La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 24 settembre 2015

Indisponibili a essere vittime

di Jacopo Di Giovanni e Enrica Rigo
Lo scorso 17 set­tem­bre nel pome­rig­gio una tren­tina di donne nige­riane è stata rim­pa­triata con un volo spe­ciale della Meri­diana da Roma-Fiumicino verso Lagos. Circa venti di loro face­vano parte di un gruppo di 66 donne, sbar­cate in Sici­lia a fine luglio e tra­sfe­rite al Cie di Roma — Ponte Gale­ria sulla base di un cri­te­rio per cui, quando i cen­tri Cara per richie­denti asilo sono troppo pieni, i migranti inter­cet­tati in mare o durante gli sbar­chi ven­gono por­tati nei Cie. La potenza della legge si misura soprat­tutto nella sua capa­cità di fare cose con le parole: basta ritar­dare il momento in cui viene data la pos­si­bi­lità di inol­trare la domanda d’asilo, e i pro­fu­ghi diven­tano per legge “clan­de­stini” che hanno eluso i con­trolli di fron­tiera e pas­si­bili, come in que­sto caso, di essere trat­te­nuti in un cen­tro di iden­ti­fi­ca­zione e di espul­sione. La scelta, tra chi tra­sfe­rire nei Cara e chi nei Cie, segue regole tacite (tanto più indi­ci­bili quanto più osser­vate), che rispec­chiano i paesi di pro­ve­nienza. Se si pro­viene dalla Nige­ria è molto pro­ba­bile che il Cara sia pieno e il posto si trovi solo al Cie.
Durante l’estate, il caso delle 66 donne ha avuto qual­che eco sulla stampa, sia per l’interessamento di alcune cam­pa­gne di atti­vi­ste e atti­vi­sti, sia per­ché i gior­nali pote­vano par­lare delle donne, tutte gio­va­nis­sime, come di poten­ziali “vit­time di tratta”.
Anche in que­sto caso, le qua­li­fi­ca­zioni del diritto dovreb­bero far riflet­tere. Vit­time sì, ma non di qual­si­vo­glia car­ne­fice. Solo poche tra loro hanno otte­nuto in prima bat­tuta uno sta­tus di pro­te­zione. Ancora una volta, la scelta ha seguito regole non dette, chi por­tava sul corpo le cica­trici delle vio­lenze è stato pre­fe­rito. Corpi del sacri­fi­cio, rico­no­sciuti solo come tali. E quindi corpi sacri­fi­ca­bili, come i corpi delle donne che sono state rim­pa­triate.
Ognuna di que­ste donne è sicu­ra­mente vit­tima, non di uno ma di mol­te­plici car­ne­fici. Il patriar­cato, le guerre, l’industria del sesso, gli sca­fi­sti, e non da ultimo l’apparato repres­sivo del regime dei con­fini euro­pei. Ma la mag­gior parte di loro ha scelto di rap­pre­sen­tare la pro­pria istanza come un’istanza poli­tica, chie­dendo asilo. È vero, la tra­di­zione del diritto d’asilo si è sem­pre mossa su di un ter­reno ambi­guo. L’identità poli­tica che esso riven­dica è, in primo luogo, quella della comu­nità ospi­tante. La pre­ro­ga­tiva di acco­gliere chi si rico­no­sce come esule poli­tico è sopra ogni altra cosa una riven­di­ca­zione di sovra­nità nei con­fronti degli altri Stati. Basti pen­sare che, nel pro­cesso di seco­la­riz­za­zione dell’asilo, alla costru­zione giu­ri­dica del diritto d’asilo si è sovrap­po­sta quella del divieto di estra­di­zione. Eppure, pro­prio in virtù di que­sta riven­di­ca­zione di iden­tità poli­tica, le radici pro­fonde dell’asilo non sono da ricer­carsi nel rifu­gio con­cesso alle vit­time, bensì nell’immunità rico­no­sciuta al reo in quanto col­pe­vole.
Anche i corpi delle donne rim­pa­triate, così come quelli delle altre ancora trat­te­nute, por­tano i segni di una colpa. Quella di aver scelto di sal­varsi da sole, fug­gendo dai mol­te­plici car­ne­fici incon­trati sulla pro­pria strada. Non può essere detto, ma si tratta di una colpa inac­cet­ta­bile. Potremmo attri­buirle nomi diversi Hubrys, tra­co­tanza, sfac­cia­tag­gine o più sem­pli­ce­mente indo­lenza, indif­fe­renza verso un ordine. Pro­ba­bil­mente, nes­suna offesa è più insop­por­ta­bile di que­sta.
Se il diritto la rico­no­sca come una colpa degna di pro­te­zione, non è dato saperlo. Men­tre le donne veni­vano rim­pa­triate il Tri­bu­nale dispo­neva per alcune di loro l’ordine di sospen­sione dell’esecutività del rim­pa­trio, in attesa della deci­sione defi­ni­tiva sulla pro­te­zione inter­na­zio­nale. Ma, in alcuni casi, la deci­sione è arri­vata troppo tardi; tec­ni­ca­mente, una volta che l’aereo è in fase di decollo, l’ordine di sospen­sione è impro­ce­di­bile.
Non si tratta dello stato di ecce­zione (una volta tanto sarebbe forse il caso di chia­rirlo), ma del fun­zio­na­mento nor­male della giu­sti­zia. Non di quella cor­rotta e inef­fi­ciente, ma di quella ordi­na­ria, legit­tima e legit­ti­mata attra­verso un mec­ca­ni­smo deci­sio­nale. A ogni vio­la­zione cor­ri­sponde un rime­dio, un’altra pos­si­bi­lità di deci­sione.
Anche in que­sto caso, anche per le donne rim­pa­triate, esi­ste una pos­si­bi­lità di rime­dio (per esem­pio di fronte alla Corte Euro­pea dei Diritti dell’Uomo) che si rive­lerà tanto più effi­cace quanto più rapida sarà la pro­po­si­zione dell’istanza per una nuova deci­sione (innan­zi­tutto sulla pro­ce­di­bi­lità del ricorso). Può sem­brare uno scio­gli­lin­gua per giu­ri­sti ma, tra­dotta nel lin­guag­gio pro­fano della vita, la que­stione di merito non signi­fica altro che, ogni giorno che passa, il “peri­colo immi­nente” corso dalle donne a causa del rim­pa­trio per­derà di cre­di­bi­lità come motivo fon­dante del ricorso. In altre parole, la loro capa­cità di resi­stenza, di nascon­dersi e sfug­gire all’incarcerazione, alla vio­lenza alla morte, non è per il diritto che la prova di una colpa inde­gna.
E allora, di fronte all’inutilità del rime­dio, non resta che augu­rare a ognuna di loro di resi­stere il più a lungo pos­si­bile. Di fug­gire ancora, e di tor­nare.
La vicenda delle donne rim­pa­triate in que­sti giorni da Ponte Gale­ria è pas­sata quasi del tutto sotto silen­zio. Chi l’ha rac­con­tata, ne ha rife­rito, certo con dovi­zia di par­ti­co­lari, aspetti diversi. La deci­sione di rac­con­tarla sve­stendo i panni dei giu­ri­sti o degli stu­diosi è una scelta di mili­tanza, che è ormai una neces­sità che non può essere più rin­viata. A Ponte Gale­ria così come a ogni con­fine d’Europa.

Fonte: il manifesto 

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