La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

lunedì 5 settembre 2016

Quando mancano le scienze sociali: quelle narrative distorte dal terremoto in Italia centrale

di Giuseppe Fiorino 
Il terremoto dello scorso 24 agosto che ha colpito Amatrice, Accumoli, Arquata del Tronto e altri piccoli comuni tra Lazio, Marche, Umbria e Abruzzo è stato raccontato sul web tramite l’approccio esclusivo delle scienze dure che, seppur in grado di fornire fondamentali strumenti di sapienza tecnica e di policy, raccontano solo una parte della complessità di un disastro e il rischio relativo. Si è parlato molto della necessità di adeguare il tessuto edilizio a vincoli antisismici e a codici e regolamentazioni da far rispettare in maniera ferrea.
Restano, tuttavia, ancora escluse dal dibattito quelle variabili sociali e umane che intervengono in uno scenario di gestione del rischio e del disastro, in particolare in fenomeni drammatici, a larga scala e largamente percepiti come i terremoti.
Cercherò di chiarire perché un approccio esclusivamente tecnicistico, da un lato, non coglie tutto il novero delle variabili in gioco e, dall’altro, contribuisce a riprodurre narrative stantie sui classici stereotipi sull’Italia e gli italiani.
Affermo pertanto la necessità di raccontare il disastro da angolature differenti e molteplici, in grado di cogliere la diversità e la complessità della sfera sociale senza riduzionismi e banalizzazioni. Di seguito espongo alcune brevi riflessioni, forse ancora disordinate, su alcuni articoli internazionali apparsi online dopo il sisma del 24 agosto.
La scienza adatta?
Su IRIN, portale di approfondimento su contesti emergenziali e conflitti, Gully (2016) si concentra sulla conservazione del patrimonio culturale, sostenendo la necessità sacrosanta per l’Italia di investimenti nell’adeguamento e consolidamento antisismico. Allo stesso modo, gli abitanti devono comunque impegnarsi nell’accrescere la loro consapevolezza sul rischio sismico.
A tal proposito l’articolo cita Gian Michele Calvi, professore di ingegneria sismica allo IUSS di Pavia. Calvi sostiene che la maggior parte degli edifici nella zona interessata dal sisma sono di proprietà di persone anziane o sono seconde case per cui, insomma, non ci sarebbe stata una grande motivazione nell’investire in strutture antisismiche. Gian Michele Calvi ritiene dunque necessario creare delle forme significative di incentivo per abitanti e proprietari.
Non c’è niente di particolarmente errato in queste affermazioni, se non il fatto che esse siano parziali e non considerino le varie forme di vulnerabilità sociale che incidono ampiamente sul rischio sismico. Lo spiega bene — e finalmente — Coppola (2016) su Gli Stati Generali. L’amministrazione pubblica che dovrebbe erogare l’incentivo non ha certamente mostrato una generale capacità organizzativa e di controllo, un sistema di governance chiaro, semplice e inclusivo, o un’abilità nel maneggiare fenomeni complessi come i disastri e la gestione del rischio.
Le comunità locali sono inoltre ampiamente diversificate e incentivi economici risultano inefficaci se non accompagnati da un processo mutuale e continuo sulla consapevolezza dei propri rischi.
Come rendere consapevoli, e di conseguenza come contribuire a proteggere, ad esempio, i migranti stipati in un appartamento di una cooperativa? O come proteggere il diritto alla sicurezza di dieci venditori di rose in un sottoscala sulla Tiburtina? Come far capire l’importanza di un’opera di adeguamento antisismico a una persona anziana con pensione al minimo? E come confrontarsi con una cooperativa squattrinata che si occupa di assistenza ai disabili? Quale sarebbe la loro soglia di consapevolezza? Come raggiungerla? E ancora, come rapportarsi con dei proprietari che hanno già fatto adeguamento antisismico ma sono circondati da un tessuto edilizio mal tenuto che li pone comunque a rischio in caso di crolli e danneggiamenti?
Sono solo alcuni tra i numerosissimi esempi che devono essere messi sul piatto prima di parlare di incentivi e strategie ma che faticano ancora a trovare stabilmente spazio in analisi tecniche che, seppur corrette sulla carta, non possono essere generalizzabili.
Aggiungo inoltre che, nel caso specifico, Calvi è l’esperto che ha di fatto promosso e diretto i lavori del progetto CASE all’Aquila (Calvi e Spaziante, 2009) che, ricordiamo, rappresenta ancora oggi una delle soluzioni abitative post-disastro maggiormente criticate a livello globale. 19 nuovi insediamenti sparsi distribuiti in tutta L’Aquila e paradossalmente costruiti, tramite un approccio top-down superficiale e frettoloso, come misura temporanea per la gestione emergenziale ma con finalità permanenti (Alexander, 2013). Un progetto che ha modificato radicalmente l’uso del suolo, il paesaggio e l’organizzazione spaziale, senza servizi pubblici, trasporti pubblici efficienti e spazi per la socializzazione, tutti fattori essenziali in un tessuto sociale lacerato (Calandra, 2012; Fois e Forino, 2014; Forino, 2015). Un progetto, pertanto, che non ha in alcun modo tenuto conto della sfera sociale e della sua complessità se non, forse, nella misura riempitiva di un po’ di verde attrezzato. In base a quale titolo, pertanto, si ritiene necessario selezionare esperti come Gian Michele Calvi, che nel suo operato all’Aquila ha messo da parte decenni di ricerca sociale progressista e inclusiva applicata ai disastri, per parlare di eventuali responsabilità di cittadini e abitanti?
Burocrazia e stereotipi
Un altro pezzo interessante è quello di Hooper (2016) che, sul Guardian scrive: «La burocrazia italiana rispecchia i valori della società, in particolare il disprezzo generalizzato degli italiani per le regole di ogni tipo e la prevalenza di funzionari pigri e politici apatici, se non addirittura corrotti».
La corruzione sistematica permea certamente gran parte dei livelli politici e istituzionali italiani, in particolare tramite la sovrapposizione tra lobby finanziarie ed economiche, mafie di vario genere, e influenti cariche pubbliche. Nel quadro politico italiano le attività illegali sono spesso usate come longa manus di sistemi istituzionalmente “legali” che stuprano i territori attraverso inquinamento industriale, rischio ambientale o uso privatistico delle risorse naturali, il tutto con il beneplacito delle istituzioni legali, sebbene formalmente queste mostrino un contrasto apparente. Questo, naturalmente, si riflette anche nelle fasi post-disastro.
La letteratura scientifica nazionale e internazionale sull’Italia è piena di esempi di ricostruzione post-sisma, ma non solo, guidate da lobby imprenditoriali e finanziarie, inserite all’interno di gangli politici conniventi al fine di aumentare i costi della ricostruzione e i relativi fondi da erogare (Caporale, 2010).
Questo processo è stato in molti casi spalmato su diversi decenni ed è stato manovrato da una cerchia di personaggi influenti del mondo politico, industriale e finanziario, lasciando briciole al resto della comunità e contribuendo ad esacerbare emigrazione, disoccupazione, ingiustizia sociale e spaziale. In una sorta di ricostruzione perenne associata a misure assistenzialiste e “sviluppiste” nel Mezzogiorno, stiamo ad esempio ancora inviando fondi per il Belice, l’Irpinia e il Molise, con miglioramenti limitati dal punto di vista socioeconomico, culturale e lavorativo, nonché della partecipazione alla vita pubblica e istituzionale.
Tuttavia, l’Italia non è una pecora nera all’interno di un gregge supposto innocente e virtuoso, comprendente Stati Uniti, Unione Europea, Australia o stati autoritari di tutto il mondo. Anche la politica mondiale attuale dimostra infatti che concetti come “legale” e “illegale” hanno sempre più sovrapposizioni che differenze, con il “legale” che utilizza — sebbene apparentemente lo colpevolizzi — l’“illegale” per perpetrare disuguaglianze sociali e spaziali o trovare capri espiatori per eludere responsabilità pubbliche. Guerre, sfruttamento, neo-colonialismo, razzismo, violenze sui richiedenti asilo, la propaganda dello scontro di civiltà lo dimostrano ogni giorno, a ogni scala e latitudine. L’Italia è quindi perfettamente inquadrata all’interno di un sistema globale comune, modellato da pratiche neoliberiste ed escludenti.
Inoltre, l’articolista del Guardian non considera l’altro lato della ricostruzione post-disastro in Italia. In molte aree post-sisma il paese ha vissuto momenti di forte mobilitazione sociale nata per rivendicare democrazia, partecipazione, diritti e leggi, come ad esempio la lotta per il diritto al lavoro e a una pronta ricostruzione in Belice con Danilo Dolci, in Campania e Basilicata con i primi comitati popolari nelle tendopoli (Ventura, 2010), i piani di ricostruzione dal basso di alcune frazioni aquilane (Forino, 2015), iniziative comunitarie (Fois e Forino, 2014) e pratiche di partecipazione (Calandra 2012) all’Aquila, o come la mobilitazione di base in Emilia (Hajek, 2013). Hooper (2016) pertanto riesce a oscurare, probabilmente perché non ne è a conoscenza, le richieste di trasparenza, democrazia e leggi che, nella ricostruzione post-disastro, si sono opposte alla corruzione sistematica e all’esclusione dei cittadini.
Parlare di “valori di una società” è pertanto sempre problematico, soprattutto quando si prova a marchiare un intero sistema nazionale e i suoi abitanti in un evento complesso e tragico come un disastro. I valori sono sempre individuali, sebbene mediati dal contesto in cui essi vengono espressi e attuati, e sostenere che i valori della società italiana siano quelli della pigrizia, della corruzione e dell’aggirare le regole è certamente affermazione stereotipata e discriminatoria.
Un appello per le scienze sociali
Quanto brevemente descritto ha presentato solo due delle numerose narrative del sisma che ne hanno proposto analisi parziali e limitanti.
Mentre esperti e professionisti come sismologi, geologi, ingegneri, architetti, urbanisti, economisti sono figure fondamentali nell’assistere le istituzioni nella creazione di policy e strumenti effettivi ed efficaci per la riduzione del rischio sismico, essi devono essere supportati — e devono mutualmente supportarle— da analisi rigorose dell’ampio spettro di questioni sociali che intervengono nel post-disastro. Tale analisi include ad esempio l’evoluzione storica, le traiettorie di sviluppo locale, le esigenze specifiche di persone con disabilità, bambini o anziani, l’uso di specifiche strategie di comunicazione, la creazione e la valorizzazione di reti formali e informali nel dialogo tra cittadini e istituzioni (Ventura e Carnelli, 2015).
Antropologia, sociologia, comunicazione e media, geografia e scienze del territorio sono tra quelle scienze altrettanto fondamentali nell’aggiungere un punto di vista umano e sociale sul disastro, e nel decostruire racconti parziali e superficiali, come questi brevemente considerati nel testo.

Bibliografia

Alexander, D.E., (2013), An evaluation of the medium-term recovery process after the 6 April 2009 earthquake in L’Aquila, central Italy. Environmental Hazards, 12 (1), 60– 73.

Calandra, L. M. (2012). Territorio e democrazia. Un laboratorio di geografia sociale nel doposisma aquilano. Edizioni L’Una.

Calvi, G. M., Spaziante, V. (2009). La ricostruzione tra provvisorio e definitivo: il Progetto CASE. Progettazione sismica, 3, 227-252.

Caporale, A. (2010). Terremoti spa. Dall’Irpinia all’Aquila. Così i politici sfruttano le disgrazie e dividono il paese. Rizzoli.


Fois, F., Forino, G. (2014). The self‐built ecovillage in L’Aquila, Italy: community resilience as a grassroots response to environmental shock. Disasters, 38(4), 719-739.

Forino, G. (2015). Disaster recovery: narrating the resilience process in the reconstruction of L’Aquila (Italy). Geografisk Tidsskrift-Danish Journal of Geography, 115(1), 1-13.


Hajek, A., (2013), Learning from L’Aquila: grassroots mobilization in post-earthquake Emilia-Romagna. Journal of Modern Italian Studies, 18(5), 627-643.


Ventura S., (2010), Non sembrava novembre quella sera, Mephite.

Ventura S., Carnelli, F., (eds.), (2015), Oltre il rischio sismico. Valutare, comunicare e decidere oggi, Carocci.

Questo articolo è una versione modificata e tradotta in italiano dell’originale in inglese,The earthquake in Central Italy: stereotyped narratives and missing social science. pubblicato il 27 Agosto su Disasters & Development della University of Newcastle, ripubblicato il 28 Agosto su ENTITLE blog della rete di ricercatori di ecologia politica ENTITLE, e ripubblicato in italiano come Il terremoto in Italia centrale: narrazioni stereotipate e le scienze sociali mancanti sulla pagina Facebook “Protezione civile e riduzione del rischio da disastri”.

Fonte: lavoroculturale.org 

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