La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

domenica 14 febbraio 2016

L’economia malata e il socialismo

di Alfredo Morganti 
E se la vera malata fosse l’economia, ben più della politica? Oggi Federico Rampini termina il suo pezzo su ‘Repubblica’ dedicato alla deflazione con questa considerazione: i banchieri centrali stanno inondando l’America e il mondo di liquidità. E “i manuali dicono che stampar moneta dovrebbe far salire i prezzi”. Tuttavia visti gli effetti negativi di quella inondazione, forse “i manuali andranno riscritti per decifrare l’epoca in cui viviamo e risolvere problemi nuovi”. Quando si debbono riscrivere i manuali vuol dire che stiamo messi male, che vengono a mancare i fondamentali, che i paradigmi utilizzati fin qui sono carta straccia o quasi, e ci vorrebbe qualcuno che si rimetta di buzzo buono a ripensare da cima a fondo i meccanismi di funzionamento del mercato, della produzione e circolazione dei beni, del ruolo della moneta e di quello delle banche centrali.
Qualcuno che riformuli un nuovo paradigma. Senza illudersi o sperare che si tratti di una questione meramente ‘tecnica’, che sia la ‘tecnica’ la leva da impugnare.
Anche qui è in discussione non un algoritmo o un sistema di equazioni algebriche. Non si tratta di trovare una ‘soluzione’ a carte ferme, ma un nuovo modello di sviluppo, perché l’attuale è in crisi terminale. Parlo di quello del petrolio, della Cina locomotiva mondiale, dell’austerità europea, della crisi che appare e scompare come una specie di fiume carsico, dello sciocco zero virgola, della finanziarizzazione spietata, dell’attacco al welfare, dello Stato ‘minimo’, della crescita che appare un mito, degli USA che fanno solo leva sulla moneta, delle banche sfiduciate, della deflazione che appare sempre più un male cronico. Un mondo che produce ricchezza che si concentra nelle mani di pochi individui, poche famiglie e potenti oligarchie che non sanno quasi più che farsene dei soldi, almeno in termini di consumo, e per i quali la ricchezza non ha più un valore di mercato ma di status. Un mondo sovraccarico di merci, inondato di gadget costosissimi, merci che si deteriorano invendute, beni destinati a una ‘vita’ commerciale brevissima con perdite di valore verticali, con un effetto di sovrapproduzione e di abbondanza che lascia interdetti, tanto più dinanzi alla quota sempre più alta di invenduto e di spreco in talune parti del mondo, dinanzi alla carenza e al vuoto da fame di altre.
Dietro il manuale da riscrivere di Rampini c’è questo scenario a cui soltanto un ribaltamento del fondale e nuovi protagonisti possono porre rimedio. Ed è inquietante oltre che sorprendente che queste cose le abbiano capite di più negli USA che da noi. Un sondaggio dice che in Iowa il 43% dei cittadini potrebbe definirsi ‘socialista’. Ricordate il Gaber di ‘Anche per oggi non si vola’? Be’, lui criticava Marx che diceva ‘Stati Uniti, Inghilterra’, mentre l’uccello (che poi sarebbe una metafora storica) diceva invece ‘Russia, Cina’. E be’, sembrerebbe che invece Marx aveva proprio ragione. Perché laddove il socialismo è stato importato con la rivoluzione, e quasi imposto dalla volontà di potenza del soggetto, le cose non siano andate alla fin fine benissimo. Anzi. Dove, invece, appare a molti e limpidamente come una ragionevole necessità storica, laddove sia recuperato il suo senso sul filo della mediazione, della partecipazione dei lavoratori e dei cittadini e della maturazione effettiva degli scenari e delle forze produttive, cessa di essere una spudorata bestemmia per acquistare un’effettiva forza e una cogenza storica e sociale, all’interno di solidi scenari democratici (non era questa, d’altronde, la lezione del PCI e di tanta sinistra cattolica?). Un processo corposo, ben ‘addentellato’ alla realtà ma dotato di un impatto soggettivo, critico e culturale notevole, che sarebbe poi il senso effettivo da assegnare alla parola ‘riformista’.

Fonte: nuovatlantide.org

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