La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 2 dicembre 2015

Domenica aperto. Su 24/7. Il capitalismo all’assalto del sonno

di Giorgio Falco
Spiccano da decenni, nel cielo delle tangenziali, degli svincoli, così connaturati ai nostri parabrezza da essere parte di noi: teloni con le scritte Domenica Aperto o Domenica Sempre Aperto. Difficile dire quale delle due espressioni sia più invasiva.Domenica Aperto vorrebbe sembrare un’informazione, un annuncio neutro, che denota una sorta di naturalezza – provvisoria, da ciclo settimanale – dell’apertura festiva. Dentro Domenica Sempre Aperto percepisco, con l’avverbio messo in mezzo, l’intervento dell’uomo, l’ansia da prestazione cadenzata su ritmi che esulano il calendario stesso. Sempre è indiscutibile, ma come tutti i poteri autoritari, dovendo sottolinearsi con la forza, rivela una crepa già in origine, una mancanza di fiducia verso sé. Domenica Aperto è ambiguo, assegna la teorica possibilità di chiusura della domenica seguente a quella di apertura. Domenica Aperto gioca con l’eccezionalità dell’evento, è la domenica ancora domenica.

Domenica Sempre Aperto non ha voglia di giocare, non è nemmeno più domenica. Il prossimo Sempre – l’apertura ventiquattro ore al giorno, in Italia – è già realtà adottata da centinaia di supermercati. È solo una sperimentazione. L’esito finale dipenderà, più che dalle lotte di lavoratori e sindacati, dalla volontà dei consumatori di resistere o di farsi colonizzare del tutto.
I teloni che inneggiano alla domenica lavorativa mi sono ritornati in mente leggendo il saggio di Jonathan Crary, 24/7 Il capitalismo all’assalto del sonno, uscito per Einaudi. Crary, storico d’arte che insegna alla Columbia University, inizia il proprio libro con la performance del passero dalla corona bianca. L’uccello emigra dall’Alaska e arriva a svernare sulla costa occidentale messicana dopo aver volato per sette giorni, in uno stato di veglia continua. Una resistenza di questo tipo interessa, oltre che agli ornitologi, anche ai ricercatori del Pentagono. Come è possibile che un uccello così esile possa stare sveglio, cibarsi e volare per una settimana di fila, mentre i marines palestrati e vitaminizzati russano ogni notte come poppanti? Lo scopo è avere un soldato vigile per almeno sette giorni di fila. C’è da chiedersi cosa significhi questo stato di veglia, quale sia la consapevolezza del mondo circostante dopo sette giorni insonni. L’obiettivo finale sarebbe una quindicina di giorni, la soglia di resistenza dei topolini da laboratorio, prima che muoiano. Non a caso la privazione del sonno è una forma di tortura. E come spesso capita, dopo l’applicazione in ambito militare e bellico, la performance del volatile potrebbe essere da esempio in campo lavorativo.
Un esperimento finito malissimo in tal senso risale al 2013. Moritz Erhardt, un ragazzo tedesco di ventuno anni, è morto alle sei di mattina, dopo un turno – e un periodo – lavorativo con giornate medie di venti ore presso la sede londinese della Bank of America. I giornali italiani avevano subito rassicurato il lettore: lo stagista era, forse, ammalato di epilessia. E questo per evidenziare come il sistema possa avere qualche esagerazione, d’accordo, ma complessivamente è un organismo sano: è sempre il singolo ad avere problemi. Il capitale fagocita, quando serve, tutto il tempo della vita e, con la Rete, abbatte la differenza tra tempo lavorativo e tempo libero; vive sempre l’emergenza e il controllo, non a caso alcuni segmenti aziendali si chiamano Front Line e War Room. Ma l’emergenza non credo significhi solo vivere un presente asfittico, la trappola del presente continuo. Tra le tante moine del capitale per mostrarsi affidabile, c’è quella di pianificare settimanalmente le proprie attività: in alcune grandi aziende italiane è richiesto, il venerdì pomeriggio, di compilare il cosiddetto planning settimanale. Quella griglia di Excel è un foglio presenza del futuro prossimo, che non prevede la malattia, un futuro minimo slegato da qualsiasi impegno o iniziativa a medio e lungo termine. È la materializzazione del 24/7, “che rinnega ogni legame con il tessuto di ritmi e scansioni periodiche dell’esistenza umana”, ma che tuttavia non rinuncia alla scadenza dei sette giorni. “È l’annuncio di un tempo senza divenire”, una settimana che non invecchia, benché contribuisca alla consunzione del pianeta, e questo poiché il concetto di 24/7 è privo di vita, “totalmente inerte”. Ridimensionata l’importanza del possesso degli oggetti, resta forte la dipendenza dai servizi: “immagini, procedure, sostanze chimiche”. Il libro di Crary non è, come vorrebbero i disincantati un manuale catastrofista da sbertucciare al tepore delle nostre piccole vite. Crary allarga il discorso del 24/7 al cinema, all’arte, e lo fa ricordando Solaris e La jetée. “Quando è avvenuta la fine dello sguardo?” si chiede Godard in Eloge de l’amour. Per risollevare le sorti della Chiesa e delle società occidentali, non serve il Giubileo. Meglio ammettere di avere un problema e formare brigate di preti atletici. I sacerdoti si liberano dell’abito talare, lo usano per oscurare le telecamere di sorveglianza. Poi, come tanti Diabolik, staccano i teloni dai tetti dei centri commerciali. C’è il rischio che questa performance – di cui non si avrà testimonianza filmata, né archiviazione – venga riproposta in una Biennale d’Arte, più che all’Angelus domenicale. Ma Domenica Aperto avrebbe un peso non solo simbolico, e noi, quasi felici, potremmo credere che l’immagine del telone nel cielo d’Italia sia davvero, per il capitalismo, un’immagine completamente inutile.

Fonte: Le parole e le cose

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