La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

lunedì 30 novembre 2015

Sradicare la povertà estrema: un obiettivo “a portata di mano”?

di Teresa Barbieri e Francesco Bloise 
Nel 2015, secondo le stime del Global Monitoring Report della Banca Mondiale, per la prima volta le persone che vivono in condizioni di povertà estrema sono scese sotto il 10% della popolazione mondiale. Se nel 2012 il 12,7% della popolazione globale, quasi 900 milioni di individui, viveva con meno di 1,90 dollari al giorno, oggi il tasso di povertà è sceso al 9,6%: 200 milioni di “poveri estremi” in meno. Lo scorso ottobre, il presidente dell’istituzione di Washington, Jim Yong Kim, all’indomani dell’uscita del rapporto, ha definito questo risultato “il migliore nel mondo” e ha annunciato, con un certo ottimismo, che l’obiettivo di ridurre la percentuale di popolazione mondiale in condizioni di povertà estrema al di sotto del 3 per cento entro il 2030 è quanto mai vicino.


La tabella 1 riporta le stime (le più recenti sono del 2012, mentre per il 2015 sono proiezioni) della Banca Mondiale calcolate in base alla soglia di povertà aggiornata a 1,90 dollari giornalieri. Il rapporto indica come sia il tasso di povertà estrema, sia il numero assoluto di poveri abbiano registrato una riduzione negli ultimi trent’anni, con una decisiva accelerata verso il basso agli inizi degli anni 2000: oggi al mondo i poveri estremi sono circa un quarto di quelli di trent’anni fa. Un ruolo cruciale in questo processo l’hanno sicuramente giocato Cina e India, il cui sviluppo ha portato milioni di persone al di là della soglia di povertà. La riduzione più consistente si è, infatti, registrata nel sud e nell’est del continente asiatico: il tasso di povertà nell’Asia dell’Est è passato da oltre il 60% nel 1990 a circa il 7% nel 2012, e nell’Asia del Sud dal 50,6% al 18,8%. Dagli inizi degli anni Novanta ad oggi, nell’Africa Sub-sahariana il tasso di povertà è diminuito molto più lentamente: dal 56,8 al 42,7% tra il 1990 e il 2012.
La povertà globale è rimasta, lungo il periodo considerato, concentrata in tre regioni: l’Asia orientale, il sud dell’Asia e l’Africa Sub-sahariana. Nonostante ciò, è interessante notare come negli ultimi trent’anni anche la “geografia della povertà” abbia subito dei notevoli mutamenti: se negli anni Novanta metà dei “poveri estremi” viveva nell’Asia orientale e il 12% nell’Africa sub-sahariana, oggi è in quest’ultima regione del mondo, seguita dal sud dell’Asia, che si concentrano i più poveri tra i poveri (fig.1).


Secondo le stime del 2012, circa il 70% dei più poveri al mondo risiede in 10 paesi e, all’interno di questi stessi paesi, il tasso di povertà sperimenta un alto grado di variabilità: dal 6,5% della Cina all’81,1% del Madagascar (fig.2). Sebbene il suo tasso di povertà sia tra i più bassi, l’India è la patria del maggior numero in assoluto di poveri.


Per quel che riguarda le caratteristiche dei Paesi, benché il tasso di povertà estrema sia molto più alto nei passi a basso reddito (43% nel 2012), circa la metà dei poveri vive in paesi a medio-basso reddito, dove il tasso di povertà è del 19%. Questo fenomeno è attribuibile in parte al fatto che tra i paesi che erano classificati come a basso reddito, i più popolosi (Cina, India, Indonesia e Nigeria), seppur in tempi diversi, si sono spostati nella categoria di paesi a medio-basso reddito. Il rapporto della Banca Mondiale rileva, inoltre, che a soffrire di povertà sono perlopiù i paesi sconvolti da guerre e conflitti, oppure dove l’economia è prevalentemente dipendente dall’export di prodotti naturali come caffè, legname e rame.
Le statistiche sulla povertà e gli obiettivi ad esse collegati, risentono, tuttavia, di una serie di problematiche metodologiche che le rendono estremamente sensibili al modo in cui vengono costruite, ad esempio in merito alla scelta dell’anno di riferimento, dei dati utilizzati e dei Paesi inclusi nell’analisi. Se si guarda al target strategico fissato dalla Banca Mondiale di portare entro il 2030 la percentuale di individui in condizioni di povertà estrema al di sotto del 3%, è facile notare come l’idea di esprimere la statistica in termini di popolazione mondiale, includendo anche i paesi avanzati, non sia esente da criticità, per almeno due ragioni. In primo luogo poiché, essendo la linea di povertà assoluta costruita basandosi soltanto su statistiche relative ai 15 Paesi più poveri al mondo, non esistono, nei paesi avanzati, individui al di sotto della soglia di povertà. In secondo luogo poiché, in tal modo, il raggiungimento dell’obiettivo risulta anche legato ad aspetti demografici relativi ai Paesi più ricchi.
Entrando più nel dettaglio, la nuova soglia di povertà di 1.90 dollari al giorno, proposta nel 2014, è stata costruita basandosi sui prezzi del 2011 espressi in parità di potere d’acquisto (PPA), in modo da garantire la comparabilità tra diversi Paesi. La nuova soglia, inoltre, rappresenta un aggiornamento rispetto alla vecchia di 1.25 $, costruita a partire dal livello dei prezzi del 2005 in PPA. In entrambi i casi, le soglie sono state calcolate come media delle 15 linee di povertà dei Paesi più poveri al mondo, espresse in dollari PPA, costruite a loro volta su dati provenienti da differenti fonti e riguardanti i livelli di reddito e/o consumo delle famiglie.
Le stime PPA ottenute basandosi sull’International Comparison Program (ICP), che ha condotto 8 indagini a partire dal 1970, sono state, ad ogni modo, spesso oggetto di critiche, sia per la difficoltà di riuscire a comparare le differenze nei prezzi dei diversi Paesi attraverso l’utilizzo di un unico indicatore, sia per il fatto che, come opportunamente sottolineato da Chen e Ravallion (2010), le indagini ICP sono spesso sbilanciate a favore dei centri urbani, dando vita ad un “Urban Bias”. Tale fonte di distorsione, poi corretta, aveva portato ad una sovrastima del tasso di povertà in Cina di 10 punti percentuali, in quanto erano state considerate soltanto le 11 città più grandi e popolose.
Tra le numerose altre potenziali fonti di distorsione, che rendono molto difficile la produzione di statistiche sulla povertà, è opportuno menzionare quella connessa alla provenienza e alla comparabilità dei diversi dati utilizzati per la costruzione dei diversi indicatori. In particolare, i dati per i diversi paesi si basano principalmente su indagini campionarie, che sono condotte principalmente dagli istituti statistici nazionali ma che presentano notevoli differenze. Le procedure volte all’armonizzazione appaiono, tuttavia, spesso complesse e farraginose. Basti pensare alla notevole quantità di fonti statistiche complementari utilizzate relative a fenomeni macroeconomici, misurati principalmente attraverso la contabilità nazionale, e a quelle relative a fenomeni microeconomici, misurati da indagini campionarie che aggiungono ulteriori margini di errore, legati principalmente alla qualità e omogeneità dei dati.
Un altro aspetto rilevante, sottolineato all’interno del report, riguarda la multidimensionalità della povertà e, dunque, viene messa in discussione l’opportunità di rappresentare un fenomeno così complesso attraverso pochi indicatori sintetici. È facilmente intuibile che le implicazioni metodologiche sono molte e profonde. Secondo gli esperti della Banca Mondiale, un possibile modo per affrontare il problema consisterebbe nell’utilizzare un approccio basato sull’utilizzo di differenti vettori, ognuno connesso alla misura di singole dimensioni della povertà. Indicatori basati su tale metodologia, seppur utili nell’evidenziare aspetti specifici della povertà, risulterebbero, ad ogni modo, di difficile comunicazione e non comparabili con misure basate sul reddito e/o consumo.
In conclusione, riuscire a produrre indicatori affidabili e capaci di cogliere il fenomeno della povertà nella sua complessità è estremamente arduo. Inoltre, prima di condividere l’ottimismo di Jim Yong Kim rispetto al raggiungimento di un traguardo di inestimabile importanza quale la riduzione della povertà estrema occorre considerare che il numero di poveri rimane comunque spaventosamente elevato e che anche chi non è più considerato povero perché è riuscito a valicare la soglia fissata dalla Banca Mondiale rimane molto lontano dagli standard di benessere dei paesi a più alto reddito.

Fonte: Eticaeconomia 

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