di Aldo Garzia
Barack Obama andrà a Cuba entro marzo e non dopo la fine del suo mandato, come si era vociferato nei mesi scorsi. Il ristabilimento dei rapporti tra Stati uniti e Cuba subisce una ulteriore accelerazione.
Del resto notizie che vanno in questa direzione si susseguono quasi ogni giorno. Nell’ultima settimana i due paesi hanno ristabilito voli aerei regolari, il ministro cubano del commercio Rodrigo Malmierca è stato ricevuto in pompa magna dalla Camera di commercio di Washington, un gruppo di industriali americani ha deciso di viaggiare a L’Avana per chiedere la fine dell’embargo. E l’elenco potrebbe continuare dopo che Cuba è diventata anche capitale del dialogo religioso con lo storico incontro tra papa Francesco e il patriarca ortodosso Kirill.
Gli amici di Cuba e quanti hanno sempre osteggiato l’embargo contro l’isola gioiscono. Il blocco economico si sta allentando via via e presto il Congresso americano potrebbe decretarne la fine definitiva.
Sarà interessante ascoltare cosa dirà a questo proposito Obama a L’Avana, così come si attende un suo pronunciamento sul destino della base militare di Guantanamo che i cubani chiedono venga loro restituita come vorrebbe un antico trattato non rispettato da Washington. E da parte cubana si attende il via libera per l’incontro tra Obama e alcuni gruppi dell’opposizione interna.
In diplomazia è difficile indicare vincitori e sconfitti. Il bon ton preferisce evitare l’uso di queste categorie nei rapporti tra gli Stati. In sede di valutazione politica è evidente il fallimento delle strategie americane contro l’isola: dai tentativi di invasione (Playa Giròn) agli attentati, dall’embargo decretato nel 1962 ai tentativi di renderlo più stringente dopo il crollo del Muro di Berlino. Cuba ha resistito a tutte le intemperie.
Fidel Castro e ora suo fratello Raùl hanno il merito di non aver mai tentennato sui principi e di aver retto la barra della coerenza politica. Il che ha permesso di aprire con pragmatismo la nuova stagione degli attuali rapporti L’Avana-Washington. Una grande soddisfazione per Fidel ormai quasi novantenne.
Quello che accade sotto i cieli di Cuba cambia in parte anche il giudizio storico sulla rivoluzione dei barbudos.
C’era il rischio della chiusura dell’isola in una sorta di bunker con rischi di implosione interna. Si è imposta invece una politica che lascia aperta la strada della competizione tra valori e contenuti di modelli economici e sociali differenti, tra un capitalismo neoliberista e un socialismo rinnovato più fondato sulla mediazione Stato-mercato che sulla modellistica di sovietica memoria. Davide ce la farà a non soccombere ancora una volta a Golia?
Alcuni amici di Cuba — i gruppi più militanti — temono però che l’isola, come accadde all’Unione sovietica di Michail Gorbaciov, possa venire fagocitata dalla sua stessa nuova politica. Il pericolo c’è, indubbiamente. Ma il gruppo dirigente della rivoluzione consegna una sfida avvincente alle nuove generazioni: rinnovare il lascito dell’indipendenza nazionale e delle conquiste sociali in tema di assistenza, medicina, istruzione, cultura o diventare una appendice degli Stati uniti. È il dilemma che si ripresenta di fronte al futuro di Cuba. Qual era l’alternativa? Chi avrà maggiore filo tesserà. Bisogna aver fiducia nell’intelligenza e nella sapienza dei cubani che decideranno del loro avvenire. La rivoluzione dal canto suo è certo chiamata a una nuova prova, non meno ardua del glorioso passato di oltre cinque decenni.
I tanti amici di Cuba sono chiamati perciò a intensificare il loro impegno di solidarietà, non ad allentarlo.
Caduto il volto più truce dell’imperialismo, occorre vigilare su quello meno grossolano e più sottile. Da qui la necessità che Cuba accentui i suoi rapporti con l’Europa e il resto del mondo, reinserendosi nella comunità internazionale come un paese tra gli altri alla stregua di Cina e Vietnam. E occorre continuare a chiedere la fine di tutte le clausole dell’embargo che restano tuttora in vigore.
Il viaggio di Obama a L’Avana segna un nuovo approdo nella relazione tra Stati uniti e Cuba. Fidel e la rivoluzione sono ancora lì. Un presidente a stelle e strisce di origine africana ha avuto il coraggio di mutare politica. Una decina di suoi predecessori, da Dwight Esenhower in poi, non sono riusciti a sconfiggere la prima rivoluzione socialista dell’America latina.
Fonte: il manifesto
Originale: http://ilmanifesto.info/la-sfida-di-castro/
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