La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 20 febbraio 2016

17 aprile, vincere il referendum

di Sonia Pellizzari
Chissà se quel movimento di cittadini, associazioni e comitati, riunito per la prima volta a Pisticci Scalo nella metà di luglio del 2012 per dire no alle trivelle avrebbe mai immaginato che i Massive Attack, nel concerto di Milano, avrebbero lanciato, dallo schermo alle loro spalle, messaggi di denuncia contro le trivellazioni.
Il sostegno del duo trip-hop di Bristol è l’ultimo atto di un lungo percorso di mobilitazione che negli ultimi anni ha squadernato rischi e contraddizioni di un modello di sviluppo basato sullo sfruttamento delle fonti fossili, a scapito di tutela ambientale, salute e sviluppo sostenibile.
Eh già perché le trivelle non devono preoccupare o interessare solo le regioni che si affacciano sul mare. Il referendum indetto per il 17 aprile infatti sarà nazionale, e regioni come Lombardia e Piemonte saranno determinanti per il raggiungimento del quorum e perché il no sia vincente. Perché a rischio è il mare che circonda l’Italia intera, le nostre spiagge, la nostra salute e l’ecosistema.
Era il 2012 quando il governo Monti introdusse nel decreto liberalizzazioni un sostanziale via libera alle trivellazioni nel territorio italiano, incluso il mare e fin sottocosta, per cercare e poi estrarre petrolio e gas.
Il decreto non lasciava spazio a interpretazioni, lo scopo dell’articolo 20 era “consentire nell’immediato di realizzare investimenti di sviluppo pari, nella sola Regione Basilicata, a 6 miliardi di euro, garantendo una produzione aggiuntiva di idrocarburi nei prossimi 20 anni per un valore economico di almeno 30 miliardi di euro ed entrate aggiuntive per lo Stato (tra royalties e entrate fiscali) pari ad almeno 17 miliardi”. Nell’articolo 21 il limite spaziale per le perforazioni off shore – ovvero in mare – passava da 12 a 5 miglia marine, quindi sottocosta. Infine, l’articolo 22 sdoganava una vera e propria liberalizzazione, per cui si arrivava ad un regime concessorio unico, “che prevede una fase di ricerca al termine della quale, in caso di esito negativo, il titolo cessa – diceva la relazione – mentre in caso di ritrovamento minerario prosegue l’attività attraverso le fasi di sviluppo, produzione, ripristino finale”.
Si arriva poi al “Decreto Sviluppo” (decreto legge 3/2012) - convertito con modificazioni dalla legge n.134/2012 - che nell’articolo 35 azzerava il decreto Prestigiacomo (che vietava le attività petrolifere lungo tutta la fascia costiera italiana portando il limite di interdizione da 5 miglia a 12 miglia) dando così la possibilità di operare entro le 12 miglia dalle coste.
Dalla Basilicata alla Puglia, dalla Calabria al Molise, dall’Abruzzo alla Campania, dall’Emilia Romagna alle Marche, prende forma un movimento eterogeneo, largo e determinato nel contrastare la ricerca e lo sfruttamento, su terraferma o in mare, di combustibili da fonti fossili e non rinnovabili, e in particolare di idrocarburi liquidi o gassosi.
Hanno nomi diversi ma parlano la stessa lingua i numerosi comitati regionali: in Calabria scendono in piazza i NoTriv Magna Grecia perché l’Alto Jonio cosentino è oggetto di interesse della Apennine Energy Spa, legata alla multinazionale inglese Sound Oil, e della Total E&P ITALIA, che intendono trivellare la Sibaritide senza tener conto dell’opposizione di tutti i comuni della zona (Amendolara, Trebisacce, Villapiana Cassano Jonio, Corigliano, Rossano, Calopezzati).
In Abruzzo “No-Ombrina Mare, salviamo l’Adriatico” raduna esponenti politici, associazioni come Peacelink, Pax Christi, Arci e Forum abruzzese dei movimenti per l’acqua, cittadini e cittadine e organizza una partecipata manifestazione a Lanciano per dire no a una piattaforma petrolifera con annessa nave di prima raffinazione che il Governo Renzi vuole realizzare nel mare abruzzese a poche miglia da dove sta nascendo il Parco nazionale della Costa Teatina.
La Basilicata, dove l’Eni estrae greggio dal più grande giacimento in terraferma d’Europa e dove si estrae oltre il 70% del petrolio nazionale, si mobilita. Più di 10mila persone scendono in piazza il 4 dicembre 2014 in piena discussione Sblocca Italia, avanzando tre proposte di legge di iniziativa popolare: Legge sulle emissioni (per ridurre rischi e danni ad aria acqua suolo derivanti dagli idrocarburi, attraverso una Vis e una Vds), una moratoria contro il consumo di suolo e una legge regionale sui tumori e tumori infantili. La vicenda del petrolio lucano porta a galla tutti i limiti delle attività estrattive, sono eloquenti queste frasi contenute in una relazione del Governo Monti: «Tale sviluppo (ndr. economico locale) risulta rallentato o impedito dalle difficoltà derivanti dall'insediamento degli impianti di estrazioni di idrocarburi, spesso in competizione con altre attività di sfruttamento del territorio, generalmente di minore valore economico ma fortemente radicate, e che generano occupazione», come per dire che l'interesse strategico coincide con il gettito fiscale ma che le estrazioni petrolifere non comportano maggiore occupazione rispetto alle altre attività radicate sul territorio (agricoltura, enogastronomia, turismo di qualità).
Ad Ancona - dove lo scorso agosto sono iniziate le perforazioni di pozzi con le due piattaforme ENI Bonaccia NW e Clara NW - si tiene la prima manifestazione regionale marchigiana contro le trivellazioni in Adriatico e su terraferma organizzata dal gruppo “Rete Trivelle Zero Marche”. 
Lo scorso 22 dicembre il Ministero dello Sviluppo Economico autorizza la ricerca di idrocarburi alla Petrolceltic Italia srl (che fa capo all'irlandese Petroceltic International) al largo delle Isole Tremiti, di fronte al parco naturale del Gargano. La società rinuncerà al permesso di ricerca poco meno di due mesi dopo.
Le Tremiti non sono l’unico territorio pugliese coinvolto: lo scorso ottobre, il Ministero dell’Ambiente ha concesso il via libera a due richieste di ricerca nel Golfo di Taranto -presentate dalla Shell nel novembre del 2009 - una a 12 miglia dalla Zona di Protezione Speciale (ZPS) “Alto Ionio Cosentino” e l’altra a 8 miglia marine dalla spiaggia di Trebisacce e vicina ai Siti di Importanza Comunitaria (SIC) “Amendolara” e “Fondali Crosia-Pietrapaola-Cariati”. Si arriva fino al Salento preso di mira, tra il Capo di Leuca e Gallipoli, da due colossi del settore idrocarburi, la statunitense Global Med e la Petrolic Italia-Edison.
Intanto la protesta si estende a macchia d’olio e tracima i confini regionali, con il prezioso supporto di autorevoli Associazioni come Greenpeace, Legambiente, Wwf
.
L’avallo alle trivelle non è solo un lascito di Monti. Anzi. Il Governo Renzi porta a compimento un disegno ben confezionato da Monti e Passera quando nel 2014 converte in legge il decreto “Sblocca Italia” che rende strategiche tutte le attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi, trasferendo il potere decisorio dalle Regioni allo Stato e mettendo così un ‘silenziatore’ agli enti locali, alle Regioni, ai Comuni e alle associazioni di cittadini.
Agli inizi del 2015 Abruzzo, Calabria, Campania, Lombardia, Marche, Puglia e Veneto impugnano lo “Sblocca Italia” dinanzi la Corte Costituzionale. E a settembre Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna e Veneto depositano in Cassazione 6 quesiti referendari per abrogare alcune parti dell’articolo 35 del Decreto Sviluppo e dell’articolo 38 dello Sblocca Italia.
Insomma dalle Isole Tremiti a Isola Capo Rizzuto, da Ancona a Venezia, da Santa Maria di Leuca a Pantelleria i nostri mari e le nostre campagne sono coinvolte nella ricerca di petrolio: dal sito del Ministero dello Sviluppo Economico apprendiamo che il 31 gennaio ci troviamo di fronte a 90 permessi di ricerca per la terraferma e 24 per i fondali marini. Poi ci sono 133 concessioni per «coltivazioni» di idrocarburi già individuati a terra e 69 in mare.
Il Governo quindi prova a creare un cortocircuito approvando un emendamento alla Legge di Stabilità che modifica alcune norme oggetto dei 6 quesiti referendari. Introduce il limite delle 12 miglia per le ricerche petrolifere e dice no al progetto Ombrina e ad altri 26 progetti che chiedevano le autorizzazioni per le ricerche offshore di petrolio e gas entro quei limiti. E’ la prima grande vittoria del movimento No Triv.
La Cassazione ne prende atto ed accetta solo 1 dei 6 referendum, quello che la Corte Costituzionale ha ammesso a consultazione del cittadini lo scorso 19 gennaio. Il quesito ammesso riguarda la durata delle autorizzazioni per le esplorazioni e le trivellazioni dei giacimenti in mare già rilasciate, e ha a che fare con l’abrogazione dell’articolo 6 comma 17 del Codice dell’Ambiente nella parte in cui prevede che le trivellazioni possano proseguire fino a quando il giacimento lo consente. Il comma prevede sostanzialmente che le trivellazioni per cui sono già state rilasciate delle concessioni non abbiano una scadenza. Il referendum vuole invece limitare la durata delle concessioni alla loro scadenza naturale, chiudere dunque definitivamente i procedimenti in corso e evitare proroghe. Naturalmente la portata politica del quesito supera i suoi confini giudici.
Non mancano i colpi di scena: L'Abruzzo si sfila dal Referendum contro le trivellazioni e si costituisce in giudizio accanto al Governo contro le altre nove regioni che l'hanno promosso a settembre 2015.
Lunedì 25 gennaio Marche, Basilicata, Liguria, Marche, Puglia, Sardegna e Veneto sollevano il conflitto di attribuzione nei confronti del Parlamento cercando di riabilitare i referendum dichiarati inammissibili. Il Governo boccia la richiesta di election day con le amministrative che permetterebbe di risparmiare 300 milioni di euro.
Chiaro segnale di come il referendum sulle trivelle possa diventare il banco di prova per il governo Renzi.
Ma facciamo un passo indietro: perché si dice no? Le ragioni sono tante e di diversa entità. Il raddoppio delle estrazioni nazionali di greggio e gas coinvolge soprattutto il territorio lucano e le aree limitrofe dell’Appennino meridionale a rischio sismico, in presenza di bacini idrici fondamentali per gli usi irrigui e potabili. Facile immaginare le nefaste conseguenze per le popolazioni. Inoltre il paesaggio verrebbe aggredito e imbruttito per un tempo indefinito, l’aria e l’acqua inquinate massicciamente.
E il mare? Le trivellazioni metterebbero a rischio i settori trainanti di numerose economie regionali, la pesca, l’enogastronomia, il turismo. Per non parlare poi della diffusa tecnica di prospezione geofisica ‘Air-gun' che arrecherebbe danni significativi alla fauna marina.
E quali sarebbero i vantaggi o i millantati vantaggi?
Pochi o nessuno, considerando che il petrolio presente in Italia è alquanto scadente e difficile da estrarre perché situato in profondità. E poi le molte ditte minori che si propongono per trivellare l’Italia sarebbero in grado di gestire i controlli ambientali ed eventuali incidenti?
C’è anche da dire che le royalties, ovvero una percentuale versata dalle compagnie allo Stato sulla base del petrolio o gas estratto, sono calcolate in base ai prezzi medi del mercato del petrolio e del gas e, quindi, sono strettamente legate all’andamento del mercato: se il prezzo del petrolio si abbassa, cala anche il loro gettito.
Il mantra secondo il quale l’estrazione creerebbe occasioni di sviluppo e nuovi posti di lavoro viene messo in discussione persino da una intervistadi Pietro Donmarco a Michele Marsiglia, Presidente di Federpetroli Italia, in cui Marsiglia getta forti dubbi sullo sviluppo locale indotto e causato delle risorse estratte.
Numerosi gli studi che mettono in evidenza rischi e ombre su prospezioni e trivellazioni compiute da associazioni autorevoli come Greenpeace:
Dubbi anche dal mondo scientifico:
O come Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) che nel rapporto tecnico “Valutazione e mitigazione dell’impatto acustico dovuto alle prospezioni geofisiche nei mari italiani”, mette in evidenza i potenziali effetti negativi che l'air-gun potrebbe provocare sulla fauna marina, da quelli fisiologici (danni al sistema uditivo e altre strutture e tessuti corporei) a quelli comportamentali (fenomeni di spiaggiamento).
Sui rapporti tra terremoti e fracking (tecnica per estrarre gas naturale anche da sorgenti non convenzionali come le rocce) ci si interroga da tempo in molti Paesi. Negli Usa diverse regioni sono state colpite da sciami sismici in zone in cui si pratica fracking (Arkansas, Ohio, Oklahoma, Texas) e così pure in Inghilterra, a Blackpool. Scientific American mette in risalto evidenze scientifiche del collegamento tra sisma e attività di trivellazione.
Il Royal Netherlands Meteorological Institute (Knmi) ha pubblicato un elenco di "terremoti indotti" causati dalla produzione di gas nel nord dell'Olanda, registrando 688 eventi di magnitudine massima 3.5 Richter, dal 1986 al 2011, concentrati nella zona di Groningen, dove esiste un campo di gas attivo.
L’elenco e la portata dei rischi è corposo e viene ben riassunto in questi articoli di approfondimento:
Nonostante le richieste di regioni, associazioni e partiti che chiedevano l’election day quindi tempo necessario per affrontare una discussione di merito in tutto il Paese il referendum si celebrerà il 17 aprile. Palazzo Chigi vuol far saltare il quorum e mettere il governo al riparo da una sconfitta più che probabile? Può darsi. Quello di aprile non sarà un semplice appuntamento referendario, gli italiani saranno chiamati a prendere parola sul nostro modello di sviluppo: in un Paese in cui la più grande e urgente opera pubblica da compiere è la messa in sicurezza del territorio, non sarebbe più utile investire in tutela e valorizzazione del paesaggio, turismo e agricoltura di qualità, salvaguardia dei mari e qualità dell’acqua e dell’aria?
Ora tocca a noi, si liberino passioni civili, energie, idee, iniziative, tempo e spazio per raggiungere il quorum e vincere una partita così cruciale della storia del nostro Paese. 

Fonte: Commo.org

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.