di Livio Grillo
Cos’è la democrazia? Sembra strano ma nel 2016 siamo costretti di nuovo a chiedercelo, ad interrogarci sul senso di questa parola e di come uno strumento così importante sia stato svuotato in pochi anni del suo significato e della sua portata storica. Sì, perché la democrazia ad oggi è un dato storico, per la maggior parte delle persone non è una conquista ma una condizione stabile e immutabile.
Ma la storia non si ferma, non è finita, continua, si evolve e la “democrazia” con sé.
La storia della democrazia si intreccia con la storia delle donne e degli uomini che hanno lottato per ottenere un riconoscimento sociale, che hanno espresso i loro bisogni e i loro sentimenti.
E proprio tramite le loro lotte abbiamo avuto la possibilità di vivere in un secondo dopo-guerra fondato sul riconoscimento reciproco tra capitale e lavoro, assistendo alla costruzione del così detto modello di “stato sociale” europeo. Ma tutto questo ha avuto una battuta d’arresto nel corso degli ultimi decenni partendo dalla teorizzazione di un “eccesso di democrazia”, così come venne definita dalla Trilaterale nel 1975; passando, in Italia per la mancata attuazione del dettato costituzionale, segnando così profonde differenze tra la costituzione materiale e quella formale, per poi arrivare al completo svilimento del senso stesso di questa parola.
E proprio tramite le loro lotte abbiamo avuto la possibilità di vivere in un secondo dopo-guerra fondato sul riconoscimento reciproco tra capitale e lavoro, assistendo alla costruzione del così detto modello di “stato sociale” europeo. Ma tutto questo ha avuto una battuta d’arresto nel corso degli ultimi decenni partendo dalla teorizzazione di un “eccesso di democrazia”, così come venne definita dalla Trilaterale nel 1975; passando, in Italia per la mancata attuazione del dettato costituzionale, segnando così profonde differenze tra la costituzione materiale e quella formale, per poi arrivare al completo svilimento del senso stesso di questa parola.
Un processo guidato dalle “classi globali” che attraverso la violazione di diritti legittimi dati crea nuova legalità. Questi attori si ergono a decisori senza mandato popolare, privi di una precisa collocazione spazio-temporale, per questo difficilmente descrivibili e percepibili dalla maggioranza della popolazione e si muovono a prescindere dalla volontà degli elettori e di quegli strumenti ormai svuotati che sono i partiti tradizionali. Anche la diminuzione degli spazi di democrazia più prossima ai cittadini, come la legge dei sindaci, la creazione della figura dei governatori o l’eliminazione delle elezioni provinciali, ha creato sì più stabilità istituzionale (anche se questo è ancor tutto da dimostrare) ma ha reso ancor più distanti le istituzioni rappresentative da quei soggetti che ne dovrebbero essere rappresentati.
La somma di queste situazioni fa si che la democrazia sia oggi percepita come strumento vuoto, assimilabile ad una stanca procedura burocratica da mettere in pratica tra una campagna elettorale e l’altra. Proprio per questo il voto attira sempre meno cittadini producendo un continuo svuotamento della rappresentanza e rendendo ogni giorno più vicina la realizzazione del progetto creato dal neoliberalismo: diminuzione della democrazia, arretramento nel campo dei diritti e governi tecnici ad oltranza.
All’interno di questo quadro globale, i governi Renzi-Letta-Monti privi di un mandato popolare specifico e di una legittimazione democratica, mettono in pratica tutte quelle “riforme” calate dall’alto e descritte come bene supremo e come dato politico incontrovertibile. In tutto ciò la sciagurata riforma costituzionale, legata alla riforma della legge elettorale (Italicum), diventa la formalizzazione ultima che sancisce la vittoria del neoliberalismo sulla democrazia e che possiamo riassumere per punti in alcune delle modifiche più controverse:
· La maggioranza vincitrice alle elezioni assume un controllo del ramo legislativo tale da far saltare tutti i quorum di garanzia previsti
· Modifiche sostanziali ai contrappesi costituzionalmente garantiti, che crea confusione tra il piano legislativo e quello esecutivo
· Svolta centralistica con la clausola di supremazia nazionale che fa facilmente prevedere un’impennata dei ricorsi presso la Consulta, anche a causa dello svilimento del ruolo del Senato
· Introduzione del premierato forte garantendo eccessivi poteri nel procedimento legislativo: con “voto a data certa” ogni provvedimento può diventare a decretazione d’urgenza
· Elezione del Presidente della Repubblica a sostanziale nomina governativa
· Elezione del Senato distorsiva per le numerose legislazioni regionali presenti, che privilegiano la governabilità e quindi limita totalmente rappresentanza locale e politica
A fronte di tutto questo dobbiamo prendere atto che gli attuali strumenti di partecipazione non semplificano l’accesso al processo democratico. A prescindere dai giudizi e sulla reale portata democratica dello strumento usato dai 5S, questo deve essere un campo da usare e approfondire se vogliamo entrare in connessione con tutta quella fascia di giovani e meno giovani che oggi mai si sognerebbero di stare seduti per ore intere a discutere. Non che questo sia sostitutivo del rapporto diretto tra persone, ma va usato semplicemente come uno strumento in più.
Cosa significa, dunque, la democrazia oggi, in un contesto che certifica l’impossibilità di imporre nell’agenda politica un reale sistema democratico di alternanza, dove ogni luogo di democrazia è stato svuotato di significato? In un sistema dove l’unico strumento di partecipazione innovativa, quali sono state le primarie, ha perso ogni significato perché utilizzata in maniera inappropriata e rese manipolabili dall’assenza di controlli e di responsabilità politica dei contendenti?
Innanzitutto dobbiamo partire dal diritto alla conoscenza, come base imprescindibile per la costruzione di un sistema realmente democratico che sia inclusivo e lottare per la realizzazione del principio di eguaglianza sostanziale previsto dalla nostra Costituzione.
Dobbiamo innovare le forme di partecipazione e prendere spunto da quanto di interessante è stato fatto o è stato solo proposto e lasciato marcire nelle piaghe di uno statuto di partito: a partire dalle primarie, inserire elementi di partecipazione via web e dalla costruzione di piazze “reali e virtuali” in cui si discute e si decide. Tutti insieme, dando ad ognuno la possibilità di influenzare questo percorso.
Ovviamente dovremo renderci parte attiva nella gestione e promozione dei “comitati per il No” alla riforma della Costituzione, e dovremo capire come farlo, perché da lì passa la discussione su qual è il senso della democrazia. Perché non basterà dire no e difendere quello che era prima, contrapporre i padri costituenti ai nuovi “revisori” della Costituzione o gridare per l’ennesima volta al colpo di stato per aver ragione e soprattutto vincere la battaglia referendaria; dobbiamo creare un immaginario nuovo, positivo, scardinando la narrazione renziana senza farci etichettare come “gufi”, “i signori del No” o “i professionisti della tartina”.
Lasciamolo solo nel suo immaginario, capirà che non ci si sta troppo bene.
Fonte: Commo.org
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