La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 2 dicembre 2015

Guerra e clima

di Silvia Ribeiro 
Fino all’11 di dicembre si riunisce a Parigi la ventunesima Conferenza delle Parti (Cop21) della Convenzione quadro delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici (Unfccc), nella quale si annuncia un nuovo accordo globale per combattere [il cambiamento climatico]. In un altro articolo spiego che non è questo che in realtà accadrà (Crónica de un desastre climático anunciado, La Jornada, 14/11/15, qui tradotto Cronaca di un disastro climatico annunciato).
Al contrario, si consoliderà un sistema volontario e deciso a livello nazionale con il quale gli impegni che i paesi dicono di assumere, ci garantiscono che dal 2050 in poi il riscaldamento globale raggiungerà livelli drammatici, arrivando probabilmente a raddoppiare, nel 2100, l’aumento massimo di 2 gradi centigradi, che, vista la gravità, è quanto l’Onu ha stabilito come massimo aumento tollerabile.
Gli attentati del 13 novembre a Parigi, con centinaia tra morti e feriti, hanno cambiato violentemente lo scenario esterno, ma dentro la Cop21 tutto rimane come prima. Il governo francese si è avvalso di questo deplorevole e grave contesto per annullare molte marce ed azoni pubbliche di protesta contro gli affari legati al clima, adducendo che può garantire la sicurezza solamente alla Cop21. Tuttavia non ha annullato eventi sportivi, i mercati natalizi e altri simili eventi pubblici. Sarebbe assurdo pensare che gli attentati siano successi per impedire le proteste – alle quali ci si aspettava [la partecipazione] di migliaia di persone, alcune molto ordinate, altre più provocatorie -, tuttavia sono stati utili per renderle illegali.
Parallelamente a una forte riduzione delle libertà civili delle persone comuni, il governo francese, assieme agli Stati Uniti, bombarda selvaggiamente e intensifica la guerra in Siria, con molte vittime civili segnalate o meno, presumibilmente per combattere lo Stato Islamico (IS). È interessante notare che in Siria non vengono attaccate le installazioni petrolifere controllate dall’IS, [un’azione] che potrebbe tagliare una delle sue fonti di sostentamento.
Allo stesso tempo, la Turchia, tradizionale alleato degli Stati Uniti, in circostanze più che confuse, ha abbattuto un aereo della Russia lungo il confine con la Siria, malgrado sia un paese che pure è in guerra contro l’IS. L’abbattimento è avvenuto“accidentalmente” quando la Russia ha progettato di collaborare con la Francia contro l’IS: un avvicinamento scomodo per gli Stati Uniti, per il suo conflitto geopolitico ed economico con la Russia. Anche perchè, secondo molti osservatori,gli Stati Uniti sono all’origine di quello che oggi si chiama Stato Islamico, avendo dato sostegno, nella regione, a gruppi armati e creato le cause per la sua nascita. Un fattore insidioso che entra ed esce dalla scena internazionale in momenti chiave per gli Stati Uniti, come precedentemente è successo con Osama Bin Laden.
Tutto concorre ad esacerbare la guerra, che va oltre la Siria, e a creare un ambiente teso e repressivo per i cittadini, che giustifica l’imposizione di “Leggi Patriottiche” modello Washington. Potrebbero sembrare dati isolati, però sono collegati, non solo in termini repressivi e geopolitici, ma anche con il cambiamento climatico, le sue cause e i suoi impatti.
Collin Kelley e i ricercatori del Lamont-Doherty Earth Institute della Colimbia University, nel Proceedings of the Nacional Academy of Sciences degli Stati Uniti, nel mese di marzo 2015 hanno pubblicato un articolo che dimostra che il cambiamento climatico globale è stato la causa della forte siccità che ha devastato la Siria nel periodo 2007-2010, gli anni più secchi mai rilevati: situazione che ha preceduto le rivolte e i conflitti armati dal 2011. La regione soffriva già di periodi di siccità, ma non così estremi e prolungati. Si seccarono tutte le colture e morì l’80 per cento del bestiame da pascolo, finirono le sementi e più di 1,5 milioni di contadini dovettero emigrare nelle città. [I ricercatori] non affermano che le rivolte siano state una diretta conseguenza del cambiamento climatico, però [affermano] che è stato un fattore che le ha gravemente esasperate.
Allo stesso tempo, le forze armate e le guerre sono tra i maggiori responsabili di emissioni di gas serra e, pertanto, [anch’esse] responsabili del cambiamento climatico. Le sanguinose guerre per il petrolio e per il controllo dei territori che lo possiedono – come la Siria – sono un mostro che si morde la coda. Guerre per il petrolio, il quale causa il cambiamento climatico; petrolio che sostiene le guerre le quali, esacerbate dal caos climatico, richiedono più petrolio.
Nick Buxton, del Transnational Institute, definisce le forze armate “l’elefante bianco a Parigi”: nel testo dei negoziati della Cop21, la parola “militare” non è mai menzionata. Tuttavia, il Dipartimento della Difesa (DoD) degli Stati Uniti è il maggior consumatore di petrolio e responsabile di emissioni di gas serra degli Stati Uniti, paese che a sua volta è lo storico principale responsabile di emissioni di gas serra a livello globale e consuma il 25 per cento dell’energia mondiale.
Eppure, le sue forze armate non dichiarano emissioni.
Nel 1997, durante le trattative delProtocollo di Kyoto, gli Stati Uniti hanno ottenuto che il consumo e le emissioni delle forze armate venga considerato come una questione di sicurezza nazionale, che [quindi] non si possano né limitare né considerare. Questo nonostante il fatto che, se si raffronta il consumo di petrolio solo del DoD con il consumo totale per paese, solamente 35 paesi superano quella quantità.
Le tessere del gioco sono più visibili che mai, ma la COP21 non le discuterà. Al contrario, i principali responsabili del cambiamento climatico – imprese petrolifere, agronegozi ed altri – saranno seduti tra le delegazioni ufficiali e, in nome della sicurezza (nazionale, militare, climatica, alimentare), concorderanno che si continui a consumare petrolio e ad emettere gas, che, affermano, sarà “compensato” con i mercati di carbonio e con quelli delle tecnologie a rischio come quella nucleare e la geo-ingegneria.
È naturale che hanno bisogno di zittire le proteste: spengono il fuoco con la benzina.

Articolo pubblicato il 28/11/2015 su jornada.unam 
Traduzione di Daniela Cavallo per Comune
Fonte: comune-info.net 

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