di Nando Dalla Chiesa
Sono tra coloro che vogliono cambiare la Costituzione. Non ho mai detto che la nostra è la più bella Costituzione del mondo. Anche se è una Costituzione di profonda democrazia e coerenza. Ha il merito di avere tenuto conto dei drammi della storia, dalla guerra alla dittatura, compresa quella trionfante sulle ali di libere elezioni. Ha il merito di essere fondata su un principio, quello del rispetto (per i più deboli, per le istituzioni, per la patria, per le generazioni a venire…), mai nominato ma suo filo conduttore.
Ha il merito di essere scritta bene e con poche parole, perché chi crede nell’ onore delle leggi scolpisce le parole nella pietra, non fa regolamenti di condominio. Ha però i limiti che le derivano proprio dai tempi in cui fu scritta. Nel dopoguerra ancora non esisteva quella cosa chiamata televisione che avrebbe sconvolto le forme della comunicazione e influenzato alla radice il sistema delle libertà, in una società che non per nulla viene chiamata “della comunicazione”.
I costituenti non potevano immaginarla. Così come non potevano immaginare che di lì a qualche decennio il pianeta avrebbe dovuto affrontare il problema della sua sopravvivenza e della finitezza delle sue risorse. Nemmeno era alle viste il poderoso invecchiamento della popolazione, il rovesciamento delle piramidi anagrafiche, così da portare in primo piano i diritti di una quota crescente di popolazione, quella anziana. Ancora, nessuno avrebbe immaginato l’ esplosione informatica, che ha originato questioni enormi di libertà, di diritti personali, e ancora di informazione. E si potrebbe continuare, a partire dalle questioni poste dalle ondate migratorie, che all’ epoca l’ Italia esportava.
È vero, le Costituzioni sono architetture elastiche, portatrici di una generalità di principi, e a cui non è consigliato di seguire passo passo la realtà. Per quello c’ è la legge ordinaria. E in effetti la nostra Costituzione riesce in genere a soddisfare il bisogno di grandi riferimenti normativi davanti agli strappi della storia, o ai salti dei fenomeni demografici o tecnologici.
Ma davvero, giusto per fare un esempio, nella drammaticità contemporanea della questione ambientale possiamo accontentarci del secondo comma dell’ articolo 9, che stabilisce che la Repubblica “tutela il paesaggio”? Si hanno presenti i dettati costituzionali più avanzati (si veda, per puro confronto, l’ art. 24 della costituzione sudafricana)? Davvero davanti al ruolo delle televisioni, non per nulla oggetto di inesausta contesa politica, possiamo accontentarci del celebre (e meritorio) articolo 21 scritto pensando alle illibertà del fascismo?
Io credo che una coraggiosa azione riformatrice dovrebbe intervenire puntualmente, chirurgicamente, sulla prima parte della Costituzione per riformularla in coerenza con i suoi principi ispiratori, che sono netti e chiari. Mentre la riforma che andrà a referendum dichiara intoccabile la prima parte per poi indebolirne o colpirne i proprio i principi ispiratori intervenendo sulla seconda, presentata alla stregua di materia opzionale (mentre è lo svolgimento coerente della prima e sancisce principi-bazzecola come il suffragio universale o l’ indipendenza della magistratura).
Strano che i “riformatori” non sentano il bisogno di affrontare, con fior di argomenti, i grandi temi del cambiamento storico, e sentano invece il bisogno di strapazzare la Costituzione senza argomenti.
Gli unici due che offrono al dibattito, infatti, o sono panzane (come l’ abolizione del Senato) o sono l’ apologia, in sé, del cambiamento (con interessanti echi del “dinamismo” marinettiano). Forse è bene ricordare che la cultura riformatrice e gradualista, quella che non oscilla tra immobilismo e rivoluzione, e che per dare velocità al parlamento sarebbe intervenuta in modo mirato sui regolamenti delle Camere, muove dall’ idea che ogni cambiamento, anche se piccolo, deve comunque essere migliorativo. Per questo chi dice “no” non ha bisogno di credere che la nostra sia la “Costituzione più bella del mondo”. Magari pensa che questa Costituzione vada cambiata. Ma, guarda un po’ il capriccio, che vada cambiata in meglio.
Questo agosto in Scozia sono rimasto colpito dall’ estetica urbana di Glasgow. Solenni edifici vittoriani mescolati senza senso apparente a edifici recenti, in genere non belli. Mi sono chiesto quali ragioni avessero mai portato a quel minestrone architettonico che non faceva troppo onore alla storia sociale della città. La risposta venne il mattino dopo dalla narrazione (ottima) fatta ai turisti dal sightseeing: “Negli anni Cinquanta l’ amministrazione di Glasgow decise di demolire i palazzi vittoriani e di rimpiazzarli con altri, per fare una città (testuale) più moderna e luminosa. Poi (sempre testuale) per fortuna i soldi finirono”. Ecco, per fortuna.
Fonte: Il Fatto Quotidiano
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