di Francesca Sironi
La Francia è ufficialmente in stato d'emergenza dal 20 novembre, ovvero da quando il Senato ha approvato all'unanimità la risoluzione voluta del presidente come risposta “interna” agli attentati del 13 novembre a Parigi,dove sono state uccise brutalmente 130 persone. Cosa significhi concretamente lo stato d'emergenza – destinato a durare almeno altri tre mesi – lo mostrano i numeri divulgati dal ministero dell'Interno: duemila perquisizioni, 300 obblighi di firma, oltre 500 persone sottoposte a fermo da parte della Polizia in due settimane. Il fatto è che 317 fra questi fermati non hanno niente a che vedere con il terrorismo, non hanno mai imbracciato un Kalashnikov, non vogliono punire infedeli e non c'entrano nulla con il Califfato.
Sono invece manifestanti e attivisti che domenica e nei giorni precedenti si erano mobilitati contro il riscaldamento globale e l'inquinamento della Terra in occasione del summit inaugurato sotto la Tour Eiffel il 29 novembre, e che si concluderà il 12 dicembre: Cop21 .
La conferenza per il clima avrebbe dovuto svolgersi in una città in cui è vietato per motivi di sicurezza ogni assembramento, ogni corteo, anche se pacifico o prima autorizzato. In migliaia però hanno sfidato il divieto, chi tenendosi per mano, chi con uno stuolo silenzioso di scarpe sul selciato, chi scontrandosi con la polizia, chi devastando il memoriale di Place de la Republique, come hanno scritto in molti.
La conferenza per il clima avrebbe dovuto svolgersi in una città in cui è vietato per motivi di sicurezza ogni assembramento, ogni corteo, anche se pacifico o prima autorizzato. In migliaia però hanno sfidato il divieto, chi tenendosi per mano, chi con uno stuolo silenzioso di scarpe sul selciato, chi scontrandosi con la polizia, chi devastando il memoriale di Place de la Republique, come hanno scritto in molti.
Quello che si è scritto meno, in Italia, è quanto sta accadendo in queste settimane a Parigi, Seine-Saint-Denis, Rennes, e numerose altre città, e che alcuni media francesi stanno invece cercando di raccontare quotidianamente. Ovvero i piccoli grandi abusi che lo stato d'emergenza concretizza nelle vite di persone che non si aspettavano nulla di simile, nei quartieri, fra i credenti, contro i centri sociali e nelle università.
Sì, anche le università: alla Paul Valery di Montepellier sarebbero state proibite riunioni o iniziative, salvo poi aprire alla partecipazione almeno di una conferenza sul Kurdistan. I veri problemi si vivono fuori dagli atenei però, soprattutto nelle periferie, nei piccoli centri, dove la Prefettura può richiedere procedure d'urgenza, amministrative, che non richiedono prove giudiziarie o giudici o iter legali. Solo interventi diretti degli agenti.
Interventi come quelli che racconta “Lucien” (nome di fantasia, perché teme ripercussioni sul lavoro) a Le Monde, mostrando le foto della sua casa distrutta da una perquisizione notturna della polizia. Prima che potesse aprire, la squadra gli ha distrutto la porta. Lo hanno ammanettato, chiuso in bagno, mentre tagliavano materassi, vestiti, cuscini, ribaltavano intere stanze. Lucien è un musulmano praticante, dalla barba e vestiti tradizionali. Ma non ha mai fatto niente. Tanto che gli agenti non l'hanno nemmeno interrogato, e non hanno trovato nulla nel blitz. Finita l'azione, se ne sono andati com'erano arrivati.
Il giorno dopo lui ha chiesto in commissariato per lo menoun atto che attestasse la perquisizione, per chiedere il rimborso dei danni. «All'ingresso un poliziotto mi ha osato dire: “ma è sicuro che è la polizia ad essere venuta a casa vostra?” E una donna mi ha detto: “Se sono venuti da voi, è perché c'è qualcosa. Non vengono per niente”», racconta. «Vivevo normalmente. Ora ho l'impressione che tutti mi puntino il dito contro. Quando torno a casa, mi guardo alle spalle. Sto diventando paranoico».
Come il suo appartamento, sono stati messi a soqquadro in queste settimane decine di ristoranti, case, locali, sempre sulla base di sospetti, di indizi, ma a volte anche solo di minime segnalazioni, tanto che lo stesso ministro dell'Interno il 25 novembre ha voluto diramare una circolare per ricordare che «lo Stato d'emergenza non è una deroga allo Stato di diritto», anche se il governo francese ha previsto di poter violare la Convenzione europea dei diritti dell'uomo e quindi ha chiesto il 27 novembre alla Ue di potervi derogare. Oltre a proporre di cambiare la Costituzione per prevedere più duri strumenti d'urgenza in caso di attentati.
«Proprio perché le perquisizioni amministrative sono una misura eccezionale, bisogna essere particolarmente attenti alle libertà individuali e i poliziotti o i gendarmi sono tenuti a un comportamento esemplare», ha scritto il ministro Bernard Cazeneuve nella circolare. Non è quello che raccontano però gli attivisti di Rennes, descritti come “appartenenti all'ambiente ecologista radicale” e che hanno riferito di essere stati tenuti a terra, ammanettati, con fucili puntati in faccia, durante una perquisizione.
Dubbi si stanno sollevando non solo in queste ricerche furiose, concentrate su “elementi di disturbo” che spesso hanno poco a che fare con la minaccia fondamentalista, come scriveMedipart - analizzando i rapporti confidenziali di una prefettura - «rivelano oltre a una certa confusione degli obiettivi, un bilancio magro di risultati». Ma anche sulle misure a cui i “perquisiti” vengono spesso sottoposti: obblighi di firma tre volte al giorno in commissariati spesso lontani (che impediscono ai “controllati” di andare a lavorare); in un caso un ragazzo è stato arrestato perché non si sarebbe presentato a uno di questi appuntamenti. Solo che l'ufficio, a cui lui era arrivato puntuale, era chiuso per ristrutturazione.
Oltre agli obblighi di presentarsi alle 9, alle 14 e alle 19 per una firma, ad alcuni è imposto un coprifuoco a casa dalle otto di sera alla mattina. Ad altri l'impossibilità di muoversi verso Parigi. I ricorsi di cinque militanti per il clima di Rennes contro queste misure, però, sono appena stati tutti respinti dal tribunale amministrativo. «Non è stato ammesso alcun contraddittorio sugli elementi che hanno portato alla privazione di libertà dei ragazzi. Il giudice ha fatto blocco con la posizione del ministero sotto lo stato d'emergenza», ha denunciato il loro avvocato, Marie Dosé.
Se mette in discussione movimento e diritti, lo stato d'emergenza è meno duro contro lo shopping: su decisione del sindaco il mercatino di Natale di Strasburgo e la fiera dei santi di Marsiglia non saranno intaccate, anche se potranno causare assembramenti. E anchecontro la propaganda jihadista via web ad oggi è stato inefficace. Forse anche per questo c'è chi lo sta mettendo in discussione. Partendo dalla prima volta in cui fu usato dallo Stato francese, nel 1955, durante la guerra d'Algeria.Con conseguenze terribili.
Fonte: L'Espresso
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