di Paola Giaculli
Molte sono le voci in Germania che si indignano di fronte alle aggressioni di uomini “di origine araba e nordafricana“ che hanno assalito decine di donne alla stazione di Colonia, gridando allo scandalo del sessismo praticato in altre culture, specialmente islamiche.
L’accoglienza sarebbe dunque da riconsiderare, per molti e molte – una procedura da sottoporre a severi controlli. E molti invocano respingimenti immediati. Molte e molti, a destra, si scoprono improvvisamente femministi, quando è in gioco l’onore e la dignità della donna bianca. Che però non è tema di discussione e nemmeno causa di cotanta indignazione quando il colpevole è per così dire, biologicamente tedesco, o visto dal punto di vista italiano, europeo o occidentale.
Sia in Germania che in Italia spuntano, come tante Fallaci dell’ultimo infelice periodo, tali femministe/i di destra che non si sognerebbero mai di difendere una donna in caso di stupro “nostrano“: “se l’è cercata”, direbbero, oppure esortano, la prossima volta “abbottonatevi la camicetta“, come dice l’eloquente titolo di un libro di una sedicente femminista Birgit Kelle, che scrive sul magazine online Focus.
La Germania come tutti gli altri paesi occidentali vanta purtroppo percentuali da brivido in quanto a violenze domestiche e femminicidi (2011: 312), termine ancora purtroppo non in uso in questo paese, che a giudicare dalle opinioni espresse da molti in questi giorni, si ritiene sia il paradiso delle donne o dell’emancipazione delle donne. Un mondo libero dal sessismo che invece non esiste nella realtà, fanno d’altra parte notare molte femministe vere, come rilevano le statistiche che i media per lo più tacciono, come i circa 200 stupri stimati nella cattolicissima Baviera durante l’annuale appuntamento dell’Oktoberfest a Monaco, in cui la rozzezza, la brutalità si coniugano con le inevitabili molestie e violenze perpetrate nei confronti delle donne tra una birra e l’altra.
Ma il coraggio di denunciarli manca qui come altrove: fenomeno purtroppo noto, viste le pressioni a cui viene sottoposta la vittima che denuncia il suo violentatore, che però, in diversi casi, a detta dei molti giudici che sospendono il procedimento, non ha opposto (sufficiente) resistenza, in modo tale da rendere necessaria la costrizione violenta dello stupratore, non essendo l’atto sessuale di per sé perseguibile. Il „semplice“ NO non basta a far sussistere il fatto! E nell’87 percento dei casi non vi sono condanne. Questa situazione giuridica, tra gli altri impedimenti del codice penale in questo senso, non ha permesso che la Germania firmasse la Convenzione di Istanbul del 2014 per la prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica, denunciano le blogger femministe Stefanie Lohaus e Anne Wizorek.
Queste deplorano la cosiddetta rape culture, la cultura dello stupro, diffusa trasversalmente ovunque, che viene tollerata in Germania come altrove. Le battute misogine, sessiste, le “bravate” dell’Oktoberfest, come del Carnevale di Colonia vengono catalogate come “normale” corredo dell’”allegria” dell’evento, non sono tema pubblico, tanto meno considerato come un attacco sistematico alle libertà che offre questa, per così dire, liberale società. Eppure all’Oktoberfest abusi simili agli eventi di Colonia sono all’ordine del giorno, come scrivevano le giornaliste Beisel e Wild in un loro articolo sulla Süddeutsche Zeitung, con insulti sessisti a chi rifiuta le “cortesie” di molestatori, con passaggi forzati tra schiere di uomini svelti di mano.
Non è un caso come anche politici in vista cadano nella tentazione di manifestare la propria virilità quando si trovano di fronte ad una interlocutrice: l’allora capogruppo liberale Brüderle, Fdp, allora al governo con il partito di Merkel Cdu, venne nel 2013 venne denunciato pubblicamente da una giornalista di cui l’incauto aveva goffamente apprezzato il decolleté, ritenendo che di fronte a una donna, indipendentemente dalla posizione degli interlocutori, dalla situazione e dal livello di intimità, l’uomo debba per forza comportarsi come se decenni di lotte per l’uguale dignità delle donne non avessero lascia traccia nelle loro teste.
Ma c’è davvero bisogno di ricordare a Lucia Annunziata*, per tornare allo scalpore suscitato in Italia, che il sessismo non è prerogativa dell’Islam? Ma quante streghe ha mandato al rogo la cultura cristiana? E quanta misoginia diffusa nella “cattolicissima” Italia? I femminicidi sono forse un capitolo chiuso? Per dirla terra terra e restare nel Paese del Vaticano, le donne in Italia NON sono mai state nel “migliore” dei casi palpeggiate sull’autobus o in metro? O destinatarie di gesti volgari per strada? Che forse è un fenomeno che compare con i migranti? Basta muoversi da sole, specie se di sera, per essere vittima o oggetto di osservazioni o “complimenti” indesiderati, addirittura da parte di tassisti, o addirittura di forze dell’ordine, come si vede in un recente video in internet. E non vi siete mai chieste guidando da sole in autostrada come fanno i camionisti a riconoscere che siete donne e che cavolo hanno da strombazzare e giocare con i fari? Ma dove vive Annunziata? O ci si ricorda di essere femministe, fregandosi di quante donne sono vittima di violenze in Europa, solo quando si tratta di indire crociate contro l’Islam? Quanto fervore fondamentalista nell’evocare addirittura attacchi sistematici alla civiltà europea!
A spingersi così lontano in Germania, almeno in termini così espliciti, e ad assumere posizioni estremamente razziste sono in primo luogo il movimento fanatico Pegida (contro la supposta islamizzazione dell’occidente) e il partito AfD, Alternativa per la Germania, che oscilla tra l’otto e il dieci percento.
Ma la strumentalizzazione del corpo delle donne e del femminismo a fini razzisti è fenomeno purtroppo diffusissimo – e non nuovo – nella “civilissima” Germania e anche nel resto dell’Europa. Pare che i diritti delle donne vadano fatti valere solo quando solo “gli altri”, quelli dalla pelle un po’ più scura, a metterli in discussione. In una guerra tra uomini, verrebbe da dire, su chi ha il diritto di possedere le autoctone (nel caso dei bianchi colonizzatori questo pare(va) essere un diritto esigibile anche sulle autoctone da, per così dire, “colonizzare”). Ma anche in questo caso il soggetto in discussione o che interessa non sono le donne, ma la difesa di una “purezza”, di una civiltà ritenuta superiore. In una fase di chiusura di frontiere, anche la violenza contro le donne può far comodo.
In questo scomposto urlare, le vittime della violenza non contano, scriveMargarete Stokowski su SPIEGEL online. Un successo della “narrativa razzista dell’uomo nero che violenta la donna bianca”, deplora la pubblicista Antje Strupp, che auspica che il razzismo latente non giunga ora a una piena legittimazione.
C’è ancora qualcuno che si ricorda degli stupri etnici perpetrati dai cristiani ortodossi serbo-bosniaci nei confronti di ragazze e donne bosniache musulmane?
Fonte: inchiesta online
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