gravidanza o le unioni gay. Indubbiamente, su questi punti ha deluso certe attese. Ed è anche lecito pensare che l’abbia fatto per placare la destra. Ma a che serve tirarlo per la tonaca, da una parte o dall’altra? Francesco ha ben chiarito che, lui, detesta il bianco e il nero, teme la polarizzazione. È un male del nostro tempo, ha detto.
Com’è distante dallo show di Netanyahu, l’ultimo capo di stato a intervenire di fronte alle due camere riunite, non ha l’intento conflittuale di Bibi, venuto a Washington per esasperare conflitti e divisioni, anche tra Casa Bianca e Congresso. Francesco è l’opposto. Il papa non ha divisioni, e certo non intende usare il suo potere morale per dividere, ma per unire, non con mediazioni e con retorico ecumenismo, ma parlando alle coscienze. Può farlo perché è credibile, perché si mette lui stesso continuamente in gioco. Parla alle coscienze non moralisticamente ma individuando i punti sensibili di chi ascolta, e toccandoli con acume, anche politico.
Dove è andato a toccare, questa volta? All’essenza stessa dell’essere americani, il loro essere un popolo di immigrati, come lo è il papa, che ripete quanto ha detto nel prato della Casa Bianca a Obama, anch’egli figlio di un immigrato, un connotato ancor più importante della sua pelle. Ed è questo il filo conduttore di un discorso che si è mosso, di fronte al Congresso, secondo la tecnica della buona comunicazione, che è “moderna” ma anche quella di un bravo prete che sa che la forza del Vangelo è nelle sue parabole. È la comunicazione che procede lungo un percorso scandito da vicende esemplari. Papa Bergoglio cita quattro figure emblematiche della storia statunitense, ognuna rappresentando in sé e messe insieme l’identità più elevata dell’America. «Una nazione può essere considerata grande quando difende la libertà», come ha fatto il presidente Abraham Lincoln; «quando promuove una cultura che consenta alla gente di “sognare” pieni diritti per tutti i propri fratelli e sorelle, come Martin Luther King ha cercato di fare»; quando «lotta per la giustizia e la causa degli oppressi, come Dorothy Day ha fatto con il suo instancabile lavoro», frutto di una fede che «diventa dialogo e semina pace nello stile contemplativo» di padre Thomas Merton. Il sottotesto è evidente. L’America ha smarrito questa sua identità, eppure ha in sé la forza di recuperarla.
Quanto avviene in questi giorni in America, il clamore e l’interesse che suscita il papa, si deve alla sua forte e originale personalità, al suo messaggio. Ma non va dimenticato il piano dei nuovi rapporti di forza, dentro la società americana. Non va sottovalutato il contesto. Il papa ha parlato di fronte a una platea costituita per un terzo da deputati e senatori cattolici. Lo speaker della camera dei rappresentanti, il repubblicano John Bohner, è cattolico, come la leader dell’opposizione democratica, Nancy Pelosi. Cattolico è il vice-presidente Joe Biden, che presiede il senato. Cattolico John Kerry, il segretario di stato, numero tre dell’amministrazione, così come sei dei nove giudici della corte suprema. Insomma, il papa delle Americhe, come l’ha definito Barack Obama, parlava di fronte a un parlamento, nella sua composizione demografica e religiosa, semplicemente inimmaginabile fino a pochi anni fa, per non dire rispetto ai tempi del primo presidente cattolico, John Kennedy, che dovette chiarire, per essere eletto, di non essere «un candidato cattolico, ma un candidato del Partito democratico che è anche cattolico».
Erano ancora tempi, e parliamo di cinquant’anni fa, di un’America già entrata nell’era moderna, Kennedy lamentava che i cattolici americani erano cittadini di serie b, in un paese bianco e protestante. Non oggi, che sono settanta milioni, come ha sottolineato Barack Obama, accogliendo il papa argentino. Il vicino Messico ne ha 75 milioni. È una crescita quantitativa che cambia la “chimica” del gigante nordamericano. Ne ridefinisce la fisionomia E il ruolo. Come non vedere il disgelo con Cuba in questo contesto? E con il disgelo con Cuba si trasforma la relazione con tutta l’America latina, in un progressivo processo di unificazione di due parti dello stesso continente, le Americhe.
È un processo tutt’altro che lineare, suscettibile di ritorni indietro (basti pensare alle conseguenze dell’elezione alla Casa Bianca di un razzista come Donald Trump). Ma intanto è bene tenere ben conto che la demografia sempre più ridefinisce la politica nazionale americana ma anche la sua geopolitica.
Approfondimento: Il Papa al Congresso: basta vendere armi di Luca Celada
Alle camere riunite del Congresso, in precedenza avevano parlato Churchill e De Gaulle, Boris Yeltsin e qualche mese fa, con notevole strascico polemico, anche Benjamin Natanyahu. Non era mai accaduto però che lo facesse un leader religioso come ha fatto ieri il papa nel secondo giorno del suo viaggio americano. Presentato come «il Papa, della Santa Sede» dallo speaker John Boehner, è stato accolto con un caloroso appplauso dai 435 deputati e senatori del parlamento di Washington a cui ha rivolto un discorso in inglese durato poco meno di un’ora.
Il papa ha ringraziato per l’invito a parlare ai rappresentanti «nella terra dei liberi e la patria dei valorosi», citazione di una delle frasi più retoriche dell’inno nazionale che in bocca al gesuita sudamericano come Bergoglio ha acquisito un lieve sospetto di ironia, pur producendo il primo di diversi applausi che lo hanno interrotto. Francesco che si è dichiarato «figlio dello stesso continente» ha ripetutamente elogiato il paese ospite senza rinunciare ad alludere indirettamente alle sue mancanze. Ha più volte invocato ad esempio la tradizione democratica e civile degli Usa criticando allo stesso tempo il commercio di armi, xenofobia, disuguaglianza e manicheismo che certo riguardano non poco gli Stati uniti come l’occidente tutto.
In alcuni passaggi il messaggio di Bergoglio è sembrato indirizzato più direttamente ancora all’Europa dell’emergenza rifugiati che ha definito «la più grave crisi dai temi della seconda guerra mondiale». Parlando delle moltitudini che si stanno riversando a nord alla ricerca di vite migliori e maggiori opportunità, il papa ha detto che «non dobbiamo lasciarci spaventare dal loro numero, ma piuttosto vederle come persone, guardando i loro volti e ascoltando le loro storie» e «rispondere in un modo che sia sempre umano, giusto e fraterno». Parole incisive nel paese in cui l’attuale front runner repubblicano, Donald Trump, costruisce consensi conservatori sulla promessa di edificare un muro sul confine messicano, ma forse rivolte ancor più direttamente all’Europa dei rigurgiti nazionalistici.
Ad ascoltare in aula ieri erano presenti numerosi cattolici (lo sono il 30% circa dei deputati) fra cui alcuni pretendenti alla prossima presidenza come i repubblicani Chris Christie e Marco Rubio. Il segretario di stato e “partner diplomatico” del Vaticano sul disgelo cubano, John Kerry, cui Francesco ha tenuto a stringere la mano prima di salire sul podio affiancato da Boehner e dal vicepresidente Biden, entrambi cattolici praticanti. Ai legislatori di un organo profondamente diviso lungo linee ideologiche il papa ha parlato dei pericoli della polarizzazione e del riduzionismo che divide il mondo in precise categorie di bene e male, giusti e peccatori aggiungendo che la complessità del mondo contemporaneo con le sue «ferite aperte» esige distinzioni più sottili della semplice demonizzazione dei nemici. «Imitare l’odio e la violenza dei tiranni e degli assassini è il modo più sicuro per prendere il loro posto», ha aggiunto. «È (un meccanismo) che il popolo americano rifiuta».
È stato uno dei passaggi più simili davvero a una “predica” fatta ai propri ospiti, anzi visti i recenti trascorsi di interventi americani e di conflitti utili solo a traghettare intere regioni del mondo nel caos, è stato il momento in cui Francesco si è avvicinato al discorso shakesperiano di Marco Antonio nel Giulio Cesare: l’elogio retorico di Bruto per evidenziarne i difetti. Non solo, infatti, gli Stati uniti – anche quelli del progressista Barack Obama — danno scarse indicazioni di riflettere seriamente sull’opportunità del proprio egemonismo geopolitico, ma il manicheismo è un cardine fondamentale della politica e del carattere nazionale intriso di patriottismo ed eccezionalismo.
Un contesto cioè in cui le affermazioni, pur moderate rispetto alla recente media di Francesco, sono risaltate maggiormente. Davanti a un pubblico che comprendeva numerosi paladini repubblicani dello scontro di civiltà, il papa cattolico ha riconosciuto le atrocità odierne commesse nel nome di dio, aggiungendo che «nessuna religione è immune da forme di estremismo» e lanciando un monito contro ogni fondamentalismo e ogni «violenza perpetrata nel nome di una religione, un’ideologia o un sistema economico». Il papa non ha nominato il capitalismo, ma nella patria di Wall street sono ben note le sue vedute sul liberismo estremo e a Washington le sue allusioni hanno avuto un peso particolare.
Non tutto nel discorso è stato obliquo riferimento. Nell’ambito della tutela della vita in tutte le sue forme, il papa ha scelto di esporre senza ambiguità la sua critica alla pena di morte nel suo ultimo bastione occidentale. Sull’immoralità del commercio di armi il papa è tornato ad inchiodare l’ipocrisia dell’occidente: «Perché armi mortali sono vendute a coloro che pianificano di infliggere indicibili sofferenze a individui e societa?» Ha domandato. «Purtroppo, la risposta, come tutti sappiamo, è semplicemente per denaro: denaro che è̀ intriso di sangue».
Un filo conduttore del discorso è stata la giustizia sociale come valore assoluto della politica. «I nostri sforzi devono essere volti a riportare la speranza, riparare le ingiustizie, mantenere gli impegni», ha detto il papa, «nello spirito di solidarietà e della fratellanza». «Qualsiasi attività politica deve servire e promuovere il bene della persona umana». «Ne consegue che non può essere sottomessa al servizio dell’economia e della finanza», ma deve invece esprimere il «nostro insopprimibile bisogno di vivere insieme nell’unità, per poter costruire uniti il più grande bene comune: quello di una comunità che sacrifichi gli interessi particolari per poter condividere, nella giustizia e nella pace, i suoi benefici». Dette in un aula dove anche la tutela pubblica della salute viene regolarmente denunciata come anatema socialista, le parole hanno ancora una volta assunto un peso particolare. Se fossero rimasti dubbi su quale volto del cattolicesimo voglia sdoganare nel suo viaggio americano, Francesco ieri ha scelto di onorare la memoria di quattro americani: Lincoln, emancipatore degli schiavi, Martin Luther King combattente per l’uguaglianza, l’intellettuale cistercense Thomas Merton e Dorothy Day fondatrice del movimento Catholic Worker, militante pacifista, femminista e operaista protagonista di lotte sociali dalle suffragette all’opposizione alla guerra del Vietnam.
Dopo il discorso c’è stata la visita ad una mensa della Caritas di Washington e poi il papa è volato a New York, per i vespri alla cattedrale di St. Patrick seguito dal riposo in vista di un altro discorso, quello di oggi pomeriggio all’assemblea dell’Onu.
Fonte: il manifesto
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