La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 28 ottobre 2015

Avanti, contro la guerra e per la pace

di Gianmarco Pisa
La manifestazione nazionale tenuta a Napoli sabato scorso, il 24 ottobre, contro le più grandi manovre militari della NATO, nel pieno del Mediterraneo, dalla “caduta del Muro di Berlino”, è stata un successo politico e ha rimesso al centro della nostra agenda, di forze democratiche, progressiste, comuniste, pacifiste e antimilitariste, tante questioni che sembravano essere stantie e un po’ rétro.
La prima: ha senso oggi battersi contro la NATO? Della storica battaglia per il superamento della NATO, per l’uscita del nostro Paese dalla Alleanza Atlantica e, in particolare, dal suo dispositivo militare, per riguadagnare all’Italia, nel cuore del Mediterraneo, un ruolo politico, autonomo, propositivo negli scacchieri decisivi in cui si gioca la vicenda internazionale, le forze comuniste e progressiste, avevano, in un Novecento che sembra più lontano che mai, fatta una bandiera.
Quella battaglia (e quella bandiera) sono oggi più attuali ed urgenti che mai. Guardiamo al Mediterraneo: un mare di guerra e un mare di morte; un luogo di attraversamenti e fughe troppo spesso disperate e, al tempo stesso, un mare in guerra. A quanti paventano il rischio di una terza guerra mondiale alle porte, andrebbe forse risposto che una trama di guerra già unisce tre dei quattro quadranti del Mediterraneo, dalla Libia alla Siria, dall’oppressione della Palestina alla guerra del Donbass. Con la più recente vicenda ucraina, la guerra è entrata nel cuore dell’Europa, sul limes della cosiddetta “Europa politica”: e quello stesso limes insistentemente bussa alle porte della NATO.
Dalla fame e dalla guerra, scappano le migliaia di persone che, spesso alla fine di inenarrabili traversate, si riversano nel Mediterraneo, affidando alle sue onde le proprie speranze e il proprio dolore in una migrazione troppo spesso funesta e disperata, al di là della quale l’Unione Europea, sempre più strettamente legata al dispositivo NATO, erige i suoi muri e impone le sue burocrazie. La NATO stringe le regioni periferiche e le aree ostili all’interno delle proprie cinture di basi militari, riempie il nostro stesso Paese di basi e servitù e, oggi, di fronte alle nostre coste, esercita il suo “tridente”, una capacità offensiva dispiegata contro il Nord Africa, il Vicino Oriente e l’Oriente russo e cinese. Sono esercizi di militarizzazione e di guerra. A cui opporsi e da contrastare.
La seconda: come opporsi e come contrastare? Le migliaia di uomini e donne scesi in piazza a Napoli sabato scorso hanno dato vita a una manifestazione piuttosto singolare, a guardarla bene. Esteticamente “novecentesca”: bandiere e slogan, spezzoni compatti, “fuori l’Italia dalla NATO, fuori la NATO dall’Italia”. Essenzialmente moderna (se non, addirittura, post-moderna): molto giovane nella sua composizione, animata da forze politiche e sociali, ampiamente attraversata da realtà di movimento in lotta nei conflitti e nelle vertenze della contraddizione sociale, dalla precarietà alla scuola, dalla difesa del territorio ai beni comuni. Antimperialisti, antimilitaristi, pacifisti, nonviolenti, insieme. Inclusiva e combattiva allo stesso tempo. Come non capitava da tanto, troppo, tempo.
La terza: e ora? E’ comune e diffusa la consapevolezza che il movimento – complessivamente inteso – per la pace e contro la guerra (questa congiunzione “e” diventa allora decisamente importante…) è molto frammentato e su alcune questioni dirimenti non riesce a trovare una sua quadra. Non ha più saputo animare le piazze e le strade del nostro Paese, innervando di senso la stessa politica, come ha invece saputo fare nelle sue stagioni migliori. Ma ha intanto accumulato esperienze e saperi, diversificando le sue pratiche, ampliando il suo raggio di azione. La domenica successiva alla manifestazione, le realtà, le reti, i comitati che vi hanno partecipato sono tornati a riunirsi in una assemblea aperta, anche questa molto partecipata, non tanto per esercitarsi nel “bilancio del giorno prima”, quanto soprattutto per mettere a tema ragioni e prospettive per una rigenerazione del movimento per la pace e contro la guerra, proprio a partire dalla mobilitazione.
Un movimento, finalmente rinnovato e rigenerato, che sappia costantemente abbinare il NO e il SI: una sua conflittualità propulsiva, la capacità di resistere e di opporsi, di manifestare e di contrastare, insieme con la capacità di articolare ed egemonizzare, proporre e sperimentare. Non ci serve un pacifismo testimoniale. Ci serve di imporre la “pace con giustizia” al centro dell’agenda della politica.

Fonte: uEsseblog 

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