di Olivier Peter
Da qualche anno la regione catalana si è rivelata un laboratorio politico d’eccezione che meriterebbe più attenzione da parte dei movimenti della sinistra popolare del continente. Mentre la Catalogna presenta una ricchezza e una crescita economica tra le più alte d’Europa, parallelamente assiste allo sviluppo di movimenti di massa che rivendicano il diritto all’autodeterminazione, la disobbedienza civile e la giustizia sociale. Se in situazioni di crisi politica e di discredito delle istituzioni di un governo centrale duramente provato da scandali legati alla corruzione, com’è il caso per l’esecutivo di Madrid o per la monarchia borbonica, un ripiego regionalista non sorprende, il processo catalano presenta due aspetti inabituali dai quali trarre qualche utile lezione.
Il primo è il larghissimo appoggio popolare a un processo che ha ripetutamente assunto posizioni di rottura esplicita nei confronti della legislazione spagnola, sfidando decisioni emesse dalle giurisdizioni legate al governo centrale. Così è stato il 9 novembre 2014, quando oltre due milioni di persone (40% delle elettrici e degli elettori) hanno partecipato ad un referendum consultivo sull’indipendenza, dichiarato illegale dal Tribunale costituzionale spagnolo. Una situazione simile si è prodotta a più riprese quando le piazze catalane si sono riempite in favore del diritto all’autodeterminazione, mentre la stampa spagnolista, i grandi partiti tradizionali e giuristi conservatori rinomati si sbracciavano proclamando che questa rivendicazione sarebbe illegale e contraria alla costituzione.
Il secondo aspetto particolare è la crescita di quelle forze progressiste che hanno intuito come tale processo potrebbe rivelarsi un terreno propizio per rivendicare un nuovo contratto sociale, non solamente in contrapposizione ai corrotti di Madrid, ma anche ai loro complici catalanisti di Barcellona o Tarragona. In Catalogna si è quindi assistito alla crescita improvvisa di movimenti anticapitalisti, come le Candidature di Unità Popolare (Cup), o della sinistra riformista, come la coalizione formata da Podemos. Lo scorso settembre, la lista podemista ha ottenuto il 9% dei voti al parlamento regionale (Parlament), tre mesi più tardi, per le elezioni al parlamento centrale, ha ottenuto quasi il 25% dei voti. In settembre il movimento assemblearista delle Cup ha invece triplicato i suoi suffragi. Per le elezioni al legislativo di Madrid, le Cup hanno invece chiamato all’astensione.
Un’evoluzione che presenta anche aspetti fortemente simbolici: da quando la sinistra popolare è entrata in forze nel parlamento regionale, tra le abituali camicie e tailleurs sono apparsi fazzoletti curdi e magliette con slogan antifascisti, ecologisti o ispirati alle rivolte del sud-est messicano. I simboli monarchici, come i busti del re, sono stati coperti da drappi neri o rimossi dagli emicicli catalani, mentre i discorsi che invocano la disobbedienza di fronte a leggi ingiuste e si rifanno esplicitamente all’anticapitalismo non sono più tabù nella stampa e nei parlamenti.
La sinistra catalana ha quindi il vento in poppa. Una dinamica che si appoggia anche sulla debolezza dei partiti spagnolisti tradizionali, di destra come di centro-sinistra, che a causa della loro opposizione dogmatica alle rivendicazioni autonomiste hanno perso enormi fette di rappresentatività e potere istituzionale nella regione. Questa tendenza approfitta inoltre della decisione del governo centrale che, dopo decenni d’impunità garantita ai dirigenti corrotti della borghesia catalanista, ha scelto il peggior momento per scatenare importanti operazioni anticorruzione contro personaggi di prim’ordine nel partito Convergència i Unió (CiU), molto vicini all’ex president Artur Mas. Il momento scelto e la copertura mediatica data alle retate non lasciano dubbi sul reale obiettivo dell’operazione, ovvero delegittimare parte della direzione del processo indipendentista. L’operazione è stata però controproducente. L’offensiva contro la destra catalanista ha raddoppiato la legittimità di coloro che da sempre denunciano la corruzione, in primo luogo le organizzazioni della sinistra anticapitalista.
Con 10 deputati su 135, le Cup si sono così trovate a giocare un ruolo decisivo nella costruzione di una maggioranza indipendentista. Il movimento ne ha approfittato per costringere l’avversario di sempre Artur Mas a ritirare la sua candidatura per la rielezione come president. Il movimento ha inoltre potuto strappare alla borghesia nazionalista, ampiamente maggioritaria nel parlamento, importanti concessioni in materia di politiche sociali. Un processo molto difficile, durante il quale le Cup sono state capaci di mantenere la linea, grazie anche al fatto che le decisioni strategiche sono state dibattute e adottate da assemblee alle quali hanno partecipato migliaia di militanti. La scelta finale è quindi stata quella di sostenere un governo di unità indipendentista che dovrebbe portare alla rottura con lo Stato spagnolo entro 18 mesi.
La decisione delle Cup è quindi quella di appoggiare l’unità indipendentista per accentuare il processo di rottura democratica e di giustizia sociale, una scelta che comporta importanti rischi ed evidenti contraddizioni, poiché obbliga le Cup a condividere un tratto di strada con forze liberali. Di fronte ai dubbi e alle critiche sulle scelte della sinistra catalana, le migliori risposte sono le conquiste delle Cup, lo sviluppo dei movimenti più trasversali legati a Podem, così come le mobilitazioni popolari eccezionali che scuotono la Catalogna, che sembra essersi incamminata per cambiare per sempre la sua storia.
Quale strada dovrà intraprendere perché questo cambiamento possa avere un impatto reale sulla condizione delle classi popolari catalane? Sarà il cammino che decideranno le classi popolari stesse, così come le loro organizzazioni, uniche padrone del loro destino.
Fonte: Area 7
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