di Alex Corlazzoli
La tua classe non ha una lim? Manca un modem router wi-fi? Avete bisogno di un carrello per il trasporto dei tablet, di webcam per i personal computer o di un notebook touch? Oppure di un programma di giochi di memoria per le materne e le primarie o ancora di carta per le fotocopie?
Ci pensa la grande distribuzione. Le scuole italiane anche quest’anno hanno aperto le porte ai supermercati, alla Coop, alla Conad e (novità di quest’anno) al signor Bernardo Caprotti, patron di Esselunga. Il ministero dell’Istruzione, senza proferire una sola parola su questa operazione di marketing, ha steso il tappetto rosso ai colossi del consumismo che con tanto di campagne mirate ai bambini e ai loro genitori promuovono slogan come “Facciamo insieme un regalo alla tua scuola” (Esselunga) o “Coop per la scuola”. Tutti pazzi per i bollini. Ogni mattina, ancora prima dell’appello, ancora prima del buongiorno, c’è qualche bambino che con il sorriso annuncia di avere cinque, dieci, bollini.
Il meccanismo funziona più o meno così: ogni 25 euro di spesa Esselunga si riceve un buono da consegnare alla scuola che può scegliere un premio tra settanta prodotti proposti nel catalogo. Così per la Coop dove si riceve un bollino ogni dieci euro di spesa.
Il meccanismo funziona più o meno così: ogni 25 euro di spesa Esselunga si riceve un buono da consegnare alla scuola che può scegliere un premio tra settanta prodotti proposti nel catalogo. Così per la Coop dove si riceve un bollino ogni dieci euro di spesa.
Vale la pena fare quattro conti: una lim a 87” vale esattamente 550 bollini ovvero 13.700 euro di spesa; un tablet Galaxy Tab si ottiene con 10 mila euro di spesa e il set di 5 webcam vale 5.000 euro di prodotti comprati a Esselunga. Un set di dieci pacchi di risme di carta si ottiene con 11.250 euro spesi tra gli scaffali di Caprotti. La stessa cosa vale per la Coop che “dona” quattro cerchi per fare ginnastica per 11 mila euro e dieci mouse per 900 bollini corrispondenti a 9 mila euro di spesa. Il tutto in cambio di una fidelizzazione tra i banchi di scuola dove i bambini imparano fin da piccoli a riconoscere i marchi della grande distribuzione.
Forse varrebbe la pena che il ministero ci mettesse la testa e la faccia in questa vicenda per spiegare meglio agli italiani perché una scuola deve svendersi alla Gdo (Grande distribuzione organizzata, ndr) per ottenere ciò di cui dovrebbe essere già dotata. Oppure dobbiamo dirci con onestà che il Piano nazionale digitale presentato in questi giorni potrà essere realizzato solo grazie ai supermercati? Delle due l’una. Ciò che è certo che i bambini, a scuola, non dovrebbero essere assolutamente coinvolti in queste operazioni a metà tra il marketing e il social engagement. E nessun insegnante dovrebbe prestarsi a questo sistema che fa della scuola una sorta di Caritas, pronta a tutto pur di avere ciò che serve alla perenne emergenza.
Fonte: Il Fatto Quotidiano
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