La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

lunedì 11 gennaio 2016

La Nuova Geo-Economia

di Joseph Stiglitz
L’anno scorso è stato un anno memorabile per l’economia globale. Non solo i risultati conseguiti nel complesso sono stati deludenti, ma nel sistema economico globale si sono verificati profondi cambiamenti – sia in bene che in male.
Degno di nota è stato l’accordo sul clima raggiunto a Parigi il mese scorso. Di per sé, l’accordo è ben lungi dall’essere sufficiente a limitare l’aumento del riscaldamento globale al target di 2º C al di sopra del livello pre-industriale. Ma ha messo tutti sull’avviso: il mondo si muove, inesorabilmente, verso un’economia verde. Un giorno non troppo lontano, i combustibili fossili saranno in gran parte una cosa del passato. Così chi investe in carbone oggi lo fa a suo rischio e pericolo. Con una quota maggiore di investimenti verdi venuti alla ribalta, coloro che li finanziano, dobbiamo sperare, controbilanceranno la potente lobby dell’industria del carbone, che è disposta a mettere a rischio il mondo per promuovere i propri miopi interessi.
Infatti, l’abbandono di un’economia ad alto tenore di carbonio, dove spesso dominano gli interessi di carbone, gas e petrolio, è solo uno dei diversi importanti cambiamenti nell’ordine geo-economico globale. Ce ne sono molti altri inevitabili, data la quota crescente di produzione e domanda globale proveniente dalla Cina. La New Development Bank, istituita dai BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa), è stata avviata nel corso dell’anno, diventando la prima grande istituzione finanziaria internazionale guidata da paesi emergenti. E, nonostante la resistenza del presidente americano Barack Obama, è stata istituita anche l’Asian Infrastructure Investment Bank a guida cinese, che sarà avviata questo mese.
Gli Stati Uniti hanno agito con maggiore saggezza per quel che concerne la valuta cinese. Non hanno ostacolato l’ammissione del renminbi al paniere delle valute che costituiscono asset di riserva del Fondo Monetario Internazionale, i Diritti Speciali di Prelievo (DSP). Inoltre, circa cinque anni dopo che l’amministrazione Obama ha accettato modeste variazioni nel diritto di voto della Cina e di altri mercati emergenti presso il Fondo Monetario Internazionale – un piccolo cenno d’assenso alle nuove realtà economiche – il Congresso degli Stai Uniti ha finalmente approvato le riforme.
Le decisioni geo-economiche più controverse dello scorso anno hanno riguardato il commercio. Quasi inosservato dopo anni di colloqui saltuari, è stato sepolto tranquillamente il Doha Development Round dell’Organizzazione Mondiale del Commercio – avviato per correggere gli squilibri negli accordi commerciali precedenti che avevano favorito i paesi sviluppati. L’ipocrisia americana – che sostiene il libero commercio ma rifiutandosi di abbandonare i sussidi sul cotone e altre materie prime agricole – aveva posto un ostacolo insormontabile per i negoziati di Doha. Al posto di negoziati commerciali mondiali, gli Stati Uniti e l’Europa hanno montato una strategia del tipo “divide et impera”, basata sulla sovrapposizione di blocchi commerciali ed accordi.
Di conseguenza, ciò che si riteneva essere un regime di libero scambio globale ha lasciato il posto ad regimi commerciali controllati discordanti. Gli scambi commerciali per gran parte delle regioni del Pacifico e dell’Atlantico saranno disciplinati da accordi, della lunghezza di migliaia di pagine e piene di complesse norme di origine che contraddicono i principi fondamentali di efficienza e la libera circolazione delle merci.
Gli Stati Uniti hanno concluso trattative segrete su quello che potrebbe rivelarsi l’accordo commerciale peggiore degli ultimi decenni, il cosiddetto Trans-Pacific Partnership (TPP), e oggi affrontano una dura battaglia per la sua ratifica, poiché tutti i principali candidati presidenziali Democratici e molti dei Repubblicani gli si sono opposti con fermezza. Il problema non è tanto con le disposizioni commerciali dell’accordo, ma riguardo al capitolo “investmenti”, che pone seri vincoli su ambiente, salute, regolamentazione della sicurezza, ed anche sui regolamenti finanziari con impatto macroeconomico significativo.
In particolare, il capitolo offre agli investitori stranieri il diritto di citare in giudizio i governi in tribunali internazionali privati quando ritengono i regolamenti governativi in contrasto con i termini del TPP (incisi su più di 6.000 pagine). In passato, tali tribunali hanno interpretato l’esigenza che gli investitori stranieri ricevano un “trattamento giusto ed equo” come motivo per abbattere nuove norme governative – anche se esse sono non-discriminatorie ed adottate semplicemente per proteggere i cittadini da danni eclatanti scoperti di recente.
Mentre il linguaggio è complesso – provocando cause costose che contrappongono potenti corporazioni contro governi con scarsi finanziamenti – anche le norme a tutela del pianeta da emissioni di gas serra sono vulnerabili. Gli unici regolamenti che appaiono sicuri sono quelli concernenti le sigarette (le cause intentate contro Uruguay e Australia per richiedere una etichettatura minimale sui rischi per la salute avevano attirato troppa attenzione negativa). Ma rimane una serie di domande sulla possibilità di azioni legali in una miriade di altre aree.
Inoltre, la condizione di “nazione più favorita” assicura che le aziende possano rivendicare il miglior trattamento tra tutti quelli offerti dai trattati di un paese ospitante. Il che provoca un livellamento verso il basso – esattamente il contrario di ciò che ha promesso il presidente americano Barack Obama.
Anche il modo in cui Obama ha sostenuto il nuovo accordo commerciale ha mostrato quanto la sua amministrazione sia fuori dal mondo dell’economia globale emergente. Ha ripetutamente detto che il TPP avrebbe determinato chi – America o Cina – avrebbe scritto le norme commerciali del XXI secolo. L’approccio corretto è quello di arrivare a tali norme insieme, ascoltando tutte le voci, e in modo trasparente. Obama ha cercato di continuare a svolgere le attività come al solito, per cui le norme che disciplinano il commercio globale e gli investimenti sono scritte da aziende americane per aziende americane. Questo dovrebbe essere inaccettabile per chiunque vincolato a principi democratici.
Coloro che cercano una maggiore integrazione economica hanno una responsabilità particolare nell’essere forti sostenitori delle riforme di governance globale: se l’autorità su politiche interne viene ceduta a organismi sovranazionali, poi la formulazione, l’attuazione e l’applicazione delle norme e dei regolamenti devono essere particolarmente sensibili alle preoccupazioni democratiche. Purtroppo, nel 2015 questo non è stato sempre il caso.
Nel 2016, dovremmo sperare nella sconfitta del TPP e nell’inizio di una nuova era di accordi commerciali che non premino i potenti e puniscano i deboli. L’accordo sul clima di Parigi può essere foriero dello spirito e della mentalità necessari a sostenere una vera cooperazione globale.

Fonte: Project Syndicate

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